Jõao Paulo Serafim, Improbable Museum of the Image and Contemporary Art (MIIAC), 2005-2009.
ALLA SCOPERTA DI MUSEI IMMAGINARI CON IL NOSTRO AVATAR
di Eleonora Frigerio
La fotografia insieme al web ha rivoluzionato l’accesso al patrimonio artistico, come un viaggio nell’immobilità, con un clic si naviga in diverse epoche e spazi, venendo a conoscenza di ciò che probabilmente non s’incontrerà mai nella realtà, gli utenti guardando le opere che fluttuano libere in rete legittimando il network come luogo deputato all’arte e s’incontrano con essa liberi da percorsi prestabiliti. L’approccio virtuale inoltre toglie importanza al contenitore cioè al museo, spesso non meno importante della mostra che ospita perché realizzato da grandi architetti e si concentra sul contenuto cioè sulle opere in sé, su ciò che hanno da dire libere da relazioni con uno specifico ambiente, festival, o altre molteplici occasioni, elevandosi così a incarnare valori che costringono lo spettatore a specchiarsi in esse e abbracciare le proprie idee.
L’artista portoghese Jõao Paulo Serafim (Parigi, 1974) ha mostrato un profondo interesse per la logica del museo e degli spazi espositivi esplorandone il potere simbolico e la loro legittimazione con il suo progetto basato sulla manipolazione e appropriazione di immagini, confondendo il confine tra realtà e artificio a cui l’artista ha dato il nome di Improbable Museum of the Image and Contemporary Art (MIIAC), un’entità fittizia che ha iniziato a svilupparsi in modo sistematico dal 2005. Le immagini rappresentano interni di spazi espositivi ricreati al computer che simulano gli spazi reali e sono pervasi da un’atmosfera abitabile grazie al gioco di rapporti di scala tra i modelli e la ‘realtà’ miniaturizzata. Lo spettatore si proietta nel visitatore del mondo fittizio come se fosse il suo avatar e grazie a lui si rapporta alle misure dello spazio riprodotto, l’immaginazione, grazie alla caratteristica illusoria del mezzo fotografico si trasforma in realtà. Il pubblico viene accompagnato dall’artista che incarna anche il ruolo di archivista, curatore, bibliotecario (MIIAC è fornito anche di una biblioteca) e gestore di immagini e video, alla scoperta del museo immaginario, attraversando lo spazio museale, le gallerie espositive e il deposito, assistendo inoltre al momento dell’allestimento/disallestimento.
La particolarità del progetto è che nella sua interezza è invisibile, l’allestimento della mostra fittizia e l’itinerario da seguire non è svelato, perché viene lasciato al visitatore/ utente il compito di percorrerlo come vuole e di immaginarsi un percorso guidato da se stesso (strada facendo può continuamente subire delle variazioni che non sconvolgono il messaggio della mostra). La contemplazione delle immagini non è più lenta, ma diventa dinamica, lo spettatore va alla ricerca di più immagini intercettandone le somiglianze e le affinità senza accorgersi che è lui che le crea perché potrebbero anche non esistere, ognuno si costruisce una certa immagine d’insieme attribuendogli un senso generale. Gli accostamenti visivi che vengono stimolati dal progetto di Jõao Paulo Serafim sono il frutto esclusivamente di un’operazione mentale che dà vita a una struttura prismatica che cambia a seconda del punto di vista da cui la si guarda.
Il Museo immaginario di Serafim non dà delle risposte definitive, ma suscita nello spettatore la sensazione di trasformazione continua lasciando dialogare liberamente le opere slegate da qualsiasi legame spazio-temporale. Il museo non è immaginario solo perché privo di una collocazione nello spazio fisico, ma lo è perché si fonda sul presupposto dell’accessibilità all’intero dominio delle immagini artistiche messe a disposizione dalla rete.
Perché allora andare al museo quando in rete possiamo creare e visitare infiniti musei immaginari percorribili continuamente da itinerari inediti che non lasciano né traccia né impronta?
Una bella sfida per i curatori di oggi. Riusciranno a non perdersi e a cogliere il suggerimento di artisti come Serafim?
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