Sette anni dopo il suo ultimo film, John Cameron Mitchell torna al grande schermo con How to Talk to Girls at Parties, sci-fi ai limiti dell’assurdo tratto da un racconto di Neil Gaiman. Con Elle Fanning e Nicole Kidman.
21 maggio 2017. La 70. Edizione del Festival di Cannes è iniziata soltanto da pochi giorni e la Croisette si prepara alla proiezione di uno dei film in concorso. Il cielo volge al tramonto e la brezza marina scompiglia i capelli del pubblico, mentre i reporter sudano nei frac imposti dalla direzione. L’ingresso delle star è trionfale: John Cameron Mitchell, il regista tanto atteso, che per l’occasione sembra uscito da uno dei primi negozi londinesi di Vivienne Westwood; Elle Fanning, un fiore delicato che danza leggero fra i flash delle macchine fotografiche; Nicole Kidman, ricoperta di paillettes e più luminosa del sole; un buffo ragazzino inglese con il broncio e i capelli spettinati. Insieme a loro, un’esplosione di colori psichedelici, cinque strani individui vestiti di latex e con un sorriso arrogante. “Atmosphere is punk”, afferma la speaker ufficiale del Festival. No, non è il Met Gala. È la premiere di How to Talk to Girls at Parties.Tratto da un racconto di Neil Gaiman pubblicato per la prima volta nel 2006 e trasposto in fumetto nel 2016 dallo stesso Gaiman, How to Talk to Girls at Parties è la storia – inusuale – di tre adolescenti londinesi che, in piena rivoluzione contro-culturale e nell’anno simbolico del Giubileo della Regina (siamo nel 1977), a un’insolita festa fanno la conoscenza di un gruppo di individui… alquanto particolari.
Londra, fine anni Settanta: sotto l’incantesimo dei Sex Pistols, ogni teenager vuole essere un punk. Il giovane Enn, Imbucandosi al party di Boadicea, regina punk, trova di fronte a sé il sogno di ogni ragazzo della sua età: una festa piena di studentesse straniere. Quando incontra l’enigmatica Zan, è amore a prima vista. Solo che le ragazze appena conosciute sono straniere nel senso più ampio possibile: provengono dallo spazio profondo!
John Cameron Mitchell non è certo uno di quei registi che passano inosservati. Il suo debutto alla regia, nel 2001, parlava chiaro: la trasposizione cinematografica del musical di Broadway Hedwig – La diva con qualcosa in più, opera rock su un musicista transgender della Germania dell’Est – di cui è stato anche interprete principale, sia al cinema che in teatro – era una chiara ed esplicita dichiarazione di anticonformismo ed espressione selvaggia.
>> La sessualità e il suo lato più dirty, più sporco, erano al centro anche del lavoro successivo del regista inglese: Shortbus (Shortbus – Dove tutto è permesso, 2006), presentato a Cannes, metteva al centro della scena una serie di attori non professionisti e molte scene di sesso esplicito.
Dopo il più convenzionale Rabbit Hole (2010), How to Talk to Girls at Parties torna in pompa magna alle origini estreme dello stile del suo regista. Gli elementi della sua estetica fetish e un po’ perversa fanno capolino da ogni angolo: i costumi in latex dei visitors, i tacchi a spillo a mo’ di Armadillo di Alexander McQueen, le battute crude e le pratiche sessuali estreme, fino ai salti adolescenziali nelle pozzanghere.
Quando Enn e i suoi amici entrano a questa strana festa, gli extraterrestri si mostrano uno a uno per i corridoi di una villa abbandonata, teatro di balli e libertà sessuali; nei sorrisi imperiali e nei colori violenti, sembra di aver fatto un salto indietro nel tempo ed essere finiti nel castello di Frank-N-Furter, in The Rocky Horror Picture Show (Jim Sharman, 1975).
>> Venduto come un enorme affresco gender-fluid (ma si potrebbe dire anche genre-fluid), la sorpresa più bella del film è il suo risvolto romantico. Accettata l’incoerenza della trama, How to Talk to Girls at Parties è una bellissima storia d’amore, che nasce come un fiore ed esplode in una delle sequenze più belle del film: l’esibizione sul palco dei due protagonisti, strepitoso omaggio al musical degli anni Settanta, un po’ Hair (Miloš Forman, 1979) e un po’ Tommy (Ken Russel, 1975).
La passione che coinvolge i due protagonisti Enn & Zan (Alex Sharp, insieme a una Elle Fanning che sembra Cara Delevigne) li trascina in corse sfrenate, concerti e locali underground, raccontando l’avventura di una notte senza rinunciare alla dolcezza del primo amore.Sullo sfondo, la Londra di Malcom MacLaren e delle interviste ai Sex Pistols, quella di un’epoca di cui si ha nostalgia pur non avendola mai vissuta. Band giovanili con le t-shirt strappate e i Dr Martens sporchi di fango, i piercing sulla pelle bianca e le spille sul chiodo di pelle; la Londra delle Fred Perry, rubate dal movimento contro-culturale ai figli di papà e alle loro partite di tennis. Guidati dall’inimitabile, iconico british accent, che anche nel nuovo millennio continua ad affascinare, con Pete Doherty e alla generazione dei fan di Skins.
A fare da guardiana della rivoluzione giovanile è Nicole Kidman (di nuovo bellissima!) nei panni di Boadicea, sorella gemella del David Bowie di Labyrinth (Labyrinth – Dove tutto è possibile, Jim Henson, 1986), la talent scout (all’epoca in cui ancora esistevano i talent scout!) nonché dominatrix della wasted youth minorenne, artista eccentrica, stilista ricoperta di plastica e borchie, regina dei locali sotterranei nei quartieri di periferia.
Facendo da contraltare all’innocenza dei due protagonisti, sarà lei – a suon di musica e spirito di ribellione – a guidare il popolo punk nella guerra contro la razza aliena, al contrario così chiusa e limitata nella sua organizzazione gerarchica.“This is a moment!”, urla Boadicea capeggiando le fila della sua banda di freaks.
Presentato in anteprima italiana alla tredicesima edizione di Biografilm Festival di Bologna, How to Talk to Girls at Parties si riassume nelle parole della sua star: “a moment”. John Cameron Mitchell prova a tornare allo stile che l’ha contraddistinto all’inizio della sua carriera, esagerato e provocatorio; il risultato è entusiasmante, ma non così convincente e sembra ispirarsi più a Suicide Squad (David Ayer, 2016) che ai suoi lavori precedenti.
How to Talk to Girls at Parties è “un’avventura esotica e inusuale a ritmo di punk”. Ma quando il momento finisce, anche all’adolescente più ostinato, che nel buio della sua cameretta si strappa i jeans con le forbici da cucina, resta forse una strana sensazione di malinconia che non lo convince in pieno.
E forse forse non gli rimane che volgere le spalle allo schermo e tornare a casa, felice di aver visto un film assurdo, ma con un passo purtroppo indifferente. E con un’unica domanda in testa: ma come si parla alle ragazze alle feste?