Riflessione al vetriolo
Volano gli stracci da sinistra a destra e viceversa, senza esclusione di colpi. Motivo del contendere la nomina a responsabile della Direzione generale dei musei di Mario Resca, manager di successo, reo, oltre ad essere in quota al centro-destra, di provenire nientepopodimenoché dalla McDonald’s. Ad accendere le polveri, anzi ad inumidire gli stracci, provvede Paolo Vagheggi che su La Repubblica di lunedì scorso spara ad alzo zero attribuendo al povero ed incolpevole ministro Bondi, oltre la scelta di Resca, ogni tipo di nefandezze ed interferenze circa le nomine delle direzioni vacanti di diversi musei. Gli rispondono martedì Luca Beatrice “a muso duro” su Libero ed il Ministro stesso su Il Giornale, chiarificando quello che intende per riordino dei beni culturali. Non entro nel dibattito: lascio siano i protagonisti a contendersi la piazza. Ma non posso reprimere l’istinto di mettere mano alla fondina quando sento parlare di cambiamenti strutturali, non perché non necessitino, specialmente nella gestione del nostro straordinario patrimonio artistico, ma perché spesso le cure sono peggiori dei malanni. Del resto, si sa, le vie dell’inferno sono lastricate dalle migliori intenzioni. Mi sgomenta un poco questo continuo riferirsi a “come fanno negli altri paesi” che sgorga automatico dopo anni di immobilismo. Suona grottesco aggrapparsi a modelli che altrove mostrano la corda, anzi a dirla tutta sono proprio in crisi. Il museo tradizionale, per intenderci sia quello di derivazione francese illuministica egualitaria ed universale, che quello di tradizione anglo-sassone ordinatore e classificatore della conoscenza, ha piegato la schiena alla cultura e al turismo di massa, trasformandosi in contenitori dell’entertainment, veri templi di deportazione culturale. Modelli che oltre a fallire nello scopo di trasmettere sapere non reggono nemmeno la sfida economica, schiacciati dalla necessità di inscenare costose produzioni che ne assorbono tutte le risorse, nell’intento parossistico di catturare pubblico. Un capitolo a parte necessitano poi i musei d’arte contemporanea, vere moderne cattedrali pagane progettate da cosiddette archistar, lussuosi contenitori nella maggior parte dei casi del nulla, tappe essenziali nel rituale della modernità, fondati su di una mefistofelica contraffazione del tempo. Museo dovrebbe infatti significare sedimentazione, tradizione, storia, ma ecco la mistificazione, l’inganno: la storia e quindi il tempo, gettati nel frullatore della modernità, si comprimono e quello che è cronaca diventa magicamente futurum exatum e quindi l’istituzione non custodisce e racconta più la storia. La fa! Et voilà, l’inganno percettivo, il tromp-oeil è perpetrato e il presente diventa -o lo sarà a brevissimo- storia, quindi cultura, quindi valore. L’incredibile sfarinarsi dell’impalcatura finanziaria che ha retto il mondo fino ad oggi è frutto proprio di questa distorsione concettual-temporale, di una faustiana scommessa perpetrata sul futuro. Il lungo treno che corre impazzito sui binari rettilinei della modernità, pronto a schiantarsi all’infinito, ha aggiunto il vagone della cultura al suo macabro convoglio.
Tornando a noi, non si pretende dal Ministro, ancorché poeta, di farsi carico di tutti i mali del mondo e tanto meno di rivoluzionarlo.
Ma di evitare gli inciampi più evidenti, magari sì.
Volano gli stracci da sinistra a destra e viceversa, senza esclusione di colpi. Motivo del contendere la nomina a responsabile della Direzione generale dei musei di Mario Resca, manager di successo, reo, oltre ad essere in quota al centro-destra, di provenire nientepopodimenoché dalla McDonald’s. Ad accendere le polveri, anzi ad inumidire gli stracci, provvede Paolo Vagheggi che su La Repubblica di lunedì scorso spara ad alzo zero attribuendo al povero ed incolpevole ministro Bondi, oltre la scelta di Resca, ogni tipo di nefandezze ed interferenze circa le nomine delle direzioni vacanti di diversi musei. Gli rispondono martedì Luca Beatrice “a muso duro” su Libero ed il Ministro stesso su Il Giornale, chiarificando quello che intende per riordino dei beni culturali. Non entro nel dibattito: lascio siano i protagonisti a contendersi la piazza. Ma non posso reprimere l’istinto di mettere mano alla fondina quando sento parlare di cambiamenti strutturali, non perché non necessitino, specialmente nella gestione del nostro straordinario patrimonio artistico, ma perché spesso le cure sono peggiori dei malanni. Del resto, si sa, le vie dell’inferno sono lastricate dalle migliori intenzioni. Mi sgomenta un poco questo continuo riferirsi a “come fanno negli altri paesi” che sgorga automatico dopo anni di immobilismo. Suona grottesco aggrapparsi a modelli che altrove mostrano la corda, anzi a dirla tutta sono proprio in crisi. Il museo tradizionale, per intenderci sia quello di derivazione francese illuministica egualitaria ed universale, che quello di tradizione anglo-sassone ordinatore e classificatore della conoscenza, ha piegato la schiena alla cultura e al turismo di massa, trasformandosi in contenitori dell’entertainment, veri templi di deportazione culturale. Modelli che oltre a fallire nello scopo di trasmettere sapere non reggono nemmeno la sfida economica, schiacciati dalla necessità di inscenare costose produzioni che ne assorbono tutte le risorse, nell’intento parossistico di catturare pubblico. Un capitolo a parte necessitano poi i musei d’arte contemporanea, vere moderne cattedrali pagane progettate da cosiddette archistar, lussuosi contenitori nella maggior parte dei casi del nulla, tappe essenziali nel rituale della modernità, fondati su di una mefistofelica contraffazione del tempo. Museo dovrebbe infatti significare sedimentazione, tradizione, storia, ma ecco la mistificazione, l’inganno: la storia e quindi il tempo, gettati nel frullatore della modernità, si comprimono e quello che è cronaca diventa magicamente futurum exatum e quindi l’istituzione non custodisce e racconta più la storia. La fa! Et voilà, l’inganno percettivo, il tromp-oeil è perpetrato e il presente diventa -o lo sarà a brevissimo- storia, quindi cultura, quindi valore. L’incredibile sfarinarsi dell’impalcatura finanziaria che ha retto il mondo fino ad oggi è frutto proprio di questa distorsione concettual-temporale, di una faustiana scommessa perpetrata sul futuro. Il lungo treno che corre impazzito sui binari rettilinei della modernità, pronto a schiantarsi all’infinito, ha aggiunto il vagone della cultura al suo macabro convoglio.
Tornando a noi, non si pretende dal Ministro, ancorché poeta, di farsi carico di tutti i mali del mondo e tanto meno di rivoluzionarlo.
Ma di evitare gli inciampi più evidenti, magari sì.
in punta di pennino
il Vostro LdR