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Shane Campbell in residence in VIA FARINI

IL TARTUFO O DEL PROFUMO DELLA VERA PITTURA

Shane Campbell, artist-in-residence in Via Farini a Milano

 

 
 
Da Artissima di quest’anno tornai con addosso un profumo di classicità così potente da sembrare una dichiarazione di guerra. E con la seguente certezza: per causa della crisi, alcuni Paesi nel campo dell’arte contemporanea si stanno attrezzando meglio di noi, che – a forza di blaterare “tanto, siamo meno scoperti e meno in pericolo di altri” – ci sentiamo più ottusamente sicuri (di che?) e ci diamo, nel frattempo, alle feste danzanti. Vanitas vanitatum… I più umili – o forse più adusi alle avversità economiche improvvise – nel tentativo di ricerca di un’intelligente via d’uscita sono gli Stati Uniti. Ma di questo già parlai altrove. Da Artissima raccolsi, inoltre, perlomeno un seme, che ho ritrovato di recente.

L’altra sera vengo invitata da una coppia di amici di prim’ordine con una qualità in più rispetto al consueto già ricchissimo display di piacevolezze: un tartufo d’Alba (Tuber magnatum pico) grande quasi come una palla da petanque, chiaro come la tela vergine di Ruth Ann Fredenthal prima che attacchi con la meticolosa preparazione delle sue infinite stesure, profumato come un bosco di castagni, querce, lecci e robinie ed evocante mille sensazioni olfattive che spesso e volentieri ci fanno rimpiangere un’Italia data definitivamente alla gastronomia piuttosto che all’arte (è un campo in cui oggi raggiungiamo le più alte vette e per il quale siamo davvero riconosciuti abroad).
L’immaginifico tubero ipogeo era destinato a succulente tagliatelle e a un piatto di carpaccio lieve e intenso come un tramonto di fine primavera. Fosse per me, l’avrei sgranocchiato come stecca di liquirizia o affettato a veli sottilissimi anche sulla torta di mele della padrona di casa.
 
Alla mia sinistra era seduto uno sconcertato Shane Campbell, invitato d’onore della serata che aveva portato con sé tre teline piccole piccole ancora da inchiodare e ancora con il profumo della vernice fresca. Da un sentore all’altro.
Dopo aver vinto la diffidenza del ragazzone di San Diego, che guardava con certa riprovazione i nostri occhi luccicanti e i nostri palati frementi per un “fungo” così diabolicamente costoso e la nostra disdicevole perseveranza nell’assottigliare il pregiato prodotto (non del tutto certi che lo gradisse davvero, accidenti al puritanesimo dei salutisti californiani), egli attaccò a parlare di sé e dell’arte americana e di quella poca arte europea che teneva in considerazione, all’interno della quale emergeva un’insana passione per Tiepolo e Morandi (unico artista italiano del XX secolo da lui veramente conosciuto oltre Fontana).
 
Shane Campbell è considerato da Cecily Brown (una sorta di mentore per l’artista trentunenne) il miglior pittore nascente dell’odierna scena statunitense; e forse la signora vede giusto se si osserva la capacità e la potenza del gesto misuratissimo e concentrato anche nelle piccole tele incartate che riposavano in un angolo della casa.
La sensazione, dalle parole di Shane, è che in America vi sia una “scuola” non accademica, un legame intellettuale, una linea di sangue fortissima che inanella le generazioni di artisti una all’altra e che spinge al frenetico e vivace ricambio come nel resto del mondo non è. Le gallerie sono le braccia materne e severe entro le quali l’artista può avere l’occasione di sfondare davvero.
E ciò perché, a propria volta, esse sono riferimento costante per i Musei e sono da questi incessantemente interrogate sullo stato dell’arte, sollecitate a produrre sempre nomi alternativi e nuove correnti, mischiando e mettendo in relazione fra loro artisti “vecchi” (ovvero quarantenni)
con artisti “giovani” (ossia non più che trentenni).
 
