Data
Data - 2 Lug 2025 until 19 Lug 2025
Categoria/e
contemporanea
Artista
Ferruccio Bolognesi, Giuseppe Billoni, Mario Pecchioni, Domenico Difilippo, Raimondo Cardelli, Andrea Jori, Renzo Margonari, Ugo Sterpini, Walter Mac Mazzieri, Mario Brozzi, Lanfranco, Pradella, Afro Daolio, Maurizio Calciolari, Antonio Atza, Franco Pivetti, Gianni Dova, Cesare Lazzarini, Fabrizio Clerici, Albano Seguri, Vania Elettra Tam
Curatore
Massimo Pirotti e Erika Vecchietti
Web:-www.premiosuzzara.it/news/cosmogonie-narrazioni-visionarie-dal-31-maggio-al-19-luglio
Cosmogonie. Narrazioni visionarie
Atmosfere oniriche in mostra al Museo Galleria del Premio Suzzara (MN)
31 maggio – 19 luglio 2025
a cura di Massimo Pirotti ed Erika Vecchietti
L’Arte Visionaria: Estasi dell’Immaginazione e rivelazione dell’Invisibile
di Massimo Pirotti
Nel panorama multiforme dell’espressione artistica, l’arte visionaria si staglia quale fenomeno di confine, oscillante tra l’estetica e il misticismo, tra l’esperienza estatica e l’intuizione trascendente. Essa non si limita a rappresentare la realtà sensoriale, bensì si propone di trasfigurare l’ordinario, elevandolo a soglia del soprannaturale e del metafisico. L’artista visionario non è un semplice creatore d’immagini, ma un alchimista dell’invisibile, un veggente che plasma mondi interiori e archetipi universali attraverso simboli folgoranti e forme trasmutate. Radicata in una lunga tradizione che abbraccia le iconografie esoteriche del Medioevo, le estasi mistiche dei santi, le allucinazioni delle avanguardie surrealiste e i deliri cromatici del simbolismo, l’arte visionaria si configura come un linguaggio della coscienza. In essa confluiscono suggestioni derivate dalla conoscenza, dall’ermetismo, dalle filosofie orientali e dai percorsi psichedelici contemporanei. Il risultato è una inesauribile produzione visiva che valica i limiti del tangibile per inoltrarsi nei territori inesplorati dell’altrove. Figure eminenti quali William Blake, Gustave Moreau, Odilon Redon, e in epoche più recenti, Alex Grey o HR Giger, hanno incarnato questa tensione visionaria, dando forma a universi simbolici che non si rivolgono alla logica, ma alla coscienza ampliata. In ta
li opere, la figura umana si smembra e si ricompone in geometrie sacre; la luce non è mera illuminazione, ma epifania del divino; la prospettiva non è regola ottica, bensì cammino iniziatico. Ogni quadro si trasforma in portale, ogni linea diviene sentiero verso l’ignoto. L’arte visionaria si nutre di un’intenzionalità trascendente: non vuole semplicemente “mostrare”, ma “svelare”. Essa presuppone, in chi la contempla, una disposizione interiore al mistero, una immagina le disponibilità a lasciarsi penetrare da ciò che non ha nome. L’opera diventa così esperienza trasformativa, rito , passaggio dall’io al Sé, dall’illusione alla verità. Come l’antico sciamano, l’artista visionario intraprende un viaggio attraverso l’inferno dell’inconscio per riportare alla luce il frammento perduto del divino. In un’epoca dominata dall’ipervisibilità e dalla saturazione delle immagini, l’arte visionaria conserva un valore sovversivo e terapeutico: essa ci ricorda che non tutto ciò che conta è immediatamente visibile, e che l’immaginazione non è evasione, bensì radice profonda della realtà stessa. Riscoprire lo sguardo visionario significa riappropriarsi della dimensione sacra dell’esistenza, laddove ogni forma è segno, e ogni segno è soglia.
