Print Friendly and PDF

JOEL-PETER WITKIN and Others

L’IMMAGINARIO CRUDELE DELLA BELLEZZA TRADITA
Joel-Peter Witkin a Brescia, da Ken Damy  


JOEL-PETER WITKIN – Ars Moriendi, 2007

‘Il punctum non si cura della morale o del buon gusto; il punctum può essere maleducato’ (R. Barthes)”. 

A Brescia bisogna (die sollen!) andare a vedere, dal prossimo 28 novembre sino al 30 gennaio del 2010, la mostra di Joel-Peter Witkin ospitata presso il Museo Ken Damy di Fotografia Contemporanea organizzata con la collaborazione della Galleria Ca’ di Frà di Milano. Bisogna, perché l’artista, che pure torna spesso in Italia, non ha mai partecipato da noi ad una personale così vasta e dalla scelta così consona alla sua poetica. 

Tutti parlano di Joel-Peter Witkin, brookliniano classe 1939 di madre italiana e padre lituano, l’ossessivo costruttore di vanitas contemporanea, colui che ammaestra il perverso piacere dello sguardo indugiante su ciò che è corruttibile. Il fotografo dell’evidenza della precarietà del bello, della sontuosità della putredine…

Ma non tutti sanno (i suoi molti detrattori in primis) che l’uomo è gentile, schivo, affettuoso con i suoi modelli che accompagna di fronte all’otturatore con una tenerezza priva di affettazione, rigoroso più con se stesso che con gli altri e rispettoso di una disciplina interna fatta di onestà intellettuale e bontà d’animo. E non molti conoscono l’emblematico episodio del suo rifiuto di champagne e frutta esotica offerti in camera e restituiti di propria mano al mittente, quando Witkin era a Parigi nel 1982 per partecipare all’inaugurazione della sua prima mostra presso la galleria Lebon (inizio di un lunghissimo sodalizio). Piaceri sconvenienti e disonorevoli in un mondo di povertà e disuguaglianza. 

I conti con la complessità  di una morale informata profondamente di religiosità, e dell’impossibile sincretismo fra ebraismo paterno e cattolicesimo fervente della madre, Witkin dovette tentare di affrontarli sin da piccolo, mentre una serie sconvolgente di accadimenti luttuosi (fra cui la perdita drammatica del fratello gemello) che lo videro involontario spettatore contribuì a costruire un casellario degli orrori, di ricordi spezzati, di personaggi mancanti, che sarebbe piaciuto a Bosch, e che, nel tempo, avrebbe sentito la necessità di essere oggettivato attraverso la fotografia.

La mentalità  contorta e aggredita dalla consapevolezza della caducità della vita e dell’inconciliabilità fra ciò che l’uomo pensa di essere e ciò che invece è si forma presto per declinarsi in immagini complesse quanto spiazzanti che riprendono gli stilemi più evidenti e le pose della natura morta del ‘600 (ma anche dei primitivi a cui Witkin stesso riconduce lo studio della costruzione spaziale e architettonica dei propri ambienti), del neoclassicismo, del decadentismo e della fotografia dell’800 (le immagini vittoriane del genere cosiddetto memento mori, o sleeping beauties, che ritraevano persone morte spesso ad occhi aperti, in posa, circondate dalla famiglia, neonati in braccio alle madri o in culla con i loro piccoli giochi, figli in mezzo a genitori, ecc.), ma anche del surrealismo e di certo concettualismo spiritualista che si ritrova, ad esempio, in artisti come Hermann Nitsch o Roman Opalka… 

Lo scandalo, del resto, è di prammatica nella visione semplicistica (e forse arcaica) delle funzioni dell’arte fotografica sin dalle origini della sua storia. Nel 1858 l’immagine Fading away di Henry Peach Robinson (una giovane ragazza sul letto di morte accudita dai parenti) fu fortemente contrastata per il soggetto ritenuto inopportuno per la fotografia, considerata ancora solo uno strumento per documentare la realtà e non per interpretarla artisticamente.

Nonostante questo, la fotografia pittorica (pittorialismo) conquistò diversi circoli fotografici, che organizzavano mostre e concorsi con immagini scelte secondo i dettami estetici di una giuria composta da scultori e pittori. L’intreccio inesauribile e fecondo fra fotografia e arti visive era solo all’inizio. 

I tableux vivants che Witkin mette in scena dopo almeno un paio di mesi di selezione dei personaggi e delle attrezzature, dai contenuti così raccapriccianti e mollemente allusivi ad ogni debolezza umana anche quelle che travolgono l’uomo lasciandolo perfettamente innocente, permettono allo spettatore una metamorfosi verso una visione più partecipe, simpatetica, pietosa della caducità delle cose. Permettono, per l’appunto, di intuire l’innocenza che sempre sottosta all’atto terribile, all’hybris già punita, dell’uomo che mostra se stesso in tutta la sua nudità d’animo e di speranze all’obiettivo. 

