Dopo l’eccezionale rassegna alla Tate Modern di Londra, un’altra grande retrospettiva del fotografo tedesco Wolfgang Tillmans sbarca alla Fondazione Beyeler di Basilea, la quale per la prima volta ospita un’esposizione completamente dedicata al medium fotografico, offrendo un nuovo sguardo sul linguaggio visivo e la poetica di uno dei più importanti fotografi contemporanei.
Le immagini sia figurative che astratte di varie dimensioni, alcune incorniciate, altre appese con delle spille, sono tutte esposte ad altezze differenti sulle pareti dello spazio espositivo. Così camminando lungo il percorso ci accorgiamo che questa non è una classica mostra fotografica. Sebbene al primo sguardo possa sembrare un po’ caotica, ogni dettaglio è stato precisamente pianificato e sistemato dall’artista stesso il cui oeuvre è libero e multi-valente proprio come questo ordine insolito. Senza dubbio, Wolfgang Tillmans ha rivoluzionato il modo di installare le fotografie, sistemandole in modo da poter formare un’impressionante composizione che non necessariamente deve essere cronologicamente e gerarchicamente collegata. Come ha sottolineato l’artista stesso, lui non crea le serie, ma piuttosto i gruppi tematici, le cosiddette “famiglie” che si sono sviluppate e sono maturate nel corso degli anni. In effetti, la mostra curata da Theodora Vischer in stretta collaborazione con Tillmans, raccoglie circa 200 fotografie datate dal lontano 1986 fino al 2017, un arco di tempo di più di 30 anni.
Tillmans ha soltanto 49 anni ma la sua notorietà cresce stabilmente dal 1990 quando raccontò al mondo il contesto delle sub-culture giovanili immerse nei club, nella musica techno e nei Gay Pride, utilizzando la fotografia. L’artista stesso ne faceva attivamente parte e fino ad oggi è rimasto sempre politicamente e socialmente coinvolto nelle cause più importanti. Tillmans spesso scatta i ritratti di attivisti, documenta l’ingiustizia, la resistenza delle persone oppure fotografa le manifestazioni come quella di “Black Lives Matter protest, Union Square” riguardante la morte di Michael Brown, un giovane studente afro-americano mortalmente colpito da un poliziotto a Ferguson in Missouri nel 2014.
E poi i ritratti, un forte e costante elemento del lavoro di Tillmans a cui piace ritrarre con immediatezza e spontaneità, mettendo in evidenza l’insolito e a volte lo strano aspetto dei suoi modelli. L’artista regolarmente fotografa i suoi più cari amici ma anche occasionali conoscenti, musicisti e celebrità come Quentin Crisp o Frank Ocean, per darvi un esempio.
Le fotografie come “Osaka still life”, “Nite Queen 3” oppure “raspberries&boot” sono straordinari esemplari di natura morta, un altro genere a cui si dedica spesso Tillmans, immortalando un insieme di frutti, fiori e vari oggetti che lascia in un certo spazio per giorni, mesi, addirittura anni finché non arriva il giorno in cui sente che il momento per catturare la vivente natura morta e trasformarla in una immagine è arrivato.
Sala dopo sala scopriamo diverse narrazioni, dai ritratti alle nature morte, dai paesaggi alle immagini astratte come quella di “Silver” oppure “Ostgut Freischwimmer, left”nella quale Tillmans indaga sulla materialità della fotografia sperimentando con i processi chimici e le pratiche off camera. Per esempio, in “Ostgut Freischwimmer, left” la luce non viene solo utilizzata come materiale ma diventa anche il soggetto dell’opera stessa sotto la forma di affascinanti luminogrammi (errori provocati dalla luce nel processo di stampa) somiglianti a una striscia di vernice oppure ai cappelli bagnati nell’acqua. Nell’opera “paper drop (green) II” Tillmans gioca con i limiti della nostra percezione manipolando la carta fotografica, un oggetto tridimensionale in modo da poterlo percepire come una bidimensionale forma astratta sullo sfondo bianco. Come vediamo, il confine tra reale e ciò che è fabbricato chiaramente si offusca nel lavoro di Tillmans ed è proprio questo il tema principale della sua mostra – la “made-ness” e la creazione delle immagini, l’illusione e l’artificialità – sono queste le qualità delle immagini che esplora il grande fotografo tedesco.
Tillmans, il primo fotografo non britannico a vincere il Turner Prize, è un artista decisamente eclettico, a cui piace sperimentare e sorprendere e di cui l’opera è molto fluida e in constante evoluzione, proprio come questa mostra dove diverse opere dialogano tra di loro procedendo per associazioni e rimandi. Il 2017 è decisamente l’anno di Tillmans, che non smette di far parlare di sé e che sembra prospettargli un futuro ancora più lucente davanti. La sua rassegna alla Fondazione Beyeler di Basilea è sicuramente uno degli eventi culturali dell’anno da non perdere.
Informazioni utili
Wolfgang Tillmans
a cura di TheodoraVischer
Dal 28 maggio al 1 ottobre 2017
FondationBeyeler
Baselstrasse 101, 4125 Basilea