Venezia 74. Charley Thompson, il nuovo film di Andrew Haigh (Weekend e 45 anni). Intervista al regista e al cast.
Al Lido la prima internazionale di Charley Thompson, il nuovo film di Andrew Haigh, con Charlie Plummer, Steve Buscemi e Chloë Sevigny: un’odissea sentimentale attraverso l’entroterra americano. Dal 5 aprile Charley Thompson arriva nelle sale italiane.
Venezia 74. La quiete prima della tempesta. Il 2 settembre alla 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia non è stato soltanto il giorno consacrato a Netflix (due i prodotti presentati dalla piattaforma streaming, ormai realtà produttiva fra le major di tutto il mondo: il film Our Souls at Night, con Robert Redford e Jane Fonda e i primi due episodi della serie originale Suburra), ma anche la data destinata alla prima internazionale di uno dei film più attesi in Concorso: Charley Thompson (Lean on Pete), di Andrew Haigh.
>> Fra tuoni, fulmini e inquietanti ruggiti dal cielo, il regista britannico – per la prima volta alla Mostra di Venezia – è arrivato al Lido accompagnato dalle nuvole grigie della sua città natale (Harrogate, nella profonda campagna inglese del North Yorkshire) nonché dai due protagonisti del film, il giovanissimo Charlie Plummer e l’iconica Chloë Sevigny.
Charley Thompson (Charlie Plummer) è un adolescente di quindici anni introverso e solitario, vive con il padre (Travis Fimmel) e le sue fidanzate occasionali. Con la speranza di una vita migliore, i due si trasferisco a Portland dove Charlie trascorre l’estate in un ippodromo, stringendo amicizia con un vecchio cavallo da corsa di nome Lean on Pete e con i suoi padroni (Steve Buscemi e Chloë Sevigny, magnetici sul grande schermo come poche accoppiate del cinema).
Un tragico incidente domestico tuttavia costringe il protagonista ad aprire gli occhi sulla realtà che lo circonda: ritrovatosi all’improvviso senza punti di riferimento, ma armato di tenacia e confidando nella buona sorte, Charlie si mette in viaggio insieme a Lean on Pete, il suo più caro e insolito amico, alla ricerca di un futuro migliore. Attraversa così gli Stati Uniti in compagnia del suo amico cavallo e di tutti i pittoreschi soggetti che incontra.Dopo aver sconvolto il Festival di Berlino nel 2015 con 45 anni (l’interpretazione valse l’Orso d’argento a entrambi gli attori protagonisti, Charlotte Rampling e Tom Courtenay) -grande successo internazionale anche al botteghino (valso la prima candidatura all’Oscar per Charlotte Rampling), Andrew Haigh torna al grande schermo rivisitando il romanzo La ballata di Charlie Thompson di Willy Vlautin.
>> Una scelta curiosa per un regista inglese, che si è messo alla prova con una storia tutta americana, molto lontana dalla sua esperienza personale.
“L’America è molto presente nel romanzo di Vlautin – ha raccontato il regista a Venezia, in perfetto accento british – ma quello che mi ha colpito immediatamente nella lettura era proprio il modo in cui questa terra incredibile s’intrecciava con la storia del protagonista: una storia scritta con tanta tenerezza e gentilezza, ma anche compassione, che mi ha fatto innamorare all’istante. Leggendo, ho davvero realizzato quanto quello spirito americano parlasse in realtà di me, di tutti. Charlie è un ragazzino, ma raccoglie in sé alla perfezione la profondità del banale quotidiano. Spero di aver trasmesso nel film la stessa grazie dell’autore”.
“In Charlie -continua Haigh- ho visto essenzialmente un ragazzino che cerca in tutti i modi di essere… normale (si potrebbe dire: di diventare un bambino vero!). Non vuole altro che tutte quelle cose che un ragazzino della sua età dovrebbe avere: stabilità, amici, famiglia, una casa, o anche solo una partita a football con la squadra del liceo. E invece è un ragazzo isolato, lontano da tutti, che disperatamente lotta per trovare qualcuno non soltanto che gli voglia bene, ma a cui lui possa volere bene”.
Take me home, country roads!
Sembra echeggiare in lontananza John Denver, nelle poetiche inquadrature che inseguono il giovane per tutta la seconda parte del film. La pittura dei paesaggi che fanno da sfondo al viaggio di Charlie è fondamentale quanto il suo protagonista: è un mondo affascinante, fatto di campagne sterminate, di veri e propri deserti e orizzonti senza fine, abitato da un’umanità complessa, molto spesso spaventosa.“Quello che l’ambiente che ci circonda fa alla nostra anima… è indescrivibile. Il paesaggio in Charley Thompson esprime alla perfezione lo stato emotivo di Charlie. Sono sempre stato molto attento all’ambiente che circonda i personaggi dei miei lavori: penso che molto spesso basti un giusto taglio, una giusta posizione per inquadrare al meglio lo stato d’animo. L’entroterra americano in questo ha una parte fondamentale: uno spazio enorme, pieno di città metropolitane, ma collegate da strade che nel giro di un’ora ti possono portare nel deserto più brullo e desolato”.
