Mommy è il quinto lungometraggio dell’enfant prodige Xavier Dolan, presentato all’ultima edizione del Festival di Cannes dove si è aggiudicato il Premio della Giuria e la nomination alla Palma d’oro.
Diane –“Die”– è una donna senza lavoro, sfortunata, spiccia e arrogante. Diane va a riprendersi Steve, il figlio iperattivo e ingestibile rinchiuso in un riformatorio correttivo dove Steve ha appena massacrato di botte un compagno: cosa può farne Die di un figlio così?
Mommy è la storia di un rapporto tra madre-figlio, di una madre con scarse capacità di controllo e un figlio con una seria malattia mentale che lo rende spesso vittima di atti di violenza incontrollabile. Le loro urla di-sperato amore e di disperata follia s’infrangono come onde sulle porte delle case nel quartiere di un’anonima città del Quebec. Proprio dietro una di queste porte si nasconde, nel vero senso della parola, una timidissima insegnante in anno sabbatico, la balbuziente e remissiva Kyle. Attratta dai rumori della vivace coppia, Kyle trova il coraggio di uscire di casa e scivola così nella vita di Diane e Steve.
Nei fotogrammi di Mommy c’è spazio per una sola persona. Letteralmente. Dolan infatti sceglie di restringere lo schermo a un quadrato, in un formato più stretto di un 4:3. Due barre nere a lato ci danno dapprima l’impressione di sbirciare da una serratura, poi ci tolgono il respiro, facendo fuoco sugli attori, quasi a volerli immobilizzare, placcare.
Nei primi frammenti il regista colloca l’azione in Canada, in un futuro imminente in cui è appena stata varata una nuova legge che permette ai genitori con figli problematici di “affidarli” a istituti psichiatrici rinunciando così a ogni diritto genitoriale. Poi lo schermo si restringe e inizia così la prima sensazione di disagio. Con questo campo stretto sui personaggi, Dolan cerca di entrare nella vita di un figlio, di una madre e di una vicina, finendo per creare tre personaggi fragili, caotici, complessi e spesso detestabili.
Steve, interpretato da Antoine-Olivier Pilon, è invadente, abbonda di parolacce e fa smorfie. Diane, Anne Dorval – in una grande interpretazione – lo ama alla follia: come in una sorta di Edipo contemporano – si insultano, si abbracciano, si picchiano e si giurano amore: “Ma noi ci amiamo ancora vero?” “Certo, è la cosa che ci riesce meglio”.
E poi c’è Kyle, la misteriosa e fragilissima Kyle, che s’inserisce tra queste due complesse esistenze con un che di miracoloso; come ex insegnante cerca di studiare con il ragazzo e si fa punto di riferimento per entrambi. Ma potrà davvero essere capace di salvare Steve? Man mano che queste tre anime entrano in sintonia, riappropriandosi della loro vita e ritrovando un barlume di speranza, gli orizzonti si allargano.
Così, in un grande slancio di vitalità e di gioia, Steve apre le braccia correndo al centro della strada, davanti alla madre, a Kyle, davanti a tutti. E come per magia lo schermo di fronte ai nostri occhi si allarga e ci consente finalmente un respiro di sollievo, almeno per un momento.
Forse è sbagliato svelare ai lettori questo colpo di scena “visivo”, ma allo stesso momento è cosa necessaria per poter davvero trasmettere la forte intensità emotiva del film.
Restano nel cuore i balli, l’amore violento, le proiezioni oniriche dei personaggi e la presenza musicale schiacciante, dai volumi che si alzano, si abbassano e alle volte si sovrappongono.
Mommy è un film intenso, complesso e violento proprio come i suoi personaggi. Xavier Dolan gioca con lo spettatore proprio come la realtà di tutti i giorni: ti schiaccia sulla poltrona, ti toglie il fiato e poi – per un momento soltanto – ti lascia respirare, ma resta sull’orizzonte lontano, fino alla fine, la speranza.
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