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La Bussola di Ago. Diamanti, di Ferzan Ozpetek

Diamanti, di Ferzan Ozpetek Diamanti, di Ferzan Ozpetek
Diamanti, di Ferzan Ozpetek
Diamanti, di Ferzan Ozpetek

Cast tutto al femminile per Ozpetek e il suo nuovissimo inno alle donne, campione d’incassi al box office

– Scoop!

– Che succede?

– Non mi era mai successo! …Cioè no, veramente una volta, una volta sola sì. Ma era milioni di anni fa, nel 1997…

– Il solito esagerato.

– Beh, un secolo fa, allora. Meglio?

– Sicuramente più preciso e puntuale. E che ti successe nel “lontano” 1997?

– Sono uscito felice e soddisfatto da un film di Ferzan Ozpetek. Era il suo esordio nel cinema. Titolo: “Il bagno turco”. Una torbida storia, anzi, macché torbida, una naturalissima storia d’amore e d’amicizia tra due maschi (per altro bellissimi entrambi: Alessandro Gassmann e Mehmet Günsür) che mise in allarme metà delle giovani coppie italiane di sposini freschi, perché se perfino Gassmann junior, maritato nel film con Francesca D’Aloja, poteva innamorarsi di un ragazzo tra i fumi e i vapori di un Hamam, lo stesso sarebbe potuto accadere ai maritini trentenni delle neo-coppie italiche fondate sulla garantita eterosessualità del matrimonio cattolico.

– Poi sono passati questi “milioni di anni”…

– Esatto. E Ozpetek non ne ha più azzeccata una. Parlo secondo il mio modo di vedere, naturalmente. Perché se “Harem Suaré” non andò al di là di un buon successo critico e di stima, con “Le Fate Ignoranti” ha avuto inizio l’idillio permanente con un pubblico sempre più fedele e numeroso di signore attempate e di gay, e al loro relativo corteo di amiche e amici di età varia, e di altrettanto vario “colore” sessuale.

– Deduco che non apprezzasti granché nessuno dei due.

– Già. E un po’ mi dispiaceva assistere alla sdoganatura nel cinema italiano del gay all’americana, belloccio, palestrato e con la spettrografia caratteriale che va dalla parrucchiera acida al serio professionista cinico e musone. Dopo anni di vecchi morbosi e bavosi dalla mano morta, o travestiti morti male, anzi malissimo, si affacciavano sugli schermi tipologie di omosessuali completamente diverse che importarono in Italia i colori e l’ideologia statunitense del Pride e della bandiera arcobaleno.

– Beh, non mi sembra malvagio come risultato.

– Se lo dici tu, taccio e mi adeguo. Fatto sta però che venne via via creandosi quest’esercito di màscoli pelosi, pelati e baffuti che a braccetto con bòni mai visti dall’apparenza etero ma frivoli e leccati come bambole di cera si aggregarono sotto sigle sempre più lunghe per arrivare a comprendere tutta la mappatura delle eventuali “diversità” erotico-sentimentali, con una lingua comune, un’estetica condivisa, e gusti identici in fatto di cinema, letteratura e musica (Mina, Mina e solo Mina), alla faccia della condanna pasoliniana dell’omologazione borghese…

– Come sei severo.

– Massì, lasciami sfogare. È che l’effetto “Almodòvar wannabe” che aureggia in tutte le fatiche del Turco non riesce mai a trovare una sua compiuta definizione. Da cui l’inesportabilità di prodotti adorati in questa sua seconda patria ma sconosciuti al mercato estero che conta. Se Almodòvar e i suoi film grondano grande cinema da ogni fotogramma, l’ambito di Ozpetek non sconfina mai dal fotoromanzo, o al massimo dalla fiction made in Italy. Ciò nonostante si corre sempre al primo spettacolo del primo giorno a vedere ogni suo nuovo titolo con l’acquolina che già pregusta l’imbarazzo, il “cringe”, la comicità involontaria garantiti dalla sua statura di narratore.

– Stavolta invece?

– Ecco, stavolta devo ammettere che qualcosa è successo, e mi sono ritrovato intrattenuto con una certa sagace perizia, diciamo.

– “Sagace perizia”! ahahah…

– Ellosò, a parlare di Ozpetek mi esce spontaneo l’italiano antico delle mie prozie…

– Dài, torna serio. Cos’ha di diverso questo nuovissimo “Diamanti”, campione di incassi al botteghino come da tempo non gli succedeva, al buon Ferzan?

– Primato meritatissimo, invece. Almeno stavolta. …È evidente che sia il contesto sia l’idea stessa del suo cinema mi sono e mi restano completamente estranei, ma considerando le ragioni dello spettacolo, e di un prodotto destinato a un pubblico specifico (quello tutto da recuperare in sala delle donne italiane dalla trentina in su, con relativi fidanzati o mariti), “Diamanti” ha una marcia in più rispetto a tutti gli altri suoi film. L’immaginario è sempre quello delle donne come le vede un omosessuale sulla sessantina, che attribuisce loro gli stessi appetiti che nutrirebbe lui verso ragazzotti fisicati e rigorosamente in t-shirt attillate (oggetti di quello che nella situazione contraria – ovvero maschi di mezza età arrapati da procaci fanciulle in fiore, verrebbe con spregio politicamente corretto definito “cat calling”, ma non importa), eppure tutto funziona grazie all’affiatamento di un cast femminile al 90 per cento, concertato con abilità e di ciascuna attrice evidenziando qualità peculiari e caratteri specifici (le mie personali preferenze vanno senz’altro a Carla Signoris, Mara Venier e Vanessa Scalera, ma pure a Geppi Cucciari, Anna Ferzetti, Paola Minaccioni e Lunetta Savino), e non mi ha infastidito, come è successo a molti altri, il ricorrente cammeo narcisistico dell’autore. Per carità, sempre di Cinema “vecchio” stiamo parlando, che resta fondamentalmente inesportabile oltreconfine dove non so quanti se lo filerebbero. Ma se almeno da noi al botteghino tira, sia il benvenuto, e i considerevoli introiti dimostrano che il congegno (così come nel caso dell’ottimo “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi) funziona. Perciò una volta tanto, mi concedo volentieri di gridare “Grazie, Ozpetek!”

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