Gli artisti in esposizione
Cosmogonie. Narrazioni visionarie
Gli illustri autori, di riconosciuto prestigio, che arricchiscono questa affascinante esposizione, costituiscono l’essenza stessa delle molteplici sfumature che l’immaginifico può assumere. Attraverso le loro opere, i visitatori sono invitati a immergersi in un viaggio attraverso le diverse stanze di questa storica Galleria del Premio Suzzara, un luogo di eccellenza che testimonia l’evoluzione e la ricchezza del panorama artistico contemporaneo e non solo. Da questa sezione variegata e ricca di opere si evincono chiaramente alcuni degli sviluppi linguistici più innovativi e codificati, che si manifestano attraverso scelte stilistiche personali e distintive.
Un esempio emblematico di questa ricerca è rappresentato dalle creazioni di Giuseppe Billoni, figura di spicco nell’ambito dell’arte criptica, concetto artistico da lui fondato che si distingue per la sua capacità di elaborare cicli cosmici attraverso strutture invertebrate e spesso enigmatiche. Queste strutture emergono dall’oscurità silente, come se si svelassero da un abisso insondabile, eliminando le barriere tradizionali della forma e della sostanza, e liberandole da tutti quei preconcetti e schemi mentali che, nel corso dei secoli, hanno inquinato e limitato la nostra percezione del mondo, della cultura e dell’espressione artistica stessa. Con le opere N.E.M. del 2004 e Femmina Abissale del 2006, Billoni si presenta al pubblico attraverso le figure di luce, segnando un esordio che si apre poi a un universo più vasto e cosmico. Questi lavori rappresentano un punto di partenza, un’introduzione a un linguaggio visivo che si evolve in direzioni più complesse e profonde. Successivamente, con le cosmogoniche allucinazioni di Teogonia (2012) e Creator (2018), egli dà vita a forme antropomorfe che emanano una forza generativa, quasi un’energia primordiale che si manifesta attraverso le seducenti trasparenze della pittura. In queste opere, si crea un dialogo tra il visibile e l’invisibile, tra il tangibile e l’ineffabile, tra il mondo materiale e quello spirituale, offrendo allo spettatore un’esperienza sensoriale e intellettuale di grande impatto. La forza generativa che si percepisce in queste creazioni sembra evocare un’origine cosmica, un’energia che dà vita e forma all’universo, e che si manifesta attraverso le forme antropomorfe e le trasparenze pittoriche, creando un ponte tra il nostro mondo e dimensioni più profonde e misteriose.
Con la grande tela di Gino Guida “Francesco tra gli scogli di Ponza” 1973 (collezione della Galleria del Premio Suzzara) si delineano rarefatte atmosfere di un realismo apparente che trasuda echi d’infinito percepiti dal nudo bambino che incarna con il suo sguardo rapito i pensieri più reconditi di questo paesaggio montano granitico, dipinto dalle tonalità fredde e velatamente sognanti.
Nell’opera di Gianni Celano “Il mio amico contadino è fatto di terra e di cielo” 1970 (collezione della Galleria del Premio Suzzara) l’uomo si lega indissolubilmente tra questi due elementi, fluttuando tra essi, tra gli uccelli del cielo e il vitello che dell’erba si nutre, un vero e proprio rebus surreale dove gli elementi compongono indissolubili il gli echi vitali del ciclo della vita.
L’artista Renzo Emiliani anch’esso presente nella collezione della Galleria del Premio con l’opera “Anamnesis, ritorno alle origini del 1989”, cerca di riportare l’ordine nel caos primordiale del cosmo, dove il paesaggio immaginario innesca geometriche architetture che si stagliano in stratificazioni ambientali rarefatte. Le strutture paesaggistiche che anelano l’infinito proseguono anche nel “Vascello di luce” del 1992 dove le trasfigurazioni di una vela si illumina incantando il paesaggio che si fonde tra il lacustre e il montano superando i confini tra gli elementi terra e cielo. Nel “laghetto e montagna” del 2005 invece il cielo è incarnato come un occhio cosmogonico che si disgrega nell’aria che si impregna di luce perlacea impattando verso la terra causando piccole scintille fiammeggianti appena accennate, cerchi d’acqua sempre più vibranti che erodono le taglienti rocce provocando un disordine divino che simboleggia l’infinito rinnovarsi di una Babele dello spirito.