“La storia di Charlie non è diversa da quella di molti altri ragazzi americani – sostiene anche Chloë Sevigny, che con entusiasmo ricorda gli esordi della sua carriera – Mi basta pensare al mio lavoro sul set di Boys Don’t Cry per ricordarmi a quale tipo di desolazione fa riferimento anche Andrew nel suo film. L’entroterra americano è un luogo difficile, pieno di povertà, disperazione, che grida di continuo quanto ha bisogno d’aiuto. Purtroppo è un panorama che viene spesso dimenticato dai media, dall’America stessa. La conseguenza più triste è che a pagarne le conseguenze sono soprattutto i più giovani, ragazzi abbandonati a loro stessi, senza che nessuno riesca a occuparsene e, al contrario, minacciati da chi invece vuole approfittarsene”.
È proprio in questa cornice desolata che Chloë Sevigny, con la sua bellezza contemporaneamente fragile e meschina, porta in scena uno dei personaggi più interessanti del film: Bonnie, cavallerizza dal passato doloroso e spalla essenziale di Del (alias Steve Buscemi) è l’unica donna nel film che ha il coraggio di sfidare un mondo dominato da maschi padroni, “a tough one” (ha detto il regista), “dealing with a lot of machismo going on” – per parafrasare letteralmente la stessa protagonista.
Intervistata con sguardo provocatorio (e dondolando la sua ciabatta rossa in cavallino ricoperta di perle), alla sua prima esperienza con Haigh – ma non al fianco di Steve Buscemi – l’attrice si è detta subito entusiasta del progetto:
“Non appena ho letto il copione, ho capito che volevo farne parte (ma dai!). Davvero, sono seria. Avrei fatto qualsiasi cosa, avrei raggiunto qualunque peso, sarei anche ingrassata, non m’importava: volevo solo farne parte. Era una storia da raccontare. La storia di un quindicenne e di un cavallo che attraversano l’America… Un quindicenne e il suo migliore amico, un cavallo. Non potevo perderla. Soprattutto perché quest’immagine, che può sembrare a primo acchito grottesca, racconta sentimenti veri, autentici. Parla di amore, di salvezza e lo fa con grande verità”.
Inutile dire che una delle grandi forze del film è stato proprio l’incrocio fortunato di un cast d’eccezione, un intreccio generazionale che unisce le nuove leve a veri e propri mostri sacri del cinema. Il regista, alla domanda sul suo cast, non nasconde una punta di orgoglio commosso: “Sono stato fortunato a lavorare con professionisti di questo calibro. È affascinante scoprire quanto si può imparare ogni giorno sempre di più. Dopo Charlotte Rampling, la possibilità di collaborare con Steve Buscemi mi sembrava soltanto un sogno da ragazzino. Se qualcuno me lo avesse detto dieci anni fa, non gli avrei dato alcun credito!”.
Charlie Plummer (ricordate questo nome: sarà anche nel prossimo film di Ridley Scott), il giovanissimo attore protagonista del film, sorride esaltato: “Qualche anno fa ho fatto alcuni episodi di Boardwalk Empire – L’impero del crimine con Steve Buscemi: ero un bambino, avevo dodici anni, ma pensavo di aver raggiunto già allora la punta più alta di soddisfazione. E invece eccomi qui, di nuovo con lui, al fianco di Chloë. Sono innamorato di loro. Non sono stati soltanto ottimi colleghi, ma esseri umani, persone straordinarie”.
>> L’odissea sentimentale di Charlie e Lean on Pete è una storia sì di grande dolore, ma anche di riconquista: la tenera età del protagonista non deve ingannare, perché il racconto del viaggio prende subito la dimensione del romanzo di formazione, con la pretesa (forse un po’ troppo ambiziosa) di lanciare un messaggio universale.
Certo, qualche fronzolo di sentimentalismo in eccesso si evita volentieri, nonostante sembrino diventare la cifra stilistica del suo regista, ma il film ha il grande pregio di non cadere mai nel patetico. La tragedia è sempre in agguato, ma in mezzo a tutte le disgrazie non si avverte mai la sconfitta.
Come si suol dire, la speranza è sempre l’ultima a morire! Chissà che questa buona attitudine non porti fortuna anche al film nel Concorso. Nel frattempo, al cast non resta che rilassarsi in laguna. D’altronde, come ha detto Charlie Plummer, Venezia “is quiet the place to be”.