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Arcangelo – Kenia Masai

MARCOROSSISPIRALEARTE artecontemporanea ha il piacere di ospitare, presso la sua sede di Verona, la mostra personale dell’artista campano Arcangelo, a cura di Walter Guadagnini, dal titolo Kenia Masai. Le opere in mostra, circa venti, fanno parte del ciclo dedicato all’Africa, realizzato di ritorno dal recente viaggio in Kenia. Sono suggestioni quelle che l’autore racconta,  ricordi senza tempo impressi sulla tela col vigore di un segno indelebile, profondo, materico. Animali come totem, graffiti arcaici rielaborati strato su strato.  La superficie si sfalda sotto le colate di colore per poi raggrumarsi nuovamente e ricomporsi in un’immagine quasi esoterica. Arcangelo non si discosta dalle cromie che lo contraddistinguono, gli ocra, i bianchi i neri, ma le sopravvoppone a quel cielo azzurro intenso che da solo riesce a far rivivere i paseggi kenioti.
E’ una natura primigenia, energetica quella che rappresenta. Una natura scarnificata, riportata alla sua condizione essenziale, quasi paleolitica nel tratto. Un’ Africa che il pittore ha amato ancora prima di incontrarla – immortalata e immaginata nel ciclo gli Altari –  che considera la Terra Madre di tutte le terre. Un amore che va oltre il fascino di una terra arsa dal sole, così aspra e dura e pur così ricca di amore e arriva ad apprezzarne la cultura autoctona ed a interiorizzarla, rendendola “sua”.  Arcangelo, infatti, ha voluto imprimere il suo segno su alcuni lavori comprati sul luogo, opere di artisti kenioti che l’autore ha acquisito, assimilato, di cui ha respirato l’intima natura per poi forgiarne una nuova identità, una versione nostalgica e fantasmica. Affascinato dai Lobì, gli ultimi stregoni, e dalla cultura Dogon, Arcangelo ci restituisce quest’ Africa magica, non rinunciando, però, alla cultura occidentale a cui fermamente appartiene, inserendo ancora una volta l’uso della scrittura corsiva che fatalmente sospende, per un attimo infinito,  l’opera tra due mondi. La mostra sarà accompagnata da un catalogo di 68 pagine con 25 immagini delle opere e fotografie in bianco e nero del viaggio,  introdotto da un testo critico a cura di Walter Guadagnini. Impaginazione di Margherita Spatola.

TESTO CRITICO:

