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Arte e recessione economica negli Usa

DAI MUSEI AI GRANDI ARTISTI.
LA CRISI NON RISPARMIA NESSUNO

 

Musei in crisi. Università che vendono le loro collezioni d’arte. Società specializzate che fanno affari d’oro grazie ai tassi d’interesse applicati su prestiti garantiti in pegno da opere d’arte o dai diritti su opere d’arte. La crisi economica ha volti differenti nel mondo dell’arte americana. Dall’artista Julian Schnabel alla fotografa Annie Leibovitz, la siccità del credito e della liquidità non risparmia nessuno. Gallerie e celebri artisti non trovano di meglio che rivolgersi ad impietose nicchie dell’art business. Monti dei pegni rischiosissimi. La manna del piano anti-crisi di Obama non può aiutare tutti.
I musei americani sono stati già pesantemente segnati dalla recessione. La maggior parte ha perso almeno il 20% delle proprie dotazioni finanziarie e i direttori, per cercare di sopravvivere, ha tagliato dal 5 al 20% il proprio budget per il 2009. Dati che emergono da un sondaggio stilato a fine gennaio dal The Art Newspaper. Tagli ancora più consistenti sono previsti per il 2010. Il Rose Art Museum è stato addirittura costretto a chiudere e a vendere l’intera collezione. Una situazione che ha portato l’Association of Art Museum Directors (AAMD) e il suo presidente Michael Conforti a prendere posizione contro le vendite selvagge richiamando i propri membri al rispetto del codice etico senza dimenticare la loro finalità educativa e la loro missione: provvedere a conservare l’eredità culturale per il futuro.
Facile a dirsi. Com’è facile perdere il controllo in periodi come questi. La Brandeis Universitydi Boston, ha iniziato a fine gennaio a prospettare la vendita della sua intera collezione d’arte per ricavarne fondi per la le attività interne. Circa 6000 pezzi di arte americana, dal Modernismo al Realismo sociale. Dall’ Espressionismo astratto al Surrealismo. Parliamo di opere di Marsden Hartley, Thomas Hart Benton, Andy Warhol, Ellsworth Kelly, Robert Rauschenberg, Roy Lichtenstein, Jasper Johns, Morris Louis, Larry Rivers, Helen Frankenthaler, Jim Dine, Willem de Kooning, Robert Motherwell, Max Ernst e molti altri.
“Questa situazione mette in pericolo il nostro ruolo nelle istituzioni” ha dichiarato David A.Robertson, presidente dell’Association of College and University Museum and Galleries al The Chronicle of Higher Education. Intanto un segnale positivo è arrivato dalla politica.
Dei 787 miliardi di dollari stanziati con il maxi-piano di stimolo all’economia presentato da Barack Obama, approvato in Senato poche ore dopo il voto favorevole della Camera dei Rappresentanti (60 voti a favore, compresi quelli di tre senatori repubblicani, 38 contrari), 50 milioni saranno infatti destinati al finanziamento di attività culturali e artistiche. Andranno cioè a finire nelle casse del National Endowment for the Arts (Nea), il Fondo per il finanziamento delle arti che sovvenziona organizzazioni artistiche a livello regionale perché collaborino con organizzazioni statali al fine di identificare e offrire agli artisti un’ampia scelta di luoghi dove esibire i propri lavori. Il budget del Nea si aggira abitualmente sui 145 milioni di dollari annui. Stando a quanto previsto dal piano, il 40% della cifra stanziata sarà distribuito tra organizzazioni culturali statali e regionali. Con il rimanente 60% riservato ai progetti artistici sostenuti dal Nea mediante l’istituzione di borse di studio e premi monetari.
Se la siccità del credito e della liquidità non risparmia nessuno, sono questi i tempi d’oro per altri operatori del mercato americano. Società private che trattano opere d’arte come L’Art Loan di San Francisco e l’ArtCapital Group di Madison avenue, New York, specializzata in prestiti superiori a 500 mila dollari, tassi d’interesse compresi tra il 6% e il 16%, garantiti da opere d’arte. Se i soldi non vengono dati indietro, in tempi abbastanza brevi (18 mesi) addio opere. Alcuni capolavori esposti nella sede di New York sono già stati messi in vendita, visto che i proprietari non sono riusciti a onorare il loro debito. Art Capital nel 2009 prevede di aumentare dagli 80 milioni del 2008 a 120 milioni di dollari, il volume dei prestiti concessi. A rivolgersi alla società, racconta in un’intervista Ian Peck dell’Art Capital Group al The Art Market Monitor, sono per il 50% clienti americani, e per la metà europei. Come i collezionisti ai quali poi propongono le loro opere, tra i quali una piccola percentuale proviene dai paesi asiatici. Ian precisa che la società, in questo periodo, è disposta a dare prestiti soprattutto per opere di Impressionisti, Moderni ed Old Masters. Categorie in grado di resistere bene alla crisi del mercato.
L’ArtLoan, fondata nel 2004 e regolata dalle leggi californiane sui monti di pietà, ha invece registrato, come racconta il suo proprietario, Ray Parker Gaylord, una «crescita esponenziale» nell’ultimo anno. Nonostante tassi di interesse proibitivi, tra il 18 e il 24 per cento. E nonostante queste case non diano in prestito più del 40% del valore da loro stimato per ogni opera d’arte. Che quasi sempre, ahimè, finisce in loro possesso. Con litigi, contestazioni e feroci dispute legali all’ordine del giorno.
In questi casi anche Obama non può far nulla. Neppure per Annie Leibovitz, la fotografa che ha immortalato lui e la sua amministrazione le cui foto sono finite su Vanity Fair. L’artista aveva una serie di pendenze col fisco ed aveva la necessità di rifinanziare dei mutui. Il New York Times ha rivelato che si è rivolta proprio alla Art Capital Group riuscendo ad ottenere tra l’autunno e dicembre due linee di credito, una da 5 e un’altra da 10,5 milioni di dollari. Le garanzie date sono l’ipoteca su alcuni immobili nel Greenwich Village e soprattutto i diritti d’autore sulla sua intera opera fotografica. Che, nel caso non riuscisse a saldare il debito, andrebbe perduta. E di perdite ne sa già qualcosa Veronica Hearst, la vedova di Randolph Apperson Hearst (erede della dinastia di editori fondata da William Randolph Hearst). Due opere di Rubens, ipotecate per salvare una residenza (un palazzo da 52 stanze in Florida poi sequestrato comunque) sono infatti passate di proprietà della Art Capital ed ora sono esposte nella sede di Madison Avenue nell’attesa di trovare un facoltoso acquirente.