Recentemente omaggiato nell’edizione 2024 del Premio Suzzara, Ferruccio Bolognesi è presente con opere di scultura e pittura. Nelle sue Arpie e Chimera degli anni ’80 — sculture in lamiera smaltata — l’artista propone una reinterpretazione sagomata di figure mitologiche, trasfigurate in modo giocoso e quasi fiabesco, in una sorta di trasmutazione poetica che ne sovverte l’aura originaria, conferendo loro un carattere tragicomico. Nel suo duplice ruolo di artista e scenografo, Bolognesi adotta la medesima cifra poetica anche nella sua Chimera, definita da linee essenziali e sinuose, tratto distintivo del suo inconfondibile linguaggio visivo. L’opera, che sovverte radicalmente l’iconografia tradizionale del soggetto mitologico, assume una connotazione ironica e spregiudicata, più giocosa che solenne. La Chimera è stata realizzata in diverse versioni e dimensioni, nonché trasposta in una nutrita serie di disegni eseguiti per un’edizione illustrata dell’Eneide di Virgilio. Completano la sua presenza pittorica le tele Il suonatore di tamburo (1978) e Ulisse e Nausicaa (1983), in cui le sinuose modulazioni grafiche si traducono in una pittura dai toni pastosi e raffinatissimi, restituendo una delicatezza formale carica di suggestioni.
All’ironia e alla leggerezza, seppur declinate in forma diversa, si ispira anche la trilogia scultorea I Lettori di Andrea Jori. In queste tre ceramiche policrome, l’artista mantovano dà corpo a una saga immaginifica, nata dall’amore profondo per la letteratura. I protagonisti — figure umane e animali fantastici — si ergono come equilibristi del pensiero: creature dai grandi arti, simili a rami protesi verso il cielo, che sembrano venerare il profumo del sapere. Essi abitano un vuoto metafisico, instabili ma vibranti, rinunciando alla compostezza formale per esprimere un intelletto pervaso da un’ironia sottile e da un’emotività intelligente.
Il tema fiabesco prosegue nei due dipinti di Raimondo Cardelli che incantano attraverso la liricità che trasfigura la realtà nel quale il quotidiano si dissolve per dar forma a paesaggi incantati, creature araldiche e atmosfere intrise di poesia crepuscolare. Non è raro che tale genere, pur nella sua apparente leggerezza, celi profonde verità archetipiche, affioranti da un inconscio collettivo che la modernità tende a relegare ai margini del pensiero razionale. Tra i meandri dell’irrealtà prendono forma figure archetipiche che incarnano le condizioni esistenziali e le tribolazioni del pensiero umano. Questi personaggi, al tempo stesso poeti e messaggeri, vegliano sul nostro essere più profondo, trasmettendoci angosce primordiali, denunciando storture e disvelando le verità più nascoste dell’io.
Questo universo immaginifico si manifesta con potenza simbolica nelle opere di Domenico Difilippo, figura di spicco del Neo-Surrealismo modenese tra gli anni Settanta e Ottanta, nonché autore del manifesto dell’Astrattismo Magico redatto a Brema nel 1991. In età giovanile, Difilippo realizza una serie di lavori emblematici – Angoscia con papillon (1969-71) e Angoscia (1971) – in cui prende vita una poetica visiva popolata da entità immaginarie che danno voce al dolore e alla tensione ideologica di quegli “anni di piombo”, così drammaticamente sfaccettati eppure animati da un impeto di ribellione e forza interiore. Nel Fiore della verità…? (1975), l’artista propone un’immagine simbolica che funge da specchio introspettivo: l’occhio favoloso del fiore immaginario si fa tramite di una trasfigurazione dell’io, portando alla luce verità profonde, inizialmente celate, che troveranno compimento nell’opera La Vittoria (1977). Qui, un corpo femminile trasfigurato in forma monumentale, con la testa metamorfizzata in un occhio vigile, celebra l’ego quando esso si manifesta attraverso azioni rette e consapevoli. Queste azioni, frutto di una coscienza lucida e morale, si proiettano ulteriormente ne Il volo del grande messaggero accusatore (1981), figura eterea e fluttuante dal grande occhio, che attraversa lo spazio-tempo per ammonire, redimere e richiamare l’uomo alle sue responsabilità etiche. Dall’analisi dei codici pittorici di questi lavori storici, si delineano chiaramente le fondamenta poetico-linguistiche su cui si edificherà l’evoluzione futura del suo Astrattismo Magico, sintesi colta di visione interiore e tensione trascendente. Una figura enigmatica, colta nell’atto di puntare il dito verso un ipotetico interlocutore, appare al tempo stesso giudice e messaggero.
