Si srotolino tappeti di soffici moquette argentate a Giacometti, si spalanchino le porte reali a quest’ondata di aria nuova. La Galleria d’Arte Moderna di Milano è rinata. Bronzi per Expo? Per ora godiamoci questo antipasto bronzeo in GAM condito a gessi, disegni, schizzi ed olî del maestro del Canton Grigioni.
Il “new deal” dell’istituzione meneghina, quale polo espositivo internazionale dedicato alla scultura moderna, inaugura la sua personale rinascenza civica sulla via per Expo con una deliziosa retrospettiva su Alberto Giacometti, ricamata ad hoc per la sale a pian terreno. Dimenticatevi i “memorabili” anni bui delle passate stagioni con testi braille al contrario, sale spente o del tutto chiuse, piani aperti a singhiozzo, disordine e trasandatezza imbarazzante.
Come non scordare i famosi cartellini anarchici messi/non messi, vedo/non-vedo per “una libera interpretazione delle opere e una fruizione artistica attraverso reminiscenze scolastiche” in una performance curatoriale-gestionale assai discutibile. Dimenticatevi tutta quella pena, l’agonia è finita. La GAM di Milano è uscita dal pubblico dimenticatoio.
Si passeggia così felpati tra moquette morbidissime che mascherano i parquet scricchiolanti e accarezzano il passo verso la “Rinascenza” nella neoclassicissima Villa Reale. L’Esistenzialismo scarnificato dei bronzetti filiformi e ieratici di Alberto Giacometti si alterna alle sale settecentesche Stile Impero. Cortocircuito stilistico espositivo. Gli specchi alle pareti riflettono all’infinito la solitudine dei busti bronzei, i tavoli di marmo sorreggono le sculturine appese precariamente ai piedistalli o intrappolate in gabbia. Dal mondo intimo dello scultore si passa alla commistione delle avanguardie fino agli ultimi imponenti lavori per un totale di 60 opere.
Constatiamo fisicamente la svolta della civica istituzione, guardando con ottimistica speranza questo cambio di passo che lasci alle spalle definitivamente i tetri anni della vecchia GAM.
Ci racconta questo “cambio di passo” Paola Zatti, Conservatore Responsabile.
Finalmente. Un cambio di passo incredibile tra la “vecchia” GAM di qualche anno fa e quella che in questi mesi ha inaugurato il restauro della Collezione Grassi-Vismara e dell’allestimento di Ignazio Gardella e ora celebra il “nuovo corso” con la mostra di Giacometti. Complimenti.
Grazie. Inauguriamo una nuova stagione per la Galleria d’Arte Moderna. I percorsi espositivi sono stati sistemati in questi ultimi tempi. Il museo e le collezioni permanenti sono a posto ed esposti tra primo e secondo piano. Oltre ad essere un museo funzionale mi auguro sia diventato un museo che racconta.
Il “nuovo corso” prevede delle mostre temporanee a cui abbiamo dedicato tutto il pian terreno della Villa Reale.
Quindi, sì, è un cambio di passo importante che abbiamo voluto inaugurare con un artista prestigioso di livello internazionale perché abbiamo bisogno di abituare un pubblico differente da quello che abbiamo avuto fino adesso. Speriamo che Giacometti, artista di richiamo europeo e mondiale, risponda a questa nostra esigenza.
Si è voluto instaurare un dialogo espositivo con le sale della villa, i decori settecenteschi e la quadreria dell’Ottocento. Com’è stata progettata la mostra?
La mostra di Giacometti abbiamo voluto curarla con un partner d’eccezione che è la Fondazione “Alberto e Annette Giacometti” di Parigi con cui abbiamo tessuto il progetto in stretta collaborazione. Devo dire che la curatrice, Catherine Grenier (Chief curator e direttore della Fondazione), è stata molto brava perché ha costruito la mostra sui nostri spazi ed era quello che ci interessava per dare il giusto peso all’artista ed il giusto peso agli spazi del museo.
Che Giacometti è rappresentato in mostra e come mai avete scelto proprio l’artista svizzero, oltre che per la sua internazionalità?
Abbiamo avuto questa opportunità della Fondazione che ci ha offerto un progetto interessante. Volendo dedicare una programmazione alla scultura ci sembrava un’ideale maestro del Novecento da cui partire.
In mostra c’è tutto l’artista, c’è tutto quello che c’eravamo prefissi di rappresentare: l’intera parabola artistica. Dagli esordi, dalle prime opere del periodo post-cubista e surrealista fino all’epilogo. Questo perché vorremmo che le nostre mostre raccontassero. Raccontassero degli artisti, raccontassero dei momenti dedicati al linguaggio della scultura.
Prossima tappa?
Prossima tappa con Medardo Rosso che è un artista nostro (la GAM ha il nucleo più importante in Italia delle opere dello scultore torinese). Sarà quindi una sfida ancora più importante. Medardo inaugurerà a febbraio e sarà una mostra che partirà da un nostro nucleo collezionistico, quindi per noi è una sfida importantissima.
Qualche chicca?
Ci saranno delle opere d’eccezione, a volte anche mai uscite dalle loro sedi di appartenenza. Anche in quel caso sarà una mostra molto semplice, molto didattica. Medardo non viene presentato a Milano dagli Anni Settanta, quindi è giusto raccontarlo in un certo modo.
Altri progetti dopo Medardo?
Sempre progetti legati alla scultura, partendo dalle nostre opere e valorizzandole. Stiamo lavorando ad un progetto su Adolfo Wildt.
Qualche altra novità per Expo?
Per Expo abbiamo attivato una serie di servizi che prima non esistevano, uno spazio-atelier permanente dedicato alla didattica per i bambini sempre attivo. Poi dovremmo aver pronta la caffetteria.
Bentornata GAM. Era ora.
Le foto della mostra
“La realtà mi sfuggiva. Prima credevo di vedere con assoluta chiarezza le cose, di essere in una sorta di intimità con il tutto, con l’universo… Poi, tutt’a un tratto, l’universo è diventato estraneo.” (Giacometti)
“Da sempre la scultura, la pittura e il disegno sono i mezzi per rendermi conto della mia visione sul mondo esteriore” (Giacometti)
“Ogni figura ha l’aria di andare per conto suo, tutta sola, in una direzione che le altre ignorano. Si incrociano, si sorpassano, senza vedersi, senza guardarsi. Non raggiungeranno forse mai la loro meta. L’unica cosa che mi appassiona è cercare comunque di avvicinarmi a questa visione che mi pare impossibile rendere.” (Giacometti)