La fotografia può essere realistica, pittorica, concettuale, costruita e decostruita. Ne abbiamo parlato con Marina Dacci, direttrice della Collezione Maramotti di Reggio Emilia, che il 23 Aprile inaugura la mostra Amaranth, dedicata al rapporto tra fotografia e temporalità, tema centrale del Festival della Fotografia Europea di Reggio Emilia. L’Amaranto infatti è il fiore che secondo la leggenda non avvizzisce mai…
La mostra AMARANTH mette in luce il profondo interesse che la Collezione Maramotti rivolge alla partnership con realtà diverse, come forma di arricchimento della collezione stessa. Come è nata la collaborazione con la Parsons The New School for Design di New York?
In questo caso specifico Amaranth vede la Collezione come realtà che ha assunto in carico per la conservazione e la valorizzazione un patrimonio frutto della collaborazione diretta dell’azienda Max Mara con la Parsons School.
Quattordici anni fa, MaxMara ha rivolto a Michelle Bogre (associated Professor presso la Facoltà di Fotografia alla Parsons The New School for Design), una richiesta: realizzare una mostra di opere fotografiche degli studenti della scuola nel proprio flagship store a Madison Avenue a New York. La proposta, accolta con entusiasmo da Bogre, si è trasformata in un’originale e duratura partnership tuttora in atto. Michelle Bogre èmembro della Society for Photographic Education, documentary photographer e giornalista freelance. Ha pubblicato fotografie ed articoli su molte riviste (tra cui American Photo, Popular Photography, Time, Newsweek, Paris Match) e contribuito a diverse pubblicazioni tra cui The Design Dictionary (Birkhauser Press, 2008). È inoltre stata curatrice di diverse mostre negli Stati Uniti.
Nel corso di questi 14 anni, tra le opere di diploma di laurea e post-laurea che la Parsons presenta ogni primavera, MaxMara ha scelto i lavori dei diplomati da esporre nel proprio spazio durante l’anno. le esposizioni realizzate a New York Queste mostre, dal titolo calzante di New Visions, hanno creato un forte gioco di scambio tra l’arte della fotografia e l’arte della moda. Di grande significato inoltre la loro valenza formativa per gli studenti che hanno potuto trarne una preziosa conferma e un sostegno alla loro ricerca in un momento fondamentale per la vita di un artista. Hanno comportato inoltre per gli studenti un’assunzione di responsabilità sul loro lavoro che doveva essere esposto pubblicamente.
Queste opere selezionate e acquisite fanno ora parte di un significativo fondo presso la Collezione Maramotti . Questa mostra rappresenta una selezione tematizzata effettuata da Michelle Bogree che ha svolto per l’occasione.
Oltre a questa importante collaborazione, la Collezione Maramotti è promotrice di altre interessanti iniziative volte a creare un network di realtà dalle virtuose relazioni reciproche. In questo contesto si inseriscono anche il Max Mara Prize e le mostre temporanee, volte alla valorizzazione della giovane arte emergente. Cosa pensa lei del rapporto tra arte e impresa? Come questa relazione può influire positivamente nel contesto delicato dell’arte contemporanea in Italia?
Anche Max Mara Art Prize for Women nasce direttamente dal rapporto fra l’azienda Max Mara e la Whitechapel Gallery, precedente alla apertura al pubblico della Collezione. La Collezione, dopo avere acquisito le opere vincitrici assolve a un impegno preciso di valorizzarle nei propri spazi aperti al pubblico. Il Max Mara Art Prize for Women, organizzato in association with the Whitechapel Gallery di Londra, riflette lo stretto rapporto che Max Mara ha sia con il mondo femminile che con quello dell’arte. Il premio, che è biennale ed aperto ad ogni forma di espressione artistica, vuole promuovere e sostenere giovani artiste donne residenti nel Regno Unito, considerato uno degli epicentri della scena internazionale, offrendo loro la possibilità di sviluppare il proprio potenziale creativo attraverso la produzione di una nuova opera d’arte.
Nel marzo 2007, il Max Mara Art Prize for Women, ha ricevuto il British Council Arts & Business International Award. Max Mara e la Whitechapel Gallery hanno ottenuto questo riconoscimento in onore di una partnership che promuove con successo l’intesa internazionale attraverso l’arte e che rispecchia il forte legame dell’azienda con l’arte e con il mondo femminile.
Tornando alla domanda di fondo: l’impresa può modulare i suoi interventi, affiancandoli a quelli delle istituzioni tradizionalmente deputate alla valorizzazione, in una molteplicità di forme da quelle più spiccatamente a valenza sociale e formativa a quelle di carattere strettamente economico, con una rosa di “forme giuridiche” conferite alle modalità del proprio intervento. Questo tema è stato significativamente toccato e affrontato con un taglio interessante anche durante i talks che si sono svolti pochi giorni fa a Roma (proposti all’interno di Art-o ) coordinati da Adriana Polveroni .
Per quanto riguarda l’azienda Max Mara, ma in senso ampio anche per a Collezione Maramotti (che è identità altra rispetto all’azienda che la sostiene ma da cui è indipendente pur condividendone alcuni valori ) l’idea forte consiste nel creare le migliori condizioni per l’artista al fine di realizzare un lavoro di qualità che perduri nel tempo. Questo assunto forte, con le dovute differenziazioni, vale infatti anche per i progetti e le mostre degli artisti selezionati per la nostra pattern room: consentire un percorso di ricerca pura, non commerciale, garantendone alla fine l’acquisizione.