Altre mille figure africane
Walter Guadagnini

All’inizio degli anni Novanta compaiono sulle carte e sulle tele di Arcangelo i primi espliciti rimandi alle terre africane conosciute direttamente nel corso di un viaggio compiuto insieme ad altri artisti proprio nell’inverno del 1990. “Vicino al Niger” “Ho visto l’Africa da vicino”, “Mille figure africane”, “Quando ero in Africa vicino al grande termitaio”, i piccoli disegni titolati “Lobi”, segnano l’irruzione nell’immaginario dell’artista di un luogo dell’anima destinato a materializzarsi più volte, in forme diverse, nel corso di questo ventennio. Ancora nel 1994 il ciclo dedicato ai Dogon – ad oggi il più articolato e complesso – ribadisce questa presenza, che riemerge nel 2001 per via di metafora con il ciclo dei “Feticci” e approda oggi alle tele riunite sotto il titolo di “Kenia Masai”.
Al di là delle circostanze biografiche, pure significative, è evidente da questa costante risorgenza come l’Africa rappresenti per l’artista qualcosa di più di un pretesto iconografico, e qualcosa di diverso da una pura, sebbene importante, suggestione culturale. Non è infatti un caso che già nel 1984 due grandi tele si richiamassero esplicitamente al tema della “Testa africana”, e che le tele del 1991 siano precedute dal ciclo scultoreo degli “Altari”, che coniugano essenzialità della forma e gusto per l’objet trouvé tipici non solo dell’arte occidentale del XX secolo, ma anche, e forse soprattutto, di una cultura “primitiva” che trova in Africa il suo luogo di elezione e di maggiore diffusione. La terra dei Dogon e dei Masai, dunque, come autentico luogo sorgivo di un rapporto con il mondo e con l’atto stesso della creazione che Arcangelo sente proprio, la Terra Madre da cui emergono, per necessità e non per scelta, forme e figure, immagini e colori, gesti e materie.
Ora, che la figura del viaggio, reale e metaforico, sia uno dei perni attorno ai quali ruota la ricerca dell’artista, è dato di evidenza assoluta: un viaggio nello spazio e nel tempo, dall’Africa alla Persia alla Cina, ritornando sempre ai propri luoghi d’origine, quel Sannio che ha fornito i materiali per i cicli dei “Misteri” e dei “Sanniti”; un viaggio che ha trovato persino l’incarnazione del suo mezzo di trasporto ideale, le “Navi” in cera, veicoli di una sacralità scovata nei recessi del tempo e portata a rivivere di tela in tela, di carta in carta, nel disegno di una geografia emotiva che rappresenta il senso più profondo dell’agire di Arcangelo.
E’ però opportuno sottolineare come questa figura del viaggio si presenti sotto due forme, egualmente importanti ed egualmente ricorrenti nell’immaginario dell’artista. Da un lato, infatti, vi è il viaggio interiore, quello nel profondo, non solo della propria cultura, ma anche di se stesso: sono questi i viaggi che hanno caratterizzato in particolare la prima stagione di Arcangelo, i dipinti designati da vocaboli come “terra”, “mare” “cielo”, nei quali alla fisicità della pittura faceva da contraltare una sorta di astrazione del luogo. E che si sono successivamente manifestati con un procedimento all’apparenza inverso, quello della ricostruzione all’interno delle “Stanze” di un universo complesso, in grado di contenere ogni immagine, ogni memoria del viaggio, reale o immaginario che fosse. E’ il voyage autour de sa chambre che implica un grado alto e primario di introversione, di riflessione, all’interno di uno spazio appena accennato eppure carico di suggestioni, lo spazio infinito dell’immaginazione, che per immediata analogia riporta a quello dello studio del pittore, e infine a quello della tela, a quel mondo dove tutto può accadere, in pochi metri o centimetri quadrati.
Dall’altro lato si trova invece il viaggio nella sua accezione più comune e letterale, quel muoversi verso una meta, verso un altro da sé che, se pure ha delle ovvie implicazioni simboliche e culturali, non di meno è primariamente un atto fisico. Di questi viaggi reali, senza dubbio quello verso il continente africano è quello che incide con maggiore forza e immediatezza sulla stessa evoluzione pittorica dell’artista, quasi si trattasse di una vera e propria rivelazione, di un punto di non ritorno all’interno di una pratica artistica che, per Arcangelo, è in tutto e per tutto pratica di vita, non esercizio di stile o atteggiamento mondano. Scriveva a questo proposito Flaminio Gualdoni: “Il viaggio in Africa è infatti la ragione, in questo biennio, del passaggio decisivo di Arcangelo a una iconografia non meno addensata in picchi emotivi, ma aperta a un colorire, per materia/colore quantomeno, sconosciuto alle opere precedenti (…) La serie intitolata ai Dogon, all’incirca 1994, mostra il crescere dei rossi e viola e verdi come cadenze di forte intonazione della spaziosità sempre