Milano onora il centenario del Futurismo dedicando una grande esposizione al movimento che più le appartiene e che meglio la rappresenta con i suoi miti della fabbrica, della velocità, della modernità. Dunque a Palazzo Reale, curata da Ada Masoero e Giovanni Lista, si è inaugurata la mostra “Futurismo. Velocità+Arte+Azione”.
Bene ha fatto la città a marcare il punto e a rivendicare la “paternità” di uno dei movimenti culturali fondanti la modernità e l’estetica modernista, un poco meno buono mi pare l’assunto ideologico della mostra che, espungendo tutta la “contaminazione” fascista, fa del futurismo e dei suoi precedenti movimenti socialistoidi, il padre nobile della parte buona, si intende, del contemporaneo, spingendo le sue propaggini fino a Fontana e Burri (quest’ultimo si rivolterà nella tomba essendo stato notoriamente di ben altro orientamento).
Ora non che questo postulato sia del tutto privo di “verità” -rimando chi ne avesse voglia, e mi scuso per l’autocitazione, a leggere l’articolo “I vecchi cornuti dell’arte moderna” pubblicato su questo sito- ma mi pare una metodologia storica quantomeno centenaria come la ricorrenza che onora.
Oltre l’assenza di molti fondamentali capolavori, come già da altri lamentato, trovo incomprensibile ed anche ingiustificata la misera documentazione bibliografica, così ricca e importante per comprendere la storia del movimento e, cosa veramente insopportabile, la povertà delle schede relative alle opere esposte che rasenta la cialtroneria: avessero arruolato una delle numerose intellettuali precarie a redigerle!
Un paragrafetto a parte per la sezione architettura, appena accennata, rimandando per questa ad una non ben definita futura mostra ed infine la totale assenza di quella che costituisce la grafica e la comunicazione visiva, imprescindibile per chiunque voglia minimamente dar conto della storia del Futurismo. Certo che forse non risulta difficile sostenere la estraneità all’universo fascista del movimento futurista nel suo complesso se si escludono completamente la comunicazione e la grafica propagandistica e si accenna appena all’architettura, aspetti che hanno avuto un così ingombrante ruolo nel ventennio.
Attenzione! Qui non si fanno apologie ideologiche ma si sostiene solo la necessità di revisioni storiche -a qualcuno si torceranno le budella- e l’assoluta necessità di cambiare lenti agli occhiali che leggono il passato. E’ ben vero, come ho già avuto modo di scrivere, che le lancette dell’orologio della storia sembrano riposizionarsi al punto di partenza e la vecchia Europa è squassata da tensioni, ieri ideologiche, oggi religiose e culturali, ma insistere con interpretazioni datate mi sembra perlomeno pernicioso.
Chissà se Marinetti oggi non reclamerebbe il rifiuto “dell’immobilità pensosa, dell’estasi e del sonno”…