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Dal caso Nolde al caso de Chirico. Da Farsetti una mostra sulla pittura che Hitler non voleva

Giorgio de Chirico, Manichini guerrieri (Archeologi), 1926

Prosegue fino al 30 agosto la mostra “Dal caso Nolde al caso de Chirico” da Farsetti a Cortina a cura di Demetrio Paparoni

L’esposizione prende il titolo da un articolo del 1949, un trafiletto, apparso su Milano Sera il 17 marzo di quell’anno in cui si raccontava che nell’aprile del 1944, un giorno prima dell’inaugurazione di una mostra di pittura alla Galleria Borromini di Como, al direttore della galleria era stato intimato di eliminare dalle pareti, oltre ai dipinti di Modigliani e di Campigli, perché ebrei, anche quelli di de Chirico. Alla domanda del gallerista su quali fossero i motivi di quella censura la risposta secca del funzionario della prefettura era stata: “Questa pittura deve sparire. Lo ha detto Hitler”.

Uno dei quadri di de Chirico eliminati dalla mostra del ’44, Manichini Guerrieri (Archeologi), realizzato nel ‘26, sarà presente adesso alla Farsettiarte, accompagnato da altri capolavori di protagonisti di quegli anni, per lo più provenienti da importanti collezioni private italiane.

Concepita come un’esposizione allestita in quegli anni tanto creativi quanto bui della storia italiana, Dal caso Nolde al caso de Chirico si offre come pretesto per soffermarsi sulle contraddizioni che hanno caratterizzato la gestione dell’arte in epoca fascista. In Italia la discriminante non erano le scelte formali degli artisti. Dal 1938, con l’introduzione delle leggi razziali, si pose marcato un limite alla possibilità di esporre agli artisti che erano stati censiti come ebrei. Non era in discussione la loro arte in quanto tale, come è accaduto per gli artisti tedeschi.

Basti ricordare che a Emil Nolde a nulla valse aver aderito al Partito Nazionalsocialista dalle origini ed esservi rimasto sempre fedele. Nolde è stato incluso in questa mostra perché la sua drammatica vicenda testimonia la profonda differenza nel modo in cui il potere politico si rapportò agli artisti in Germania e in Italia.

Massimo Campigli, Pittrice, 1927

L’episodio della rimozione dei quadri di de Chirico dalla mostra di Como nel 1944 testimonia che la Repubblica di Salò si era adeguata alle direttive della Germania in termini di politica culturale. Precedentemente, per quanto il regime fascista cercasse la propria legittimazione culturale, ciò che aveva preteso dagli artisti era stato soprattutto che non manifestassero la propria ostilità. Sul piano formale buona parte della produzione artistica sostenuta dal fascismo era più vicina di quanto si potesse pensare a quella che in Germania veniva chiamata “degenerata”.

L’opera dello stesso Mario Sironi, una della personalità più influenti dell’epoca in ambito artistico per le sue qualità di pittore, ma anche per l’aver aderito al fascismo sin dal suo nascere, non piaceva a Mussolini, il quale dopo solo pochi anni cominciò a non vedere di buon occhio Novecento, e Sironi in particolare. Le vicende degli artisti dichiaratamente antifascisti, il carcere che alcuni di essi conobbero proprio per le loro posizioni politiche sono note.

Nello stesso tempo, scavando nella biografia di quegli autori che si pensa abbiano preferito il silenzio per quieto vivere emergono sempre, come racconta il testo in catalogo, episodi che dimostrano l’impossibilità che l’arte si pieghi a regole precostituite e a imposizioni. In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo nel cui testo introduttivo Paparoni torna su alcuni degli argomenti trattati nel suo fortunato libro “Il bello, il buono e il cattivo / Come la politica ha condizionato l’arte negli ultimi cento anni” (Ponte alle Grazie, 2014) nel quale ha affrontato tra l’altro il tema della censura nell’epoca dei totalitarismi.

 

Catalogo in galleria

8 – 30 agosto 2020
Farsettiarte
Ex Funivia Pocol
Piazzale Roma 10
32043 Cortina d’Ampezzo

orari 10-13 / 16-19,30
www.farsettiarte.it
info@farsettiarte.it

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