più serrata, forte, sonante verrebbe da dire, delle immagini: con il nero ancora in dominante, ma a farsi ormai segno, testura nervosa procedente per più aperti sviluppi. E con l’ocra, soprattutto, che si fa terra e stucco, fondazione di spazio e decorazione, sostanza e pelle”. Meglio non si potrebbe dire, a proposito di quelle opere, e meglio non si possono introdurre quelle odierne, dove quei primi accenni – che allora segnavano un’autentica, per molti versi imprevedibile novità – si svolgono in termini ancora più evidenti e una volta di più sorprendenti,  nonostante i cicli successivi dei “Tappeti persiani” e di “Verso Oriente verso la Cina” abbiano ulteriormente arricchito lo spettro cromatico della pittura di Arcangelo.
Nelle tele odierne, il nero non solo non assume più funzione strutturale – di pensiero e di pittura – ma torna a svolgere un ruolo che è primariamente quello del disegno, della definizione della forma, lasciando ai colori il compito di costruire la temperatura dell’immagine e la struttura tutta del dipinto. Neri sono, infatti, gli elefanti che compaiono su queste superfici, nera è qualche figura e nere ancora le scritte, gli abitanti di un paesaggio che prende forma attraverso gli ocra, gli azzurri, i verdi, in quello che a oggi si può definire come il ciclo più felice tra i tanti realizzati dall’artista nel corso degli anni. Il nero è il segno inciso, una traccia proveniente da distanze millenarie, è il grafito nella caverna, il primitivo: fuori il sole, la natura, la luce.
L’altro da sé verso cui Arcangelo ancora una volta si è mosso, questa volta diviene persino, in una piccola ma significativa serie, parte integrante dell’opera: è chiamato non più solamente a fornire le suggestioni che l’artista rielabora una volta rientrato nello studio – lontano fisicamente dai luoghi, dai colori, dalle forme – ma è posto come base sulla quale Arcangelo interviene senza cancellare totalmente quell’origine, anzi, lasciando che essa traspaia e dia il tono all’opera, in un gioco che testimonia ulteriormente della felicità di questo viaggio.
Eppure, anche in questo agire, che può apparire totalmente inedito, non è difficile trovare una continuità con l’intera vicenda creativa del pittore: già alcuni anni fa scrivevo infatti che “questo modus operandi dice, allora, della necessità di  Arcangelo di agire primariamente – e in tutti i sensi – su qualcosa di preesistente, su forme e materie che abbiano già una loro storia, una loro vita, finanche un loro odore e un loro sapore. Di non iniziare mai il lavoro dalla pagina bianca, ma di intervenire con la propria presenza su di un’altra presenza, che al termine dell’opera sarà riconoscibile forse solo dall’artista, ma che in fase di elaborazione dell’immagine è invece attiva, guida, e compagna di viaggio nella solitudine dello studio”. Allora, ci si riferiva a un’iconografia colta tra le immagini del mondo e della memoria, e ad alcuni dei materiali utilizzati; oggi, quel percorso lì solo intravisto giunge a una sua sorprendente ostentazione, nel momento in cui l’artista interviene direttamente sulle opere compiute da alcuni anonimi artisti di strada kenioti, mettendo concretamente in atto una strategia che non è quella dell’appropriazione, e non è nemmeno quella della memoria, ma è quella di un autentico omaggio anche agli aspetti meno nobili, e tuttavia vitali, di quella cultura.
D’altra parte, che la vocazione di Arcangelo al meticciato culturale sia elemento distintivo della sua poetica non è certo una rivelazione dell’oggi, e un meccanismo analogo di trasposizione letterale era già in atto nella serie dedicata alla Cina: ciò che colpisce di fronte a queste nuove prove è la grande leggerezza con la quale egli si avvicina a un’iconografia che, almeno all’apparenza, sembrerebbe essere opposta a quella ricerca di originarietà, di sacralità che connota così fortemente l’intero suo percorso, e anche la gran parte dei lavori esposti in questa occasione. Ma quegli arancioni, quei rossi, solcati dai segni neri, quella sorta di ponte azzurro costruito su di un fiume abitato da ippopotami e coccodrilli come nelle locandine di un vecchio film (a proposito di cinema, e per via di suggestioni anche letterarie, è curioso notare come in questa serie Arcangelo riesca a far convivere l’Africa ctonia e tenebrosa di “Apocaplypse Now” con quella solare ed elegiaca de “La mia Africa”), dicono qualcosa che altrimenti forse sarebbe rimasto nascosto tra le stesure sapienti delle grandi tele, dicono della stupefazione e della gioia che può provocare l’incontro con l’altro da sé, una stupefazione che non teme di manifestarsi e di manifestare anche i propri debiti. Riconoscendo, tra le mille figure africane, non solo i propri antenati, ma anche i propri compagni di viaggio.

