Riflessione al vetriolo
Il D-Day, lo sbarco dei 260 selezionatissimi artisti in udienza con il Santo Padre nella Cappella Sistina, è finalmente giunto a compimento.
L’incontro è il primo passo del nuovo corso impresso alla politica culturale della Chiesa nei confronti della contemporaneità voluto da Monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.
Dal nostro piccolo e libero brigantino pirata avevamo già anticipato le nostre perplessità nel pezzullo Angeli e Demoni (per chi avesse voglia di leggerlo) circa il rinnovato fervore della Santa Sede nei confronti del contemporary, dubbi che vanno ad aumentare man mano che il confronto si substantia.
Il concetto di Bello ed il rapporto con il Divino nella complessa ricerca filosofico-teologica cristiana sono alla radice della nostra cultura figurativa e vedono nell’incarnazione del Cristo che ci riscatta dal peccato originale il riflesso ed il tramite della Divina Immagine del Padre, la cui rassomiglianza ci ricorda la nostra origine e ci indica la via della Salvezza. Ed è proprio questo straordinario pensiero che rende così peculiare e differente da tutte le altre culture la nostra tradizione figurativa incentrata sulla rappresentazione del divino ed il culto delle immagini. Culto che il pensiero cristiano eredita dal mondo classico e pagano e, filtrato dal monachesimo medioevale, traghetterà nella modernità Umanistica su fino quasi a noi. Vero dunque che non si può, o meglio potrebbe, parlare di arte prescindendo da tutto ciò.
Ma altrettanto vero è che l’Uomo, a forza di cercare di rassomigliare al Padre, ha finito edipicamente per sostituirsi a lui, credendosi esso stesso Dio. E’ il peccato di ubris del pensiero illuministico che traccia il primo solco tra il divino ed il bello, solco che diverrà voragine nel ‘900 avanguardistico per approdare all’odierna era pop postmoderna, regno del nullismo e del culto della Comunicazione, vero Vitello d’Oro dei nostri tempi.
Ora, tutto ciò detto, è con amarezza che constatiamo la masochistica propensione alla sindrome di Stoccolma che affligge la Chiesa ogni volta che essa apre le Sue generose braccia all’impudica modernità: che Diavolo c’entra quella parata di altisonanti nomi e personalità, nella maggior parte dei casi massimi rappresentanti di quel laicismo -in realtà ateismo- indisponibili a qualsivoglia fede e credenza, salvo poi genuflettersi alla metempsicosi di Sai Baba, razionalisti ma disposti ad abbracciare qualsiasi cacchio di Buddha o vegetarianesimo ayurvedico, orripilati dalle manipolazioni alimentari transgeniche, ma affascinati dal transgenderismo sessuale, proibizionisti sui pomodori ed entusiasti per le opportunità eugenetiche. Che Diavolo c’entrano costoro con il divino e la bellezza che dimostrano di non amare in tutte le loro “creazioni” trasudanti solipsismo intransitivo, più vicine a tradizioni iconoclaste che alla nostra.
Va bene che è la pecorella smarrita la più preziosa per l’evangelico pastore, ma qui si tratta di una scalpitante mandria di bisonti che travolge e trascina ogni cosa nella sua cieca corsa verso il baratro, non l’anima perduta da salvare.
Quello che ci sarebbe da salvare è il nostro sparuto mondo, ormai una ridotta, accerchiato com’è dalla trasfigurante pressione demografica e minato al suo interno da un mortifero sentimento di dissolvenza in un indistinta alterità. Tutti ballano inconsapevoli sulla tolda della nave che affonda, senza neanche gli splendori ed i languori di un malinconico tramonto. Anche esteticamente una fine ingloriosa, che tristezza!
Tra non molto, quando gli emergenti Imperi d’Oriente rivendicheranno il ruolo di guida culturale -oltre che di traino economico- e plasmeranno il mondo a loro immagine, quando i loro stilemi culturali informeranno l’immaginario dei popoli, tutta la nostra storia, tutta la nostra tradizione potrebbe divenire polvere archeologica che simbolicamente non trasmette più nulla, materiale per fiction alla stargate. Già ora del resto il Bello, il Divino non parlano più ai nostri stessi popoli la cui memoria va sfarinandosi nelle istituzioni europee il cui impegno nel resettare ogni passato carico di una qualche tradizione con tanto zelo perseguono.
Se l’origine del nostro continente sprofonda nella notte dei tempi e rimanda al mito del Ratto d’Europa, il suo epilogo narra della consunzione della splendida fanciulla che incantò Zeus.
Rimane solo uno sparuto e bagnato ratto!
in punta di pennino il Vostro LdR
IN ATTESA DELL’IMMINENTE NUOVA “RIFLESSIONE AL VETRIOLO” DI LUCIEN DE RUBEMPRE’ INTITOLATA “COM’E’ TRISTE VENEZIA” VI CONSIGLIAMO LA VISIONE DI QUESTO VIDEO
http://www.youtube.com/watch?v=ouqPvzV03YI
il video si riferisce alle polemiche dimissioni di Monique Veaute da direttore di Punta della Dogana e Palazzo Grassi ed al forte contrasto insorto tra François Pinault e il comune di Venezia e la Regione Veneto circa l¹utilizzo personalisico dello spazio dato in concessione al magnate bretone