Due tra i più importanti storici dell’arte italiani, contraddistinti dalla marcata passione e propensione per l’impegno civile, Salvatore Settis e Tomaso Montanari, parlano del nuovo volume di Bruno Zanardi, uno dei più noti restauratori italiani, fondatore nel 2001 del primo corso universitario di restauro nel paese presso l’Università di Urbino, nella quale insegna. Riprendendo il titolo de “Il paese senza” di Arbasino, il volume – “Un patrimonio artistico senza” edito da Skira – racconta il grave ritardo culturale in cui giacciono restauro, conservazione e tutela oggi in Italia. Una miscela letale di confusione, incompetenza e consuete vergogne politico-culturali cui siamo avvezzi, a cominciare dall’immagine-simbolo sulla copertina del libro: il Palazzo del Governo a L’Aquila sventrato dal terremoto. Oltre ai casi di indecenze italiche anche una serie di esempi positivi, a dimostrazione di come la partita per dare un futuro al nostro patrimonio storico e artistico sia ancora aperta.
– Salvatore Settis, l‘Italia è “Un patrimonio artistico senza”…
– Tanto per cominciare SENZA personale e SENZA soldi. Il nostro patrimonio artistico è senza queste cose e, a monte dell’una e dell’altra cosa, senza la minima sensibilità da parte di chi ci governa per queste tematiche. Cosa scriviamo a fare delle norme se poi non ci sarà chi le applica? Se poi le soprintendenze archeologiche in Italia, per fare un esempio, non hanno più i soldi per la benzina e nemmeno le autorizzazioni per le missioni per andare a vedere i rinvenimenti casuali e stabilire se in quel posto vale la pena fare uno scavo o meno?
Il problema è l’inadeguatezza delle norme applicative, delle leggi generali di tutela, compreso il Codice dei Beni Culturali. Qualche volta scendono troppo nel dettaglio, dovrebbero dare delle indicazioni più generali. Poi bisogna vedere chi le attua queste cose. Le soprintendenze sono sempre meno in grado di farlo perché il livello del loro personale sta diminuendo. Il numero degli addetti cala in continuazione. Per 10 persone che vanno in pensione, negli ultimi 20 anni ne è stata assunta meno di una. Quindi, chiaramente, il numero degli addetti cala e la loro qualità non è detto che salga. Abbiamo uno straordinario bisogno di nuovo personale da assumere sulla base del merito a livello non solo italiano ma, come minimo, europeo. Competente e con delle idee nuove perché il guaio è che l’età media del personale delle soprintendenze è più vicina ai 60 che ai 50 anni.
Negli ultimi concorsi invece di fare i temi di una volta ci son stati dei quiz di matematica o domande su quanti siano i meridiani e i paralleli. Cose che con la storia dell’arte non hanno niente a che vedere. Con dei meccanismi di assunzione così, soltanto l’angelo custode dell’Italia – se l’Italia ne avesse mai uno ma non ce l’ha – potrebbe fare in modo che ci siano dei funzionari competenti. Nelle soprintendenze abbiamo fianco a fianco dei funzionari bravissimi ed eroici che fanno il massimo e di più, pur essendo pagati pochissimo, e delle altre persone che avanzano nelle loro carriere semplicemente perché non ce ne sono più altri e non si fanno assunzioni.
Con il mantra secondo cui è meglio assumere in modo precario piuttosto che in modo stabile, con cui già non sono d’accordo in generale e di più ancora in questo caso particolare, non si può immaginare che si assuma per un lavoro come questo delle persone per 3 anni senza certezza del futuro per poi cambiare in continuazione. Ad un Ministro dei Beni Culturali di qualche anno fa ho provato – con scarso successo – a spiegare che non è vero che un soprintendente è come un prefetto o un questore che ogni 3 anni deve girare, perché una volta che uno si è fatto delle competenze di arte veneta non è detto che sia altrettanto competente dal primo giorno se lo spedisci a Napoli.