Si può dire, quindi, che Shane Campbell sia già maturo e arrivato alla meta: attraverso la sua galleria di riferimento a New York (Stefania Bortolami, uno dei “nasi” di Gagosian) egli sarà oggetto verso la metà di dicembre di quest’anno di a studio visit da parte del P.S.1 del MoMa per una selezione (facendo debiti scongiuri o, come dice Shane, knocking on wood) di alcune sue opere per la collettiva che il grande Museo americano presenterà da primavera ad autunno 2010 con la terza attesissima quinquennale Greater New York la cui funzione è offrire al pubblico il meglio della piazza emergente newyorkese (c’est à dire, statunitense).Ma ora Shane Campbell è in Italia come artist-in-residence con borsa di studio dell’ACACIA che sostiene il programma Memories and Encounters e ha permesso che Via Farini lo ospitasse per due mesi.
Ed egli, qui da noi, “obbligato a produrre” per il periodo di residenza, non abbandona gli stilemi che gli sono propri (l’ossessiva ripetizione di patterns sino alla loro scomposizione nelle strutture prime e la resa del concetto attraverso simboli grafici pregnanti: l’iterazione non annulla ma rinvigorisce e assevera l’idea catturando nel cammino altri significati) e abbraccia concettualmente l’aria tutta italiana della Lombardia di Giulio Romano.
Ecco un’interessante nota dell’artista in risposta alla domanda “cosa trovò in Italia con il progetto di Via Farini e in cosa la sua arte può essere cambiata da quest’esperienza”:
<I had a great time here. Viafarini was very helpful. […] There is no replacement for being able to see in person the great art found in Italy. The in-situation paintings in particular are hard to find anywhere in America. The churches, castles, and palaces all with installed painting related to their architecture is pure theatre to me and something you cannot get over a small pick online. […] I don´t know how this changes me in anyway. But usually traveling and learning takes time to sink in. These things emerge (especially in painting) with time. My goal during my time here was to get out and see things and also spend time painting. I had no goal of completing anything or expectations of results>.
 
Amante del Tiepolo e dell’ordine cosmico di Morandi, Campbell ritrova in Italia ciò che non sapeva esistere in America ma che forse è sempre stato nel suo bagaglio intellettuale: qualcuno laggiù gliene dovrà rendere il giusto merito, perché da noi acquistò definitivamente nuovo coraggio
nell’uso del colore e nel far pesare (letteralmente) la forma entro lo spazio della tela.
Da Giulio Romano Shane riconnette quel personale “rotolamento” di forme che si disfano e si rifanno e cattura la capacità di affastellare nitidamente e con incisività le figure; da Tiepolo azzarda nuove tonalità di colore, provando una palette fra le più singolari che ultimamente mi capitò di vedere, con un’eleganza che in pochi sanno rendere. Ci sono dei verdi e degli azzurri che partono dal Bellini o da Cima da Conegliano e arrivano sino in America senza che forse il giovane pittore se ne sia davvero accorto.
Sembra quindi che dopo aver esperito il tratto libero e coinvolgente della pittura statunitense del XXI secolo, Campbell si riaccenda all’idea che la libertà non esiste in pittura e tutto è costrizione e necessità di perfezionare se stessi.
Che meraviglia! Un pittore colto.
 
Shane Campbell, Pull, 2009, olio su tela, cm. 94×81,3
Dipinto durante il progetto “Memories and Encounters” VIR – Via Farini in residence, Via Farini 35, Milano
 
E che è colto si nota anche dal solido background nella migliore pittura statunitense: palesemente Campbell si ispira a Richard Diebenkorn di San Francisco che traspone nelle luci californiane del modernismo del Bay Area Figurative Movement l’insegnamento più sottile del realismo di Hopper; altra forte ispirazione viene dall’opera di David Park, fondatore dello stesso movimento e iniziatore di un espressionismo singolare e sofferto che ritrovo nei soggetti di Shane, il quale insiste nello spiegare che anche il terzo grande nome della pittura della West Coast, Elmer Bischoff, è per lui maestro, forse nell’etica concezione dell’arte che rifiutava la difficile impresa (tutt’altro che democratica, benché assai connotata politicamente) dell’espressionismo astratto e vi contrapponeva stili e soggetti più aderenti allo spirito comunionistico genuinamente americano.
L’ossessione pop per la ripetizione dei patterns e per la nitidezza del messaggio è tutta del côté pacifico degli Stati Uniti: Wayne Thibaud è un altro nome che compare nella lista dei classici di Shane Campbell, del quale però non vuole cogliere l’apparente freddezza.
L’artista che forse ricorre maggiormente, anche se il Nostro sottolinea “solo” come ispiratore di un modo di concepire l’arte quale espressione della quotidianità dell’esperienza umana, è quello di Robert Irwin della scuola di Los Angeles, che partendo dall’Espressionismo astratto del II dopoguerra, ampliò l’esperimento della pittura per scoprire nelle installazioni ambientali i veri confini della percezione visiva e dell’esperienza che coinvolge artista e pubblico. La curiosità di Campbell, vero pittore, nei confronti di Irwin è data dalla sensazione che aldilà della pittura vi siano aree visive da sperimentare ancora, senza più barriere di dentro/fuori, interno/esterno in uno spazio quasi illimitato. Oltre a ciò, per Shane sembra importante attribuire attenzione alle percezioni sensoriali messe in gioco dal lavoro di Irwin: per ora egli si limita a conferire loro una valenza pittorica assai evidente, ma ho idea che presto questa tensione verso il concettuale arriverà a modificare le sue prove. Si tratta di aspettare e vedere.
 
