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Do the Right Thing. Attualità di Spike Lee

Spike Lee, Do the Right Thing Spike Lee, Do the Right Thing
Spike Lee, Do the Right Thing
Spike Lee, Do the Right Thing
Trent’anni anni dopo l’uscita del film di Spike Lee è ancora necessario riflettere sull’emarginazione sociale e le dinamiche di potere, ancora parte della nostra quotidianità

Brooklyn, New York, 1989. “Wake up!”, sentiamo provenire in lontananza da una radio. È la voce di Senor Love Daddy (Samuel L. Jackson) a svegliarci nel giorno più caldo dell’estate newyorkese, rimanendo poi, uno degli unici punti di riferimento che il regista ci concederà per orientarci all’interno del caotico quartiere. Ci vuole della vera maestria per narrare, in soli 120 minuti, ventiquattr’ore della vita di un afroamericano (Mookie, Spike Lee), fattorino nella pizzeria italiana di Sal, Vito e Pino, estranei nel contesto del quartiere multietnico.

Eppure è così. Spike Lee si rivela capace di farci entrare in una realtà fatta di mille volti e voci, dalle esperienze completamente diverse, senza mai scivolare in cliché narrativi. Coreani, italiani, ispanici e afroamericani vengono raccontati nella ricerca affannosa del proprio spazio, quotidianamente conteso e strappato ai vicini. La New York dell’abbondanza non fa differenze in questo caso, confinando le minoranze, senza discriminazione alcuna, nei così detti “quartieri ghetto”.

Cosa vuol dire appartenenza?

Seppur il film sia stato motivo di dibattito, spaccando l’opinione della critica tra chi urlò al capolavoro e chi, invece, accusò Lee d’incitazione alla violenza, il talento del regista nella rappresentazione sfaccettata e brillante del meltingpot culturale newyorkese si intravede già dalle prime sequenze. Do the Right Thing è un titolo provocatorio: qual è la cosa giusta? A chi appartiene Brooklyn? Cosa vuol dire appartenenza? Agli occhi di Spike Lee non ci sono né eroi né martiri, a New York non si beatifica nessuno. Non c’è spazio per l’amore e la compassione nemmeno nel caso di un figlio neonato, come per Mookie, troppo occupato a cercare di sopravvivere.

La luce accecante dell’estate fa venire a galla tutte le contraddizioni di un ambiente già instabile, e il caldo torrido, enfatizzato continuamente dal regista, anche con brani musicali come Can’t stand it degli Steel Pulse, ci mette un attimo a far bollire gli animi. Spike Lee, attraverso un montaggio estremamente ritmico, con tagli frequenti, e un brillante uso della fotografia del collega Ernest Dickerson, è in grado di farci passare da un punto di vista all’altro in un batter d’occhio.

 

Spike Lee

Al “Fuck you, fuck your pizzas and fuck Frank Sinatra!” con cui il protagonista dà sfogo alla frustrazione, con un rapido controcampo, sentiamo ribattere Pino “Fuck you too and fuck Michael Jackson”, dando inizio ad un’escalation in cui diversi soggetti, rappresentati con dei primi e poi primissimi piani, riverseranno il proprio odio alla cinepresa, scadendo negli stereotipi più infantili. Spike Lee non assolve nessuno, l’odio razziale di un qualsiasi poliziotto americano in questa sequenza è reso al pari di quello espresso da Mookie nei confronti dell’italoamericano Pino.

Comico e tragico

Come quella tra “Love” e “Hate”, iconici tirapugni del personaggio di Radio Raheem (Bill Nunn), la tensione tra il comico ed il tragico persiste durante tutta la storia. I momenti di gag si alternano a scene di cruda intensità, infallibili nel farci ragionare sulla complessità del concetto d’integrazione, sull’ipocrisia dell’American Dream, sulla profilazione raziale causa ancora oggi di tragici episodi cronaca. Spike Lee, con l’impegno artistico che lo porterà anche agli Oscar, dedica tutta la vita a mettere sotto il naso dei potenti la straziante realtà che si agita all’ombra delle loro metropoli. Malcom X (1992) sul noto rivoluzionario afroamericano e Cloackers, sul dominio della droga nelle periferie americane, (1995) sono il fil rouge che si collega perfettamente a quello che possiamo ormai definire un film-manifesto: Do the Right Thing. Non è un caso che la prima battuta esorti chi ascolta “Wake up!”.

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