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Intervista a Huang Hai-Hsin, la leggerezza dell’outsider

Huang Hai Sin _ Roma
Huang Hai Sin _ Roma

Huang Hai-Hsin sembra giocare con ironia e sarcasmo, con le cose e le persone mentre le cose e le persone giocano con lei. Gioca in realtà fra tradizione e contemporaneità, la prima espressa dall’uso di una prospettiva appartenente alla tradizione pittorica cinese, e la contemporaneità che racconta gli eventi di un quotidiano raffigurato in fantasiose immagini che esprimono, senza in alcun modo giudicare né commentare, l’immediatezza dei significati attribuiti dall’artista a ciò che vive e vede.

Una delle prime cose che ho notato nei tuoi lavori è la ricorrenza delle persone come soggetto principale, c’è una ragione in particolare?

Sì, è così, ma più che le persone in generale mi interessano particolarmente i gruppi. Ho notato che nelle masse i modelli comportamentali tendono a cambiare e, per quanto mi riguarda, li trovo solitamente molto divertenti, in tante occasioni tendenti al ridicolo. Cambiando la distanza con cui osservi le persone inizi a notare dettagli diversi, sguardi diversi. Per me è diventato un po’ come guardare National Geographic: osservo chi e cosa ho intorno, certe volte mi ritrovo a riderne, ma poi sposto lo sguardo su me stessa e mi chiedo come possa apparire io nella massa e nei gruppi di persone, come cambia il mio comportamento. Penso sia una pratica che mi aiuta a imparare cose nuove, nella vita in generale.

In che modo pensi di aver fatto tuo l’atto di osservare le persone e i loro comportamenti? Guardando alcuni lavori, mi sembra quasi sia diventata una sorta di firma.

Faccio una premessa: negli ultimi anni mi sono spostata molto, ho vissuto per tanti anni a New York e sono tornata a Taiwan solo con il Covid. A NY mi sono sempre sentita un’outsider, sebbene ci abbia vissuto per più di dieci anni non ho mai smesso di sentirmi straniera. Andavo spesso nei musei e osservavo, da turista che non appartiene a quel luogo, le persone: da come interagivano con gli spazi e con le opere, a come gestivano il fuso orario, cercavo di notare fattori culturali, tutte sensazioni a cui mi sentivo molto familiare. Osservare le persone e i loro comportamenti è diventato una sorta di abitudine per me, il mio modo di lavorare e dipingere, non ho sempre avuto degli statement o scopi particolari, mi affascina proprio l’esperienza di vita. Mi piace mantenere questo sguardo outsider: giro per posti nuovi e ritraggo quello che vedo, come una straniera.

Ricordo un tuo lavoro in particolare, che mi ha colpita per la genuinità che mi trasmetteva. Era un disegno molto affollato di persone e monumenti, ambientato a Roma. Se non sbaglio lo hai realizzato senza abbozzare, come se avessi lasciato che le tue emozioni occupassero liberamente lo spazio bianco.

Lascio che la mia mano si muova molto liberamente, il più delle volte non abbozzo, solo a volte, quando dipingo, realizzo alcuni bozzetti per imprimere ciò che provo e penso in quel momento. L’opera a cui fai riferimento è per l’appunto ROMA 罗马 (2023), la complessità della composizione credo fosse per lo più data da qualcosa che ho visto e che mi ha stimolata emotivamente e che mi ha poi portata a realizzare il pezzo. Il disegno in qualche modo riflette la velocità con cui mi vengono le idee e le metto su carta, riesco a trasmettere un messaggio più velocemente rispetto a quando dipingo.

Menzionavi il fatto che tendi a non abbozzare nemmeno quando dipingi. È per mantenere un approccio spontaneo?

Sì, da una parte ora mi avvicino alla tela abbastanza rapidamente, allo stesso tempo però la pittura mi dà più tempo per meditare rispetto a quello che sto facendo. Non mi sono formata come pittrice, e per questo è come se la tela fosse una continua sorpresa per me, come interagiscono i materiali e io stessa cosa tiro fuori di me mentre dipingo, mi sento di riuscire ad andare più in profondità nei miei pensieri, anche perché non ricerco la perfezione tecnica quando dipingo e lascio che le emozioni emergano da sole. A volte inizio un lavoro senza abbozzare, se non qualche traccia generale, e quando finisco mi sorprendo da sola dal risultato finale, devo ammettere però che capita anche che inizio una tela, ho grandi aspettative e poi viene fuori un lavoro che trovo profondamente noioso, e semplicemente inizio a dipingerci sopra. La pittura ad olio mi lascia un grande margine di incertezza sul risultato finale, che per me è qualcosa di molto interessante.

È cambiato il tuo approccio ora che sei tornata a Taiwan, dove non sei né straniera né outsider?

Quando ero a New York ero più seria, diciamo. Avevo uno studio dove andavo ogni giorno e mi approcciavo alla tela chiedendomi cosa volessi dipingere, cosa dovessi dipingere, cosa rendesse un buon dipinto tale, sentivo di dover cercare qualcosa da dire per poi mettere tutti questi pensieri in ciò che stavo dipingendo. Era il sistema che mi avevano insegnato, avere sempre qualcosa di profondo da comunicare attraverso la mia pittura, e io spesso ero solo spaventata dal giudizio altrui qualora avessi detto qualcosa di.. stupido, diciamo. Per me qualcosa di davvero faticoso. Andando avanti con gli anni poi ho iniziato a prendere più consapevolezza di come questo approccio fosse pesante e non appartenesse al mio carattere, come se dipingere fosse sempre più solo una questione di responsabilità e non tanto di piacere, e da un certo punto in poi ho cercato di alleggerirmi e di alleggerire la pratica artistica, a dipingere per divertimento, con leggerezza e semplicità, senza farmi troppi problemi. Ho capito quanto fosse importante per me divertirmi quando dipingo, e ho smesso di cercare di controllare come la mia arte dovrebbe essere, lasciando che venga fuori da sé.

Sono d’accordo sul fatto che l’arte debba, per lo più, trasmettere qualcosa, ma non vuol dire che questo qualcosa non possa essere ironico o semplicemente divertente. Credo che il sarcasmo non solo si porti dietro significati spesso importanti, ma che aiuti anche chi ne fruisce ad entrare nell’opera e relazionarcisi.

Assolutamente. Ci sono poi messaggi che sono particolarmente difficili da spiegare a parole. Devi sapere che a Taiwan le persone, soprattutto i giovani e gli studenti, fanno molta fatica a condividere i propri pensieri e sentimenti, ricordo di intere sessioni di studio visit con professori e professionisti in totale silenzio per paura del giudizio altrui. Credo sia una questione di educazione, più che di politica o altro, che però crea una sorta di cortocircuito.

Le opere di Huang Hai-Hsin (https://haihsinhuang.com/) esplorano immagini di vita contemporanea, scene quotidiane e spesso banali che rivelano un’atmosfera ambigua tra umorismo e orrore. L’ironia e il sarcasmo, insieme alla cura dei dettagli, trasformano l’umile in straordinario, il banale in comico e l’imbarazzante in meraviglioso, invitando a mettere in dubbio l’autorità e il gusto standardizzato. Nata a Taipei nel 1984, Huang ha studiato a Taipei e New York, e ha esposto le sue opere in tutto il mondo, e collabora con la galleria Capsule Shanghai. Le sue opere sono presenti in numerose collezioni pubbliche e private, tra cui la UBS Art Collection, la Fondazione YAGEO (Taipei), la White Rabbit Collection (Sydney), il Taipei Fine Arts Museum (Taipei,) e il National Taiwan Museum (Taichung).

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