Ecco cosa sottolinea Shane Campbell del suo atteggiamento nei confronti della comunità artistica:
<I guess the big picture here is that world is a very cosmopolitan place. The idea of a “school” of art is hard to come by these days. The Internet, cheap publishing + distribution, and cheap transportation… has really intermixed artist. The painters that I look at old, 20th century and contemporary come from all around the world>.
 
Nel progetto di Via Farini, che Campbell apprezzò moltissimo, non c’era uno scopo da raggiungere, ma un’opportunità per imparare. La serie delle Parades che contraddistinse la produzione degli ultimi due anni non è esaurita ma è al momento interrotta (“They are stories…” anche a puntate, come un racconto da svolgere con calma). Giulio Romano ispirò una nuova potenzialità evocativa.
Da una parte l’analisi del movimento di tensione del corpo, isolato nella tela di poco sfondo e terreno sdrucciolevole e trasparente, sino a farlo dimenticare di se stesso: può essere anche simbolo di fallimento o lotta senza vittoria e in solitudine, ma ciò che importa è il segno, l’impronta che il corpo lascia sulla superficie del quadro, la pura linea che divide e separa in aree di forza la struttura dell’opera, mera fisica dei vettori, o geometria euclidea, da quantificare e trasporre visivamente. Dall’altra lo studio del colore, che Shane usa magistralmente e che da solo condiziona il senso dell’opera, anche se l’artista si affretta ad affermare che non permette al colore di dominare “in tutto” la sua poetica.Noi tutti, al tavolo del tartufo, speriamo che Shane Campbell, così compito e attento, e così straordinariamente bravo, torni in Italia presto, prima che il probabile imminente vortice dello star-system americano lo limiti nei movimenti e nelle curiosità. La sfida con l’Antico gli si addice, e vorrei davvero vederlo ancora all’opera qua da noi, alle prese con la misura classica che in Italia viene, soprattutto dai forésti e senza troppo scandalo, riconosciuta come regina (e non si capisce perché dovrebbe essere disconosciuta, dato che l’intelligenza e il talento riescono ancora a renderla genitrice di contemporaneità).Nel frattempo, l’ultima scaglietta noccheruta del biondo olimpico tartufo si è dissolta nelle fauci del più ingordo fra i commensali (chissà chi sarà…). Shane Campbell è come il nostro regale truffle: rarissimo, per palati fini, da cercare con assiduità e ogni volta che si incontra ci si sorprende a riaffermare che è certamente in parte scoperta casuale, ma ci vogliono mille anni per affinare la ricerca e saper goderne dei frutti. E, infine, è però sempre necessario un buon cane da cerca che ti aiuti a trovare il tesoro nelle profondità della terra e fra milioni di inutili frammenti di umanità e vita. 
 
 
 
Shane Campbell, Studi diversi, 2009, oli su tela, dimensioni varie
Parte delle opere create durante il progetto “Memories and Encounters” VIR – Via Farini in residence, Via Farini 35, Milano
 
Nota biografica
Shane Campbell  è nato nel 1978 a San Diego. Vive e lavora a New York.
Scuole:
Yale School of Art, MFA 2007
California State University Long Beach, BFA 2005
Riconoscimenti:
Ralph Mayer Prize, Yale School of Art 2007
Joy of Life Award, CSULB 2005
Fine Arts Affiliate Award, CSULB 2004
Mostre:
“The Recognitions” curata da David Salle, The Fireplace Project, East Hampton, NY 2007.
“Yale Thesis Show”, Yale School of Art Gallery, New Haven, CT 2007.
“A Parade”, The Bluffs, Second Life 2007.
“Wide World of Sports”, Gatov East Gallery, CSULB, Long Beach, CA 2005.
“Snow Show”, Mallards Bay, Big Bear, CA 2005.
“Who Killed Painting”, Gallery 5, CSULB, Long Beach, CA 2004.
“Response to Siqueiros”, Santa Barbara Museum of Art, Santa Barbara, CA 2002.
 
INFORMAZIONI UTILI:
SHANE CAMPBELL. Memories and Encounters
ARTISTS-IN-RESIDENCE (Jonathan Baldock – Shane Campbell – Julia Staszak)
Dove: VIR: ViaFarini-In-Residence, Via Farini 35 – 20159 Milano
Shane Campbell è in Italia supportato da una borsa di studio offerta da ACACIA (Associazione Amici Arte Contemporanea)
Apertura e orari: settembre- novembre 2009
presentazione degli artisti: 1 ottobre 2009, open day: 18 novembre 2009
Le opere sono visibili su appuntamento.
Informazioni: Tel. 02 66804473, Fax 02 66804473
www.viafarini.org
viafarini@viafarini.org
www.acaciaweb.it

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