Basti il solo esempio dell’immagine del 1999 Humor and Fear, New Mexico, nella quale la modella fu l’artefice del proprio destino di distruzione: l’infelice si sottopose ad un’operazione di liposuzione per eliminare la presenza di cellulite, ma l’intervento non riuscì e provocò un’infezione di tale smisurata virulenza da far perdere parte dei quattro arti; alla sventurata paziente rimase – sarcasmo diabolico, sconcezza finale –, tenace ed incrollabile, il piccolo difetto estetico per il quale la sua vita rischiava di finire e per cui definitivamente si perse. Ma anche derisa e sbeffeggiata, agghindata con orecchie di Minnie e con il volto grattato via dalla lastra, la modella è in una posa che le restituisce dignità e onore, bellezza e luminosità, sulla base di un lapideo gioco di putti e ninfe, drappeggiata sontuosamente di sete e avvolta nella luce radente del pomeriggio di un limpido paesaggio italico. 

Le lastre di Witkin, infatti, che non corregge mai le proprie immagini con effetti computerizzati (tutto crudamente vero!), subiscono però a volte e negli scatti migliori, ulteriori ripensamenti e accessorie deformazioni: e così si affastellano di segni netti e distonici, graffi e cancellazioni, sbavamenti di chine e acquarellature di fondali… Il risultato è formalmente perfetto, senza errori né sovrabbondanze, un capolavoro di equilibrio e armonia che dalla mente dell’artista prende vita con il gioco delle sovrapposizioni del gesto tecnico.  

Witkin costruisce artificiosamente, ma non con minor volontà di chiarezza e onestà, il “miracolo” della pietas che trasmette in chi guarda, perché il suo occhio è gentile, delicato, attento a far emergere, laddove sembra non potrebbe mai essere, il sublime.

Dio non può aver commesso errori: tutto ha la medesima dignità del bello. Ecco il pensiero di fondo del fotografo americano che dovette abbandonare la Grande Mela e andare a risiedere in Albuquerque in New Mexico perché solo lì poteva ottenere con facilità i corpi dei cadaveri per le sue immagini più scabrose e crude. 

Noi non vogliamo mai avere a che fare con la morte, né tantomeno con l’immagine di ciò che la precede (la malattia, la vecchiaia) e di ciò che immediatamente la segue (il disfacimento), ma le opere abbaglianti e dolentemente quiete di Witkin fanno riposare il cuore (per chi vuole): nell’imperfezione dell’uomo la perfezione di Dio e del creato, nel dettaglio asimmetrico la squisita armonia delle cose da rinvenire nei luoghi del dolore. Forse mai nessun reporter di attualità riuscì a condurre lo spettatore fra le braccia di una così piena coscienza della consolazione che giunge per tutti. 

La mostra prosegue con una piccola scelta dei maggiori epigoni di Witkin, fra i quali William Ropp è certamente il più noto. Ma la citazione è speciosa e si risolve nell’omaggio. Nessuno riesce a recuperare le tensioni emotive e lo sguardo colto dell’artista statunitense. 

Infine, nella sala video del Museo viene presentato in loop un lungo filmato prodotto dalla Galleria Cà di Frà, realizzato a Milano all’Accademia di Belle Arti di Brera, con interventi di Vittorio Sgarbi e un’intervista all’autore realizzata al Pac di Milano durante la sua ultima esposizione in Italia. Il video è bellissimo e introduce con delicatezza e attenzione lo spettatore nella difficile mente di Witkin, che non vuole edificare né scandalizzare, ma solo denunciare lo squilibrio e la disarmonia del mondo nel tentativo di porvi un personale rimedio.  

 


JOEL-PETER WITKIN
– Studio Berlin, 1998

 

JOEL-PETER WITKIN
Nasce a Brooklyn, New York (USA), nel 1938; vive e lavora ad Albuquerque in Mew Mexico (USA).

      1980: Esposizione nel Projects Studio One, NYC

      1981: Collettiva al San Francisco Museum of Modern Art

      1982: personale alla Galerie Texbraun, Paris; personale alla Galerie Baudoin Lebon, Paris

      1983: personale al Kansas City Art Institute. Personale allo Stedelijk Mus, Amsterdam. Personale alla Fraenkel Gallery. Personale alla Pace Wildenstein MacGill Gallery, NYC

      1984: Personale alla Fraenkel Gallery. Personale alla Pace Wildenstein MacGill Gallery, NYC

      1985: Personale al San Francisco Museum of Modern Art. Collettiva al Whitney Biennial

      1986: Personale alla Galerie Baudoin Lebon, Paris. Personale al Brooklyn Museum. Collettiva al Palis de Tokyo, Paris

      1987: Personale alla Fraenkel Gallery. Personale alla Pace Wildenstein MacGill Gallery, NYC. Personale alla Galerie Baudoin Lebon, Paris. Personale alla Fahey/Klein Gallery, L.A.