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Arcangelo nasce ad Avellino nel 1956, frequenta il Liceo Artistico a Benevento per poi diplomarsi all’accademia di Belle Arti di Roma 1980. Nel 1981 si trasferisce a Milano, dove vive e lavora tuttora. Nel 1983 nasce il ciclo “Terra mia”. Nel 1984 partecipa alla collettiva Perspective, in occasione della Fiera di Basilea. Nell’88 nascono le tele “Pianeti” e le istallazioni “Altari e nel 1990 compie il suo viaggio in Africa, viaggio importante per il suo vissuto d’artista, da qui nasce il ciclo “Dogon“,tele e sculture dedicate all’etnia africana e in seguito, le Navi, ciclo di scultura nato nel ’95. Grandi mostre personali e collettive si susseguono con le opere appartenenti al ciclo dei Misteri, tema, legato alla “religiosità”, molto caro ad Arcangelo che porterà avanti fino a toccare, senza alcun timore, il concetto dei “penitenti”. Nel 1999 riceve il primo Premio Suzzara di pittura. Tra il 1999 e il 2000  nascono le opere su tela “Tappeti Persiani” e le sculture in terracotta “Anfore”.   Tra il 2000 e 2001 nascono le opere su tela “Feticci” e in seguito “Sanniti” e le sculture di ceramica “Orti”. Progetta un ciclo di Monotipi che saranno esposti in gallerie in Italia e in Germania. Nel 2003 viene pubblicata la monografia Arcangelo (Edizioni Quattroemme, Perugia). Nel 2004 da alle stampe un prezioso volume di incisioni corredato da 14 poesie di Alda Merini Iniziano i viaggi nel Mediterraneo, da qui opere su tela dedicate al tema “Le mie case”. Nel 2006 nasce il ciclo “I Vedenti. Nel 2006 inizia a progettare il II volume della “Monografia – opere dal 1983 al 2007” e nell’estate del 2007, dopo un viaggio con la sua famiglia, nasce il ciclo “Kenia-Masai”. Sin dagli anni Ottanta i suoi lavori sono esposti in importanti gallerie europee: Galleria Tanit, Monaco di Baviera, 1984, 1991,1994, 2001, 2003; Galleria Buchmann, Basilea, 1985,1989.1992; Galerie Maeght-Lelong, Parigi, 1987; PAC, Milano, 1987;  Galleria Civica, Palazzina dei Giardini, Modena e Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Trento, 1991; Galleria Otto Bologna, 1994-1997; Galerie der Stadt, Stuttgart, 1998, a cui si aggiungono le mostre istituzionali come quella al P.A.C. di Milano nel 1987 e la partecipazione alla XI Quadriennale Romana. Le mostre dell’ultimo ciclo sono state ospitate nel  2007 da Galerie Galvani a Toulouse e, nel 2008, al Chiostro Arte Contemporanea  di  Saronno. Negli anni sono stati pubblicati numerosi cataloghi monografici e libri d’artista che spesso hanno accompagnato le sue esposizioni in Italia e in Europa, le sue opere sono presenti in molte collezioni pubbliche e private.

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Informazioni utili:
ARCANGELO – KENIA MASAI
9 maggio – 20 giugno 2009
A cura: Walter Guadagnini
MARCOROSSISPIRALEARTE  artecontemporanea                           
Via Garibaldi 18/a –  Verona 
tel. 045 597753
verona@spiralearte.comwww.spiraleartecontemporanea.it
Orari:dal martedì al sabato 10.00-12.30 e 15.00–19.00 Lunedì e festivi su appuntamento
Inaugurazione: sabato 09 maggio ore 18.30 – 22.3

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