Il giovane artista palestinese vive a Roma, lontano dalla sua terra martoriata
STRISCIA DI GAZA: LA GUERRA E IL DOLORE
NELL’ARTE DI HAZEM HARB
La sua cartolina di auguri per il 2009, in homepage sul suo sito web, in poche immagini e una frase, mostra una visione disincantata della realtà:“Happy new year. No light, no heating, no bread: stark reality for the powerless in Gaza” (traduzione: Niente luce, niente gas, niente pane: la cruda realtà dell’impotente Gaza).
La solitudine, l’assenza di elementi di stabilità e il dolore della violenza e dell’esilio obbligatorio dalla sua terra. Una regione incuneata tra il Mediterraneo, la penisola egiziana del Sinai ed Israele, lunga 45 chilometri e larga dieci dove vivono 1,5 milioni di palestinesi, la maggior parte con meno di due dollari al giorno. Hazem Harb è nato a Gaza nel 1980. Proprio lì, in quel fazzoletto di terra conteso e devastato dai razzi dell’esercito israeliano in seguito alla fine della tregua annunciata da Hamas lo scorso 18 dicembre. Da tempo le risorse alimentari ed energetiche scarseggiavano. Da due anni Hazem vive a Roma grazie ad una borsa di studio ricevuta dall’Istituto Europeo di Design (Ied). E’ tornato da poco dopo un breve soggiorno a Monaco dove il 4 marzo inaugurerà una mostra con un altro artista palestinese.
“Non faccio che seguire il corso degli eventi su Al Jazeera. Sono distrutto” ci racconta con un filo di voce.
“Mia madre, mio padre e i miei quattro fratelli sono a Gaza e da qualche giorno non riesco più a parlare con loro. Hanno lasciato il palazzo dove vivevano e si sono rifugiati in casa di un nostro parente, un po’ più lontano dai luoghi direttamente attaccati dall’esercito”. Non riesce a pensare all’arte in questo momento.
Dall’inizio delle recenti ostilità, secondo fonti mediche locali, 660 palestinesi sono morti, tra i quali donne e bambini. I feriti sono circa 3 mila. Nei suoi lavori astratti e allo stesso tempo profondamente realisti, soffusi da un profondo senso di perdita, Hazem, testimonia e denuncia le sofferenze umane nel conflitto che ha vissuto e che vive, bruscamente tornato sotto i riflettori dei media internazionali.
“Nel mio lavoro – racconta – cerco di far luce sulla fragile condizione umana ed in particolare sulla vita quotidiana palestinese. L’assenza di forma, di linee e il mistero esprimono la perdita di stabilità e il sentimento di sconfitta. Nelle opere recenti, scelgo di evidenziare un elemento tra ogni struttura per enfatizzare la solitudine e talvolta l’esilio obbligatorio oltre all’assenza di ogni forma di stabilità”.
Membro dei gruppi Weather Report e Finestre di Gaza per l’Arte Contemporanea, ha completato i suoi studi in Educazione Artistica e Illustrazione a Gaza prima di arrivare in Italia, portando con sé indelebili cicatrici nell’anima che tornano nelle figure mutilate delle sue opere, nei corpi dei bambini bruciati della video installazione “Burned Bodies” presentata dall’associazione Altra Economia a Roma nel 2008. O nei guanti pieni d’acqua, con le dita rivolte verso il basso appesi ad una corona di ferro spinato, dell’installazione creata per “The Earth Day” (2007, Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma) che ritornano, sospesi in una teca di vetro, nell’opera “Made by War”, presentata dal National Museum Luigi Pigorini di Roma due anni fa (http://hazemharb.weebly.com/installation.html)
La sua produzione è intensa e poliedrica. Realizza lavori di pittura, fotografia, videoarte e installazione, orientando la sua ricerca artistica principalmente sull’espressione delle sofferenze umane nel conflitto che ha conosciuto da vicino, ogni singolo giorno della sua vita. Dal 2003 concentra la sua ricerca sul soggetto amore-guerra che propone nei colori e nelle forme della bellezza e della pace dell’amore intrecciate a quelle del dolore e della paura della guerra. Ha esposto a Gaza, in Giordania, a Dubai, in Sud Africa, in Brasile, in diverse città italiane e in Francia, a Parigi, dove nel 2004 ha vissuto due mesi vincendo una borsa di studio con una residenza per artisti finanziata dal Consolato francese di Gerusalemme per il suo progetto intitolato “Left”. Lo scorso anno ha anche il vinto il premio Hassan Hourani Award. Attualmente sta sviluppando una grande installazione di corpi di bambini bruciati realizzati in plaster ed un progetto fotografico sul tema dell’integrazione dal titolo Immigration. Per Monaco, invece, sta realizzando alcune opere di pittura informale.
Come artista di Gaza è consapevole, dice, “di provenire da una terra occupata. La politica entra inevitabilmente nell’arte che per me è l’unico mezzo per testimoniare la mia storia, la mia cultura, la guerra”. Egli però è “Via da Gaza per restare”, che è anche il titolo di un cortometraggio realizzato con lui da Carla Pagano nel territorio della “striscia” dal giugno 2005 all’agosto 2006 presentato in Giordania. Parla del sogno di una terra liberata prima, durante e dopo il ritiro delle truppe israeliane (il video è disponibile sul sito della Bbc all’indirizzo http://news.bbc.co.uk/2/hi/middle_east/3815111.stm).
“Appena saranno terminate le ostilità tornerò lì, e ci tornerò definitivamente l’anno prossimo, quando concluderò i miei studi allo Ied”. Un breve silenzio e il suo sguardo si perde nel vuoto. L’arte è passata in secondo piano nei suoi pensieri. Un tragico e sfocato secondo piano d’autore.