Per i grandi architetti la suprema regola delle proporzioni nasce dall’animo. Grazie al Palladio, l’architettura italiana è diventata ancora una volta universale.
(Ottavio Cabiati)
Teatro Olimpico di Vicenza
Epoca di costruzione: 1580-1585
Architetto: Andrea Palladio
Il Teatro Olimpico è una delle meraviglie artistiche di Vicenza. Si trova all’interno del cosiddetto Palazzo del Territorio, che prospetta su piazza Matteotti, all’estremità orientale di corso Palladio, principale direttrice del centro storico. Nel Rinascimento infatti un teatro non è un edificio a se stante – come diventerà di prassi in seguito – ma consiste nell’allestimento temporaneo di spazi all’aperto o di volumi preesistenti; nel caso di Vicenza, cortili di palazzo o il salone del Palazzo della Ragione.
Nel 1580 il Palladio ha 72 anni quando riceve l’incarico dall’Accademia Olimpica, il consesso culturale di cui egli stesso fa parte, di approntare una sede teatrale stabile. Il progetto si ispira dichiaratamente ai teatri romani descritti da Vitruvio: una cavea gradinata ellittica, cinta da un colonnato, con statue sul fregio, fronteggiante un palcoscenico rettangolare e un maestoso proscenio su due ordini architettonici, aperto da tre arcate e ritmato da semicolonne, all’interno delle quali si trovano edicole e nicchie con statue e riquadri con bassorilievi.
La critica definisce l’opera ‘manierista’ per l’intenso chiaroscuro, accentuato tra l’altro da una serie di espedienti ottici dettati dalla grande esperienza dell’architetto: Il progressivo arretramento delle fronti con l’altezza, compensato visivamente dalle statue sporgenti; il gioco di aggetti e nicchie che aumentano l’illusione di profondità. Il Palladio appronta il disegno pochi mesi prima della sua morte e non lo vedrà realizzato; sarà il figlio Silla a curarne l’esecuzione consegnando il teatro alla città nel 1583.
La prima rappresentazione, in occasione del Carnevale del 1585, è memorabile: la scelta ricade su una tragedia greca, l’Edipo Re di Sofocle, e la scenografia riproduce le sette vie di Tebe che si intravedono nelle cinque aperture del proscenio con un raffinato gioco prospettico. L’artefice di questa piccola meraviglia nella meraviglia è Vincenzo Scamozzi, erede spirituale del Palladio. L’effetto è così ben riuscito che queste sovrastrutture lignee diventeranno parte integrante stabile del teatro. Sempre allo Scamozzi viene affidata anche la realizzazione degli ambienti accessori: l’Odeo, ovvero la sala dove avevano luogo le riunioni dell’Accademia, e l’Antiodeo, decorati nel Seicento con riquadri monocromi del valente pittore vicentino Francesco Maffei.
La fama del nuovo teatro si sparge prima a Venezia e poi in tutta Italia suscitando l’ammirazione di quanti vi vedevano materializzato il sogno umanistico di far rivivere l’arte classica. Poi, nonostante un avvio così esaltante, l’attività dell’Olimpico venne interrotta dalla censura antiteatrale imposta dalla Controriforma e il teatro si riduce a semplice luogo di rappresentanza: vi viene accolto papa Pio VI nel 1782, l’imperatore Francesco I d’Austria nel 1816 e il suo erede Ferdinando I nel 1838. Con la metà dell’Ottocento riprendono saltuariamente le rappresentazioni classiche, ma si dovrà attendere l’ultimo dopoguerra, scampato il pericolo dei bombardamenti aerei, per tornare seriamente a fare spettacolo in un teatro che non ha uguali al mondo. (teatrolimpicovicenza.it)
Teatro Olimpico (Teatro all’Antica) di Sabbioneta (MN)
Architetto: Vincenzo Scamozzi
Epoca di costruzione: 1588 – 1590
Descrizione
L’architetto immagina una sala rettangolare, in cui lo spazio riservato all’orchestra è nettamente separato dagli altri destinati al pubblico e alla scena: si sente, in questa modulazione dello spazio teatrale, l’eco delle riflessioni di Sebastiano Serlio, architetto e trattatista che Scamozzi ben conosceva. Forse dal Buontalenti, dal teatro degli Uffizi, Scamozzi deriva invece la soluzione scelta per il pavimento della sala, che è lievemente inclinato verso il palcoscenico, per permettere una visione migliore agli spettatori. La cavea, riservata agli uomini della corte, è formata da cinque gradoni in legno: alle dame di corte e al duca è destinata, invece, la loggia scandita da dodici colonne corinzie e conclusa da statue in stucco di divinità antiche che poggiano sull’architrave. Come di consueto, anche per il suo teatro Vespasiano scelse un programma iconografico che svolgeva il tema degli uomini illustri: ai busti scolpiti, d’ispirazione classica, posti nelle nicchie della loggia rispondono gli affreschi monocromi della parete di fondo, che fingono statue in bronzo d’imperatori romani. Nel registro superiore della parete, finti spettatori si affacciano da una finta loggia che, con elegante gioco illusionistico, ripete la struttura di quella reale; e, per completare l’illusione, Scamozzi aveva disegnato una scena fissa, sul modello delle prospettive di città di Baldassarre Peruzzi, ricca di allusioni alle architetture reali di Sabbioneta. Purtroppo quella scena, oggi, possiamo soltanto immaginarla; fu distrutta, infatti, già prima del 1780 (Mazzoni – Guaita, 1985).
Notizie storiche
Nel 1588 Vespasiano Gonzaga avviò, infine, la grande impresa del Teatro, e sarà l’ultima, ormai, per il duca, che si concesse, questa volta, la scelta di un architetto prestigioso, Vincenzo Scamozzi, che aveva lavorato con Andrea Palladio nel cantiere del Teatro Olimpico di Vicenza. Vincenzo Scamozzi arrivò a Sabbioneta il 3 maggio 1588, e subito preparò un primo disegno da sottoporre al duca (Mazzoni – Guaita, 1985). Il progetto definitivo purtroppo non lo conosciamo, ma le linee fondamentali definite in quel suo primo appunto del 10 maggio 1588 saranno, per la maggior parte, rispettate (Mazzoni – Guaita, 1985).
I lavori procedettero con rapidità: già nel 1590 l’edificio era concluso e, per il carnevale di quell’anno, si poté inaugurare la prima stagione teatrale. Ma ebbe vita breve, il teatro di Sabbioneta: Vespasiano Gonzaga morì appena un anno dopo, nel febbraio 1591, senza eredi maschi, e con lui terminò la vita fastosa della piccola città. (lombardiabeniculturali.it)
Foto: Luca Zuccala