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Diana Krall, Wallflower: l’album del ritorno tra malinconia e qualche sbadiglio

Diana Krall, Wallflower è l’album del ritorno in sospeso tra malinconia e qualche sbadiglio. È tornata, la spina nel fianco di tutte le cantanti jazz; così per lo meno l’ha definita Dee Dee Bridgewater in un’intervista di qualche tempo fa:”Penso che sia la spina nel fianco delle cantanti jazz […] e non è una sua colpa. […] abbiamo la stessa casa discografica e con il suo aiuto è stata capace di oltrepassare il jazz e diventare  una pop jazz singer […] non credo che sia al livello di Dianne Reeves o al mio come cantante, ma io non sono al suo livello come pianista…“.

Molto brava nel suo stile, che non è il jazz, dicono gli amanti del genere. Diana, vincitrice di 5 grammy, con Wallflower sposta ancora il confine tra i generi e si avventura in una declinazione ancor più mainstream del suo approccio al fare jazz, non riuscendo però a centrare il bersaglio. 

diana krall wallflower

Per questo nuovo lavoro Diana Krall ha raccolto infatti una serie di hit prese direttamente dalla sua gioventù: grandi classici e cavalli di battaglia dagli anni ’69, come California Dreamin dei The Mamas & the Papas o Superstar di Leon Russell, dagli anni ’70, con Sorry Seems to be Hardest Word di Elton John o la stessa title track, Wallflower di Bob Dylan. Qualche incursione anche negli anni ’80, con Feels Like Home di Bryan Adams: l’unica brano inedito è If I take you home tonight, scritta per la pianista e cantante canadese da Paul McCartney.

L’interprete di album come When I Look in Your Eyes e Quiet Nights con Wallflower per la prima volta nella sua carriera non pesca dal great american songbook, ma nel patrimonio dei grandi successi pop degli anni passati (eccezione fatta per il bellissimo The Girl in the Other Room, album di inediti scritto e prodotto in coppia col marito, Elvis Costello).

La voce calda e vellutata di Diana Krall si spinge quindi nel repertorio delle grandi ballate pop, tristi e malinconiche -come suo solito- ma su tutto sovrasta la produzione patinata e soporifera di David Foster, che stende su ogni canzone stanchi tappeti di muffa e banalità. Rari i momenti in cui Diana è libera al pianoforte, solo pochi assoli in tutto l’album, che regalano un po’ di ossigeno nella gabbia in cui resta incastrata la sua, some sempre, sensualissima voce.

[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=m0ESDJsVkcM[/youtube]

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