Che non sia Julian Schnabel, però. E’ già in rotta con Art Capital per una vicenda che risale al 2006 quando, cioè, si rivolse alla società di New York per un prestito di 8 milioni di dollari che gli servivano per uno “sfizio” da nababbi: completare la costruzione del suo Palazzo Chupi nel West Village newyorkese. Schnabel non diede le sue opere in pegno ma si limitò a garantire con proprietà immobiliari. Le usò però in seguito, per un altro prestito con la Commerce bank per saldare il primo debito in tempo. Ora però la Art Capital gli chiede milioni di dollari in interessi aggiuntivi. Il motivo? Sugli immobili offerti in pegno gravavano già altre ipoteche.
Intanto proprio il pigiama del celebre artista americano è andato all’asta su e-bay. Iniziativa della Dumbo Arts Center di Brooklyn per raccogliere fondi per l’istituto. La descrizione dell’articolo, con una base d’asta di soli 2000 dollari, recitava: “Il pigiama blu, a righe gialle, è lavato, spruzzato di pittura, rammendato e rattoppato con amore, un due pezzi da collezione autografato dall’artista”. Chi si è aggiudicato l’asta, che si è chiusa il 21 febbraio, riceverà anche un ritratto di Schnabel in cui l’artista indossa l’indumento. La foto, inclusa nella retrospettiva dedicata alla fotografa nel 2007 dal Brooklyn Museum del valore di 7.500 dollari, è stata scattata proprio da Anne Leibovitz. Quando si dice, l’ironia della sorte.

 

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