The Assassin, Palma d’argento (ovvero premio alla regia) a Cannes 2015. L’incredibile visione estetica di Hou Hsiao-Hsien, il cineasta cinese di Café Lumière.
Quella di The Assassin è una storia che affonda le sue radici nella storia e nell’estetica cinese. Ambientata nell’epoca della dinastia Tang (618-907) la vicenda racconta le gesta -e i turbamenti- di una donna cresciuta e istruita per essere una letale assassina, Nie Yinniang, interpretata da Shu Qi, attrice feticcio di Hou Hsiao-Hsien. Il regista di Café Lumière difatti l’aveva già diretta in Millennium Mambo e Three Times.
La protagonista, addestrata da Jiaxin -monaca guerriera e gemella della Principessa Jiacheng- ha il compito di assassinare i funzionari corrotti, come un vero e proprio sicario, ma i sentimenti rendono il suo compito più difficile del previsto…
Con The Asassassin, Hou Hsiao-Hsien, porta all’estremo la sua ricerca cinematografica, rendendo quella che su carta potrebbe sembrare una classica avventura Wuxia una vera e propria vertigine estetica. The Asassassin è un film costruito su chiasmi, su opposti: al lusso degli interni si contrappone la magnificenza del paesaggio naturale, alla violenza degli intenti la grazia delle immagini. Il cinema e la narrazione -come forme di esperienza estetica- si dipanano grazie a un ritmo lento, ma privo di vuoti. Quella di Hou Hsiao-Hsien è visione magica e poetica della realtà, ovattata. Porta alla memoria la poetica di Sergei Parajanov, il regista georgiano di, tra gli altri, Il colore del melograno e La leggenda della fortezza di Suram. Un cinema fatto di visioni, di diaframmi ottici che scompongono e mistificano le immagini – alberi, tendaggi, nebbia, atmosfera- ricche di dettagli, spesso misteriosi e allegorici, carichi di significati altri, trascendenti. The Asassassin è delicato come un acquerello, fulgido come una lacca. Le foreste di betulle e i laghi argentati della provincia dell’Hubei, della Mongolia Interna e del nord-est della Cina, richiamano alla vista l’eleganza, miracolosamente barocca e minimal, dell’arte tradizionale cinese. Un’alternanza di immagini incantate e magnetiche parlano al posto dei protagonisti, imperscrutabili, misteriosi, ma incredibilmente evocativi.
Avvenimenti misteriosi, forse magici, dialoghi criptici e duelli che sembrano balletti o corteggiamenti. Hou Hsiao-Hsien svuota la pellicola di tutto quel trambusto spettacolare di cui il Wuxia si era imbibito –La tigre e il dragone, Hero, La foresta dei pugnali volanti– e grazie al quale aveva ritrovato un nuovo successo nel mercato occidentale, per restituirlo a una dimensione meditativa e trasognata.
>> Non per tutti – Mi aspetta più botte, ha commentato qualcuno in sala. Un paio di persone sono uscite. Qualcun’altro ha sospirato, giureremmo, un che cojoni.
nani sarebbe il caso di leggere bene i testi prima di lanciarli