Questo è il modo migliore per attualizzare una collezione di lunga storia proseguendone il percorso di ricerca, in coerenza con il progetto originario e vivificando di senso la collezione permanente anche oggi.
La mostra introduce importanti riflessioni sulla fotografia: l’evento, inscrivendosi nel Festival della Fotografia Europea 2009 dedicato all’eternità, dilata i confini della percezione dell’immagine fotografica. Come le immagini in mostra mettono in evidenza questo intrigante filo conduttore?
La mostra rappresenta, per dirla con le parole della curatrice Michelle Bogre, un testamento sulla natura stessa della fotografia, che ha mantenuto alcune caratteristiche nel suo processo di maturazione. Se il noto teorico Walter Benjamin era nel giusto quando scriveva che un mezzo espressivo è maturo quando inizia ad essere interrogato, allora la fotografia ha certamente raggiunto la maturità.
Le fotografie degli studenti, spinti costantemente a interrogarsi, insistono sulla tradizione ed espandono i confini del mezzo espressivo, prendono giocosamente in giro la teoria fotografica, creano ordine dal caos, oscurano il chiaro e chiariscono l’oscuro.
La missione della macchina fotografica consiste nel vedere ciò che l’occhio non può o non sa vedere, e può creare una diversa memoria spaziale e temporale.
La fotografia infatti è l’unico mezzo espressivo che esiste contemporaneamente nel passato, nel presente e nel futuro. L’attimo fotografato era il presente, ma appena si forma l’immagine quel presente diventa passato. L’osservatore percepisce la fotografia nel presente, ma viene poi condotto nel momento passato in cui è stata scattata e ha preso forma, per essere poi sospinto verso la contemplazione del futuro, il proprio o quello immaginato che si sviluppa dal passato presentato nella fotografia. Una fotografia può suscitare un ricordo, una memoria sia per la familiarità della scena in cui ci sospinge, sia per i rimandi che offre i quali ci consentono di costruire o ricostruire le memorie del nostro passato o del presente. Noi rivitalizziamo esperienze.
All’interno del fotogramma e nell’istante in cui il fotografo preme sull’otturatore, la vita si ferma, per un attimo, ma il fotografo ci trasporta nel contempo indietro nella totalità dell’esperienza. Per questo proprio quando la fotografia chiarisce, essa anche “oscura”, perché quel momento non è la realtà.
Essa è solo un punto nel tempo, una rappresentazione della decisione di un fotografo di premere il pulsante, ma in quella verità il passato rivive e grazie ad esso gettiamo un ponte collettivo sul futuro, così siamo rassicurati che l’umanità, come l’amaranto, non sfiorirà mai
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Amaranth
in collaborazione con Max Mara e Parsons The New School for Design
23 aprile – 15 maggio 2009
Orari: giovedì-venerdì 14.30-18.30
sabato-domenica 9.30-12.30 e 15-18
Dal 1° al 3 maggio, per Fotografia Europea 2009:
9.30-12.30 e 14.30-19.00
Chiuso il 25 aprile. L’ingresso alla mostra è libero e gratuito.
In collaborazione con Max Mara e Parsons The New School for Design di New York, la mostra presenta le opere di trenta studenti selezionate dalla curatrice Michelle Bogre. Un elemento attraversa tutte le sperimentazioni presentate: il rapporto della fotografia col tempo, della fotografia come mezzo espressivo che esiste contemporaneamente nel passato, nel presente e nel futuro. Così come l’amaranto, il fiore che, secondo la leggenda, non avvizzisce mai, queste immagini aprono una riflessione sulla fotografia come elemento di rottura della dimensione temporale, che scandisce il nostro vissuto esperienziale, arricchendolo e dilatandolo.
Fotografie di
Nathan Ian Anderson/Lee Balzano/Robin Blauschild/Frick Byers/Stephan Crasneanscki/Izabella Demavlys/Sherry Griffin/Lyndsey Hawkins/Aaron Hillebrand/Darwisa Kagalingan/Kevin Kwan/Hannah Ljungh/Brian McCarty/Gabriel Mendes/Jared Moossy/Chris Nesbit/Nectarious Papanicolaou/Rebecca Phillips/Mary Presley Adams/Georgina Richardson/Tasha Roth/George Saitas/Sarah Smith/Judith Stephens/Sarah Sudhoff/Eva Suler de Pellegrin/Kayla Wiener/Sarah Wilmer/Amy Wilson
Michelle Bogre è Associate Professor presso la Facoltà di Fotografia di Parsons The New School for Design. È documentary photographer e giornalista freelance. Ha pubblicato fotografie ed articoli su molte riviste (tra cui American Photo, Popular Photography, Time, Newsweek, Paris Match) e contribuito a diverse pubblicazioni tra cui The Design Dictionary (Birkhauser Press, 2008). È stata curatrice di diverse mostre negli Stati Uniti (tra cui Fantasy, New York presso la Hermés Gallery e Moments of Clarity presso Sotheby’s a New York) ed è membro della Society for Photographic Education
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