È Il creatore di proverbi (1971), opera del maestro piacentino Armodio, artista di straordinaria erudizione e finezza pittorica. Attraverso una tecnica miniaturista di rara precisione, Armodio trasmette un senso di straniamento sottile e penetrante, frutto di una raffinata elaborazione visiva che affonda le radici nella grande tradizione pittorica. Il personaggio, reso con meticolosa cura del dettaglio, affascina lo spettatore e, una volta letto il titolo dell’opera, ne stimola l’immaginazione: si innesca così un gioco mentale di evocazione, un fiume silenzioso di aforismi e proverbi che riemergono dai recessi più remoti della memoria.
Nella pittura silente e notturna di Mario Pecchioni si avverte, con sottile intensità, la precarietà dell’esistenza umana, sospesa tra l’estasi e la rovina, tra l’anelito all’elevazione spirituale e la lucida consapevolezza della propria inevitabile caduta. La Figura decadente (1974) si staglia da un fondo di essenziale oscurità, e nell’incarnato dalle tonalità argentee si coglie un progressivo disgregarsi della forma, presagio non solo della fine, ma soprattutto della caducità insita nella condizione dell’uomo in quanto essere mortale. In Narciso (1981), il protagonista si fonde armonicamente con il paesaggio tenebroso, assorto in pensieri intrisi di malinconia e mestizia, lo sguardo fisso verso un avvenire incerto e inafferrabile, quasi attendesse il compimento di un destino già scritto. Tra gli spazi siderali dell’oscurità più profonda emergono infine i volti delle Ninfe del lago (1985): enigmatiche figure mitologiche, contraddistinte da un espressionismo perturbante. I loro canti arcani, sublimati da voci femminili eteree, risuonano nel vuoto cosmico intrecciandosi in un vortice sonoro di enigmi, sospensioni e misteri irrisolti.
Con Lanfranco anch’esso omaggiato più volte in questo museo e si trova in diverse sessioni di questa mostra troviamo alcune opere che rappresentano anni importanti del suo numeroso repertorio di opere fantastiche con “L’occhio cosmogonico” 1962 dove due figure umanoidi dalle sinuose forme femminili si fermano ad ammirare questo occhio che svetta in uno spazio siderale immaginario scandito da architetture cosmiche con nebulosi e sensuali movimenti del cielo. Nel piano superiore troviamo “Le pareti del cielo” 1963 rielaborazione delle architetture planetarie degli anni cinquanta ma rispetto a quest’ultime i colori sono più vividi e meno drammatici, il cielo intriso di piani fluttuanti dove girano libere e sospese le sue figure femminili ognuna oscillante nei propri spazi. Una di queste figure è rappresentata anche in scultura “Lady violino” gesso del 1955 e due Figure stocastiche degli anni 45/47 in bronzo, personaggi di forma umanoide che anelano il futuro. Nella sua narrazione surreale dei ritratti ritroviamo la moglie Silvana del 1939 che appare come una venere che aleggia in un paesaggio immaginario che rasenta le forme di un altro mondo. “Nel colloquio con l’infinito” 1964 lo spazio tempo si annulla attraverso estroflessioni e squarci dei suoi cieli infiniti dove aleggiano sagome di una coppia di amanti dai volti sognanti e liquefatti. Nella sezione del bestiario fantastico troviamo anche un Cavallo 1939 dalle forme scheletriche e trasfigurate che entra in scena in uno sfondo molto teatrale con un accenno di forme umane dai colori pastello.