      1988: personale al Centro de Arte Reina Sofia Museum, Madrid.

      1989: Personale alla Pace Wildenstein MacGill Gallery, NYC. Personale alla Galerie Baudoin Lebon, Paris. Personale al Palais de Tokyo, Paris. Personale alla Fahey/Klein Gallery, L.A.

      1990: personale alla Galerie Baudoin Lebon, Paris

      1991: Personale alla Fraenkel Gallery. Personale alla Pace Wildenstein MacGill Gallery, NYC. Personale alla Galerie Baudoin Lebon, Paris. Personale alla Fahey/Klein Gallery, L.A. Personale al Museum Of Modern Art Haifa, Israel

      1993: personale alla Fraenkel Gallery. Personale alla Pace Wildenstein MacGill Gallery, NYC. Personale alla Photo Picture Space Gallery Osaka, Japan

      1994: Personale alla Galerie Baudoin Lebon, Paris. Personale alla Taipei Photo Gallery, Taiwan

      1995: personale alla Fraenkel Gallery. Personale alla Pace Wildenstein MacGill Gallery, NYC. Personale alla Galerie Baudoin Lebon, Paris. Personale al Photo Picture Space Gallery Osaka, Japan. Personale al Guggenheim Museum, NYC. Personale da Interkamera, Prague. Personale al Castello de Rivoli, Torino.

      1996: Artist in residence Zerybthia, Roma (estate di quell’anno). Lecturer Am. Acad. Roma. Personale ad Encontros de Fotografia, Coimbra, Portugal. Personale a Rencontres de la Photograpie, Arles, France. Personale alla Taipei Photo Gallery, Taiwan. Collettiva a La Photographie Contemporaine en France.

      1997: Personale alla Fraenkel Gallery. Personale alla Galerie Baudoin Lebon, Paris. Personale alla Pace Wildenstein MacGill Gallery, NYC Personale alla Galerie Baudoin Lebon, Paris. Personale alla  Fahey/Klein Gallery, L.A. Collettiva al Foto Masson, Goteberg, Sweden. Collettiva al Hanlin Museum, South Korea. Collettiva alla Hayward Gallery, London

      1998: personale al Museum of Fine Arts, Santa Fe. Personale alla Wildenstein Gallery, Tokyo. Personale alla Pace Wildenstein, L.A. Personale alla Taipei Photo Gallery, Taiwan. Personale alla Galerie Baudoin Lebon, Paris. Artist in residence Berlino autunno 1998 e Parigi inverno 1998. Personale a Encontros de Fotografia, Coimbra, Portugal. Personale a Camera Work, Berlin, El Escorial, Spain. Personale alla Fahey/Klein Gallery, L.A. Collettiva al Bogardenkapel, Bruges. Collettiva allo Strasborg Mus. D’Art Moderne et Contemporaine

      1999: personale allo Sternburg Museum, Prague. Personale al Mesiac Fotographie, Slovakia. Collettiva allo Ansel Adams Ctr., San Francisco, Collettiva al Camera Work, San Francisco. Collettiva al Louvre, Paris

      2000: Personale alla Galerie Baudoin Lebon, Paris. Personale all’ Hotel de Sully, Paris Personale alla Catherine Edelman Gallery, Chicago. Personale al Ctr. Contemporary Art, Honolulu. Collettiva al Musée Bourdelle, Paris. Collettiva al John Gibson Gallery, NYC. Collettiva al The High Mus. Art, Ga.,

      2001: Letture alla Yale University. Personale alla Photo Picture Space Gallery Osaka, Japan. Personale alla Etherton Gallery, Tucson. Collettiva al Fotographie Forum, Frankfürt

      2002: Personale alla Galerie Baudoin Lebon, Paris. Personale allo Stadt Mus., Jena. Personale al Picture Photo Space, Osaka. Personale alla Infinito Gallery, Turin. Collettiva alla National Gallery of Canada. Collettiva all’ Hotel de Sully, Paris. Collettiva all’Israel Museum, Jerusalem. Collettiva al Whitney Museum, NYC

      2003: Personale alla Galeria Juaa de Aizpura, Madrid. Personale alla Photoes Pana, Madrid. Personale a Le Garage Galerie, Toulouse. Collettiva alla H. Lunn Collection, Lille. Collettiva da Photology, Milan. Collettiva alla Akira Ikeda Gallery, Berlin

      2004: Exhibited in Galerie Baudoin Lebon, Paris. Exhibited in Galerie Baudoin Lebon, Paris. Exhibited in ARCO, Madrid. Group show at National Gallery of Canada, Ottawa. Group show at Yancey Richardson Gallery, NYC

      2005: Personale alla Fahey/Klein Gallery, L.A. Personale alla Etherton Gallery, Tucson. Personale alla Linda Durham Gallery, Santa Fe. