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Il colore è anche uno spazio: le Impronte di Toti Scialoja in mostra alla Galleria dello Scudo

Toti Scialoja, Roma 1961. (Foto Giordano Falzoni).
Toti Scialoja, Roma 1961. (Foto Giordano Falzoni).

Fino a marzo alla storica Galleria dello Scudo di Verona è in programma una mostra dedicata a Toti Scialoja e, precisamente, alla stagione più nota della sua ricerca espressiva, quella delle Impronte eseguite fra il 1957 e il 1963

Al ritorno da un viaggio a New York dove Toti Scialoja si era recato nel 1956 per un soggiorno di alcuni mesi trascorsi sperimentando l’assoluta libertà del gesto, l’artista matura un radicale cambiamento: abbandona la pittura tradizionale, dipinge con carte intrise di colore e pone l’impronta sulla tela affidandosi nel contempo al cieco automatismo, quasi a scoprire le ragioni più intime dell’animo. La mostra in corso alla Galleria dello Scuso documenta questo periodo in cui l’artista con una selezione di trenta dipinti provenienti dalla Fondazione Toti Scialoja.

«Liberatosi da quel tanto di ‘velato e di fumoso’ che si portava dietro dalla VI Quadriennale romana del 1955 e aprendosi a visioni più luminose come nelle tre opere presentate alla XXVIII Biennale di Venezia nel 1956, l’artista non aderisce a un sistema formale ma si confronta con immagini che affiorano alla coscienza dall’ignoto»  afferma Giuseppe Appella, curatore dell’esposizione.

Le mostre a New York alla Catherine Viviano Gallery nell’ottobre 1956, quindi a Roma alla Galleria La Tartaruga con Afro e Burri nel febbraio 1957 e, tre mesi dopo, alla Galleria Schneider, hanno già nei titoli delle opere (Interruzione, Sovrapposto, Irritazione) una spia nel processo di avvicinamento a una pittura libera e felice, lontana dal museo immaginario creato in oltre vent’anni di disciplinato impegno nell’arte, nella poesia e nella critica. Il primo ad accorgersene è un poeta, Murilo Mendes, in una lettera a Scialoja del 21 maggio 1957: “Dai suoi quadri emana una sensazione di forza e di grandezza spaziale: per Lei il colore è anche uno spazio”.

In questo spazio, complice la solitudine di Procida che ha portato in primo piano quel movimento sperimentato sin dalle prime passioni espressioniste, si sprigionano le forze automatiche capaci, tramite impulsi progressivi, di stabilire un contatto diretto tra l’artista e la tela, di comunicare le emozioni.

Il sette di settembre , 1958-1959
olio e vinilico su tela di canapa, 142 x 282 cm

La mostra si apre con Il sette di settembre, 1957, uno dei primi quadri dipinti con la tecnica dello “stampaggio”. Ogni intervento sulla tela inchiodata al suolo viene ora superato da un nuovo procedimento: «riempire di colore un foglio, rovesciarlo sulla tela e stamparlo battendo forte con le mani, fu la soluzione che apparentemente allora aboliva una mia ‘scelta’ e affidava unicamente a una ‘fatalità’ il mio intervento sulla superficie», ricorda l’artista in una testimonianza riportata nel catalogo dell’antologica alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma nel 1991.

L’immagine viene trasmessa tutta insieme e in uno stesso momento. L’immediatezza e la incorreggibilità dell’immagine nasce dalla contemporaneità di ogni punto della superficie con qualunque altro punto nello stesso momento dell’esser trasmesso. Stampare è come riprodurre dal di dentro una luce di lampo che illumina tutte insieme le cose dell’immagine…. Il contatto con la materia… avviene attraverso il tuo premere fisico, il tuo peso corporale: che è totale ma al tempo stesso cieco” (da Giornale di pittura, Roma, dicembre 1957).

Grandi tele del 1958, quali Ininterrotto o Sabato sera, sono il preludio della svolta successiva, quando le impronte si fanno seriali come in Due orizzonti n. 2, 1959. “La ‘ripetizione’ – la ‘forma-impronta’ che ripete se stessa nel campo della pagina dipinta, ricordando quanto è stata e prevedendo quel che sarà, in un ritmato fluire del tempo – è adesso per Scialoja la via privilegiata verso la verità della pittura: e invera il transito dall’esistenzialismo e dal volontarismo del gesto… al nitore del pensiero fenomenologico.” (Fabrizio D’Amico, 1999).

 

Ininterrotto, 1958
sabbia e vinilico su tela di canapa,
113,6 x 145,3 cm
Sabato sera , 1958
sabbia e vinilico su tela
di canapa, 199,5 x 142,5 cm
Due orizzonti n. 2 , 1959
polvere di marmo, sabbie
e vinilico su tela di canapa,
172,7 x 113,7 cm

Il percorso espositivo prosegue con Dal teatro, appartenente alla serie dei teleri del 1960, molti dei quali realizzati nei mesi trascorsi da Scialoja a New York, in un loft in Greenwich Street. I dipinti nati durante questo suo secondo soggiorno negli Stati Uniti, da marzo a settembre, segnano uno stacco dal suo precedente lavoro, nel senso della monumentalità e della essenzialità. Sono palesemente frutto di sensibilità e formazione radicate in una terra diversa da quella d’oltreoceano, ben lontani da un’aperta adesione alle esperienze americane, e dunque governati, al contrario, da una severa ma incoercibile urgenza di “forma” del tutto europea.

Dal teatro , 1960
sabbia, vernice e vinilico su tela di canapa
199,6 x 230 cm

Tra il 1961 e il 1964 Scialoja vive a Parigi, dove lavora intensamente in uno studio in rue de la Tombe Issoire. Le tele di quel periodo si connotano per l’uso di materiali anticanonici quali corda, garza e pizzi, come in Issoire argento, 1961, e in Corda bianca, 1963. La corda, in particolare, isola sulla tela campi contigui ma distinti, in cui si inscrive l’impronta a visualizzare un processo temporale e ritmico, evidente nell’alternanza di pieno e vuoto, di scansione e pausa, di presenza e assenza. Le lezioni di Merleau-Ponty seguite alla Sorbona sono il contraltare all’irrazionalismo respirato a New York.

Appella sostiene che “non c’è nulla di arbitrario e di gratuito in questa libertà espressiva nata da una intensità di sentimento e confermata, giorno dopo giorno, dalle meditazioni raccolte nel Giornale di pittura e nelle lettere a Gabriella Drudi, proprio tra il 1957 e il 1963, da New York e da Parigi. Abbandono e istinto (Il sette di settembre, 1957), volontà di comunicare in profondo e frenesia (Acceso n. 2, 1958), ricerca della perfezione e sgomento (Greenwich bianco, 1960), speranza e delirio (Issoire argento, 1961), passione e fermezza (Corda bianca, 1963) si alternano inarrestabili in una realtà estratta dal caos e incanalata nel fluire dell’universo (Ripetizione con fiori, 1963)”.

Corda bianca , 1963
carta di giornale, garza, pizzo, corda, vinilico,
vernice, sabbie su tela di canapa, 140 x 235,5 cm

Toti Scialoja. Impronte OPERE 1957-1963

in collaborazione con Fondazione Toti Scialoja
a cura di Giuseppe Appella
Verona, Galleria dello Scudo
16 dicembre 2023 – 30 marzo 2024
orario: lunedì – sabato 10.00 – 13.00 / 15.30 – 19.30
www.galleriadelloscudo.com

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