Un’altra importante figura di spicco dell’arte fantastica sotto molteplici aspetti è quella di Renzo Margonari Maestro di una surrealtà, che non solo narra mediante la sua ricerca, ma anche attraverso la sua instancabile attività di storico e critico che in tempi non sospetti ha introdotto in modo pionieristico la possibilità di indagare sull’arte fantastica italiana in anni in cui il mercato e la moda virava in direzione opposta, Ricupero del fantastico 1967 è un catalogo fondamentale per chi vuole approfondire ciò che succedeva nel sottobosco visionario di quegli anni. Surrealista dichiarato ricerca la verità mediante l’irrealtà, immaginando microcosmi che si rivelano grazie ai movimenti organici dell’acqua e delle creature da lui concepite. Le creature immaginarie in Margonari sono il punto di partenza del suo occhio indagatore come nel dipinto del 1963 Creatura dell’occhio interiore, opera dalle sfumature tonali di grigi in cui uno strano essere dalle fitte zampe tentacolari emerge da uno sfondo nebbioso e profondo come l’oscurità della coscienza. Nell’opera Susanna 1973 uccelli dalle improbabili sembianze emergono enigmatici tra scenari geometrici dalle forme minimaliste ponendosi al di sopra delle leggi della fisica in quanto fluttuanti ma con un ordine e rigore da far sembrare tutto normale, scandendo una leggerezza tale che le nuvole emanano nel ristretto spazio. L’altra tela anch’essa datata 1973 “Omaggio a Bellmer” commissionata da Marcello Venturoli per la sua collezione, troviamo il tipico volatile dell’iconografia margonariana dove reinterpreta le simbologie dell’antico dio ittita Horus, aggiungendo la forma fallica sopra il capo del pennuto. Fermo restando che i codici rimangono rigorosamente tipici del simbolismo dell’artista come del resto le sue raffinate gocce poste sul denso e nebuloso sfondo questo dipinto sembra più un pretesto per omaggiare in modo totalmente personale il noto artista surreal/erotico Hans Bellmer. Il ciclo delle opere degli anni settanta si conclude con Fulmine K 1977, che suggerisce l’impatto del fulmine come atto mentale che nasce dall’intreccio di queste nuvole arabescate, più metafisiche che atmosferiche ed il fulmine che impatta sulla cresta spinata, di un pesce? O di un’altra creatura surreale? Ma quello che si rivela un enigma più grande è il concetto del fulmine rappresentato in modo razionale che rovescia l’idea di una potenza istintiva, diventando così un atto di volontà che emerge dal caos psichico. Nelle due opere più recenti come Clima 2010 e Peggio di così 2020 lo spirito dell’elemento acqua penetra la materia pittorica fecondando delle forme, creando microcosmi e macrocosmi attraverso “un’imprevisto premeditato” (citazione dell’artista stesso) che veicola le forme e le immagini, trovandole senza cercarle come sosteneva Arturo Schwarz. Tutto ciò crea un sistema sovversivo nel rivelare la verità attraverso l’irrealtà che compare impetuosa quanto seducente in questi due dipinti.
Una solennità di figure voluminosamente fantastiche sono la rappresentazione della china su carta del 1979 di Walter Mac Mazzieri esponente di spicco dell’arte fantastica modenese, dove fiaba e solennità vanno di pari passo con la sua dirompente narrativa scenica che lo contraddistingue, artista molto importante anche per aver realizzato alcune delle iconiche copertine del gruppo rock progressive Le Orme negli anni settanta.
Surrealista di terza generazione Ugo Sterpini arrivato al celebre movimento con un percorso graduale fatto di suggestioni che le avanguardie del novecento hanno fornito in lui strumenti necessari per costruirsi una sua personalissima interpretazione dei paradigmi surrealisti dell’arte, attraverso il progetto officina 11 con l’architetto De Sanctis dove crearono mobili di stampo surrealista con innesti di vari materiali che mutano le loro funzioni per cui sono stati creati raccontando una nuova e affascinante storia che troviamo anche nell’opera “Il cielo di nascita” 1964 opera ricca di simbologie intrise di emotività creativa. Le sue precedenti esperienze formative nell’astrattismo segnico che si tramutano anche nei suoi personaggi fantastici come nel dipinto Uccello probabile del 1972 dove il segno del colore si fa sinuoso, ricco di linee serpeggianti che denotano la sua versatilità calligrafica anche grazie alle esperienze fatte come scenografo.
Ivano Fabbri detto Fabbriano con l’opera Riflessi su marmo 1972 ci catapulta nell’oltrestoria con un frammento di una testa di Venere che sembra varcare le soglie spazio temporali dello spirito con una pittura ricca di pennellate gestuali ma allo stesso tempo materiche e trasparenti per aprirci le porte del tempo sospeso ed infinito nel mare impetuoso della nostra mitologica esistenza.