Primo punto. Si tratta quindi di creare e assumere del personale di altissima qualità mettendo fine a questa ridicola opposizione tra Ministero dell’Università che negli ultimi 20 anni ha creato decine di corsi di laurea e addirittura di facoltà con lauree in Beni Culturali – per non parlare di quelli che ancora tradizionalmente si laureano in corsi di Storia dell’arte, Archeologia, Restauro, ecc. – laureando decine di migliaia di ragazzi per condannarli alla totale disoccupazione in mancanza di assunzioni.
Secondo punto: una formazione adeguata. Il fatto è quello di avere moltissimi storici dell’arte che non sanno più spiegare perché valga la pena studiare e insegnare la storia dell’arte. Non sanno più cogliere il nesso tra la storia dell’arte e la vita civile del paese.
Ultimo punto è la valorizzazione e la sponsorizzazione dei beni culturali. Il tema pubblico/privato, discorso molto ampio e molto difficile da affrontare in questo momento perché ci sarebbe bisogno di troppo tempo. Accenno soltanto che non è un privilegio vivere in un paese come l’Italia dove si continuano a confondere il mecenatismo con la sponsorizzazione e con chi entra nei musei solo per guadagnarci. Sono 3 cose completamente diverse che continuiamo a confondere.
A fronte di queste cose che ci mancano, di altre cose ne abbiamo anche troppe. Abbiamo ad esempio troppe norme, troppa stratificazione di norme. Troppe norme che contrastano fra di loro. Questo è valido, ad esempio, per il paesaggio dove ci sono contrasti fra le leggi nazionali e leggi regionali. Ma anche fra le stesse leggi nazionali ci sono contrasti: a volte il Ministero dei Beni Culturali propone una legge che riguarda il paesaggio, poi arriva quello dell’Ambiente e ne dice un’altra che riguarda l’ambiente, poi arriva il Ministero delle Politiche Agricole, recentemente rappresentato da “grandi” padri e madri della patria – come tutti sanno – che stabilisce un’ulteriore normativa perché il paesaggio agricolo è diverso dal paesaggio che è a sua volta diverso dal territorio e che non ha nulla a che fare con l’ambiente. Cioè: la moltiplicazione delle norme non fa che creare problemi.
E poi lo spreco gigantesco dei fallimenti e delle duplicazioni nelle catalogazioni. Quante volte abbiamo catalogato la stessa cosa a livello del Comune, della Regione, dello Stato. Manca la bussola. Manca l’orientamento. Siamo senza e siamo con troppe cose.
In questo senso, il libro di denuncia di Bruno Zanardi credo sia un libro molto utile da leggere. Zanardi è una persona scomoda perché ha l’abitudine di lagnarsi, che già è una pessima abitudine, ma lui ne ha una ancora peggiore: lui si lagna e poi documenta le ragioni per cui si lagna e questo è imperdonabile.
– Così Tomaso Montanari:
– Bruno Zanardi è uno dei pochi storici dell’arte che dice in pubblico quello che molti storici dell’arte si dicono in privato. E questo scollamento tra discorso pubblico e privato è uno dei grandi tradimenti degli intellettuali di questo paese. E’ un libro d’amore che, come spesso succede in questi casi, è un libro disperato perché continua a sperare nonostante dimostri che c’è poco da sperare. Questo amore per il patrimonio artistico, per la storia dell’arte, non è un amore per le cose ma per le persone, per i cittadini di questo paese. La copertina del libro è una copertina importante. Da buon storico dell’arte Zanardi ha condensato nell’immagine quello che c’è nel libro e l’immagine è quella della Prefettura de L’Aquila come si è fermata alla 3.32 della notte del 6 aprile 2009. Il Palazzo del Governo distrutto. Il patrimonio raccontato da Bruno Zanardi è un patrimonio SENZA Governo, innanzitutto, e qui lo si vede molto bene.
Bruno Zanardi
Un patrimonio artistico senza. Ragioni, problemi, soluzioni
2013, 15 x 21 cm, 168 pagine
brossura
€ 18,00
SKIRA