Nel ciclo TecnologicaMente di Vania Elettra Tam si presenta una composizione di opere in cui storia, anacronismo, tecnologia e contemporaneità si intrecciano, proiettando la figura femminile nel regno dell’improbabile con un’ironica raffinatezza. In questo contesto, i moltiplicati ritratti delle dame del Pollaiolo si reinventano come eroine del mondo domestico, assumendo un ruolo di rielaborazione simbolica e critica. Elettrodomestici facenti parte del nostro quotidiano e della nostra storia recente, con la loro presenza pervasiva, sono state “interiorizzate” e “assimilate” nelle menti di queste donne, in un senso che si fa al contempo surreale, sognante e satiricamente irrazionale. Con eleganza tagliente, l’artista mette in evidenza l’assurdità di alcuni stereotipi, rompendo i cliché attraverso una raffinata calligrafia pittorica che si configura come un atto sovversivo. Questa contaminazione inverosimile di spazio e tempo si rivela un mezzo per sovvertire le aspettative, senza mai essere esplicita nel messaggio, ma anzi, creando percezioni inusuali della realtà e suggerendo significati alternativi e opposti a quelli immediatamente percepibili. La sua pittura, intrisa di un’ironia tipica del suo stile, si eleva grazie a molteplici spunti di riflessione che riguardano non solo il suo mondo, ma soprattutto il nostro contesto contemporaneo.
Franco Pivetti approdato da tempo nell’arte fantastica prima con la pittura ma successivamente attraverso il segno è rappresentato da due opere che fanno parte dell’importante ciclo dell’automatismo gestuale ; Homelina 1973 che si caratterizza per un uso sapiente di un segno grafico deciso evocando un senso di tensione tra le figure contorte in bilico tra l’insetto e l’umanoide risultano intrappolate tra il mondo esterno e quello interno creando psichici attriti che sondano i meandri più profondi della psiche, mentre nell’opera del 1980 le figure si sovrappongono simulando una struttura di corpi contorti intrisi di intimità ottenuta anche grazie ad un cromatismo di sfondo simile ad un tramonto che contribuisce a creare un’atmosfera di malinconico mistero. La poetica di Pivetti si caratterizza per questo segno gestualmente sicuro e rigoroso dove le pose delle figure da lui create oscillano tra il distorto e il sublime come se l’artista volesse sondare le profondità dell’animo umano e le sue contraddizioni più recondite.
La visione cosmogonica del pensiero di Antonio Atza si manifesta attraverso il ciclo di opere che creano immaginari microcosmi nei fondali marini. Nell’opera Quando i pensieri se ne vanno (olio su tela del 1970) presenta attraverso l’andamento fluttuante una concatenazione di creature acquatiche, pesci immaginari, alghe e creature vegetali la costituzione di un’unica forma per arrivare a percepirne un’unica sostanza, quella del pensiero più profondo che nel fondale marino ci catapulta negli abissi più ignoti del nostro io, quelli che dovremmo esplorare quando i pensieri inesplorati tendono ad andarsene per non tornare più. Stessa modalità poetica anche nella china su carta Come l’apocalisse 1970 che nell’ intreccio segnico dell’inchiostro monocromatico rappresenta in forma più diretta e progettuale le stesse tematiche di queste creature acquatiche che diventano un tutt’uno con la propria identità cercando di svelare la ricchezza delle nostre più celate riflessioni.
Una pittura dalla stesura silente e raffinata per ritrarre una sagoma femminile di profilo che si manifesta attraverso una bianca maschera, l’opera di Carlo Bertè del 1976 ci conduce nella visione archetipica della teatralità del fantastico in cui la rappresentazione dei volti si fa più multiforme proprio grazie alla maschera che incarna l’universalità e allo stesso tempo la poliedricità del nostro essere che muta a seconda di come ci poniamo rispetto agli altri.
Afro Daolio crea una sua visione della storia e del territorio in maniera molto palese, nell’opera del 1984 un paesaggio metafisico fa da sfondo ad una statua femminile e due cani dipinti in maniera stilizzata che richiama un vago riferimento tra il mondo antico degli etruschi e quello degli egizi. La calligrafia pittorica minimale fa intendere quanto è possibile maneggiare il filo sottile della storia proprio grazie all’oltre storia che i visionari di un altrove immaginario possono ricreare, lo stesso vale anche per il dipinto che rappresenta dai tre cavalli dove il gioco tra i pastosi colori e il metafisico sfondo si palesa con le radici più profonde delle civiltà e della natura.
La forte carica espressiva nel trasfigurare le forme governate da un potente senso della materia sono le due Chimere di Albano Seguri (anni 60), importante artista del secolo scorso che intraprende dopo le prime esperienze dell’accademismo con Francesco Messina i confronti con le grandi realtà artistiche tra Roma e Milano e il secondo futurismo realizza tra gli anni quaranta e sessanta del novecento un ciclo di opere tra grafica e scultura che esprimono un suo personalissimo codice espressivo. L’arte di Seguri si caratterizza per un linguaggio visivo crudo, spesso segnato da tratti grossolani, composizioni schematizzate e un uso diretto dei materiali, come questi due bronzi che interpretano la mitologica chimera con una fantasiosa locomotiva draghiforme. L’ attenzione si focalizza sulla spontaneità delle forme, sulla forza espressiva delle linee e sulla vitalità delle superfici, che sembrano emergere direttamente dall’inconscio dell’artista. Questa estetica “primitiva” si traduce in un rifiuto delle raffinatezze tecniche e delle convenzioni estetiche, privilegiando invece l’autenticità e la spontaneità del gesto. Nel campo della grafica è importante sottolineare quando gli artisti visionari siano stati attratti da questa tecnica tanto da preferirla in alcuni casi alla pittura.
È il caso della Serigrafia di Gianni Dova degli anni sessanta in cui si elaborano conduzioni formali e influenze di artisti come Roberto Sebastian Matta che emanano forti morfologie psichiche testimoniando con quest’opera la volontà di dare forma al pensiero nell’atto stesso del suo fluire. Linguaggio apparentemente diverso rispetto alla pittura più acidula e aspra derivata dall’arte nucleare, movimento artistico di cui Dova è stato tra i più grandi esponenti.
Restando nella grafica la litografia di Fabrizio Clerici Fantasie Mesmeriche 1985 l’oltrestoria si permea di fluidi vitali e di risonanze psichiche che danno vita a fluidi magici, riti cerimoniosi e pozioni magiche, opera intrisa di solennità e al tempo stesso di ironia. Oltre alla litografia è presente in esposizione anche uno studio da taccuino a biro su carta per L’Orlando Furioso dal titolo Le Maschere del 1964 dove un segno vivido e intrecciato di enigmi trasfigura volti teatralmente inquietanti che ispirano inquietanti suggestioni fondendo arte e letteratura in un connubio di visioni perturbanti.
Perturbanti e inquietanti sinuosità le troviamo anche nelle tre opere su carta di Cesare Lazzarini della serie dell’Apocalisse in cui visioni e profezie si fanno carne attraverso le trasfigurazioni filamentose e liquefatte dei volti e dei corpi rappresentati. Incarnati sensualmente deformi eternamente in vorticoso movimento tra passato presente e futuro. Inquietudini che sono il presagio di una o più rivelazioni sono la caratteristica di questa importante serie grafico pittorica dell’artista che fa della seducente inquietudine una forte carica poetica nella sua spiccata espressività.
Figura tra le più misteriose e indecifrabili è quella di Mario Brozzi artista dai freddi archetipi umani che esprimono contro intuitivamente da come sono rappresentati un’umanità intrisa di distonie immaginifiche anche se disturbanti le sue figure umane pittoricamente enfatizzate dei copri. Nel dipinto del 1969 un notturno paesaggio urbano dall’atmosfera metafisica fa da sfondo ai due amanti dalle forme statuarie e sinuose che si lasciano andare in un languido abbraccio, vicino una bambola senza un braccio e con un pezzo di cranio mancante interferisce nella scena esaltando il vuoto interiore e l’incapacità dell’uomo di esprimere appieno i propri sentimenti. Nell’opera del 1973 comincia ad intravedersi il lato sempre più inquietante della poetica di Brozzi dove una figura distintamente “baconiana” si insidia seduta in una posizione improbabile su una scenografia interna fatta di mobili vuoti, grigi e privi di ogni oggetto che simboleggiano il vuoto interiore della società moderna in cui viviamo. La tela del 1974 di Mario Brozzi,, si configura come una potente allegoria della genesi umana, sospesa tra il sacro e il meccanico. Al centro della composizione, un neonato idealizzato, immerso in un fascio di luce aurea, si staglia come icona ambigua della nascita e dell’esposizione esistenziale. La figura sovrastante, acefala e metallica, evoca una divinità biomeccanica, impersonale, quasi inquietante, che presiede alla scena come un demiurgo postmoderno. Nell’opera del 1977 Il contrasto tra l’incarnato e la corporeità imponente d’acciaio genera una tensione visiva e concettuale che interroga il rapporto tra natura e artificio, vulnerabilità e potere. L’opera, di straordinaria forza simbolica, si impone come una riflessione lucida e perturbante sulla condizione umana nell’era dell’immagine che mette a nudo l’essere nella sua essenza più cruda e metafisica.
Il realismo pittorico di Maurizio Calciolari trova le sue radici nel catturare la realtà sociale, psichica e, soprattutto, percettiva. Con il suo mezzo espressivo riesce a ottenere una forte rappresentazione visiva, svelando ciò che è celato nel nostro animo. È il caso di Verità Nascoste, in cui una donna intenta a nuotare tra le specchianti onde informali procede nel suo percorso psichico, riflesso nelle luminescenti trasparenze dell’acqua, tentando di raggiungere una meta ignota. Il tema del sogno desiderato si ritrova anche nelle simbologie di Irraggiungibile Milano, che esprime il forte desiderio della protagonista sensuale, evocato dal foglio appeso che simbolicamente rappresenta il capoluogo lombardo. La donna si abbandona al languido fluire della sua aspirazione di raggiungere la cosmopolita città, in un’opera di notevole complessità sia dal punto di vista formale che concettuale. Gli improbabili protagonisti di questa scena sono un giovane uomo in posa da modello e un bovino sullo sfondo, elementi che conferiscono all’opera un’atmosfera surreale, resa naturale dal suo stile pittorico realistico.
Nel realismo fantastico di Vinicius Pradella si intrecciano momenti di solenne sospensione, tra la storia e il mito, come si evince nel dipinto Il Minotauro del 1964, dove le architetture si innalzano sospese, elevando simbolicamente i personaggi femminili, tra cui la donna minotauro. In quest’opera si percepisce un forte senso di mistero e di simbologia esoterica, intrisa di imponenza formale nella gestione dello spazio. Strutture più sublimi e meno inquietanti si riscontrano invece nell’opera sensuale La Schiava del 1972, dove echeggia un costante senso biblico delle vicende passate, reso surreale da una sorta di “capriccio” immaginario. La protagonista si distingue nella sua più totale sensualità, tra le strutture architettoniche e paesaggistiche che popolano l’immaginario dell’artista. Le sospensioni dell’anima si estendono nel dipinto Undici Anni Dopo. Lezione di Flauto sulla Grande Muraglia, dove si manifesta un’armonia tra le parti: natura, animali, uomo e architetture si fondono in una vibrante sinfonia, enfatizzata dalla protagonista sensuale che suona una melodia immaginaria proveniente dal suo flauto incantato. Il senso metafisico dell’essere, invece, trova espressione nell’opera Partita a Scacchi con Tigre, in cui la scacchiera si trasforma in terra e cielo, inducendoci a riflettere sulle sfide e sulla pianificazione della nostra vita. Essa ci invita a essere consapevoli delle nostre mosse e delle conseguenze che esse comportano. Concludendo, Il Figliol Prodigo del 2002 presenta una rappresentazione completamente distaccata da quelle a cui siamo abituati: questa scena, ambientata tra le nuvole, svia la percezione tradizionale del paradiso, rigenerando e trasformando in chiave elevata il concetto di “ritorno a casa”. Nonostante le azioni compiute, si manifesta un ritorno alla purezza tra le braccia di chi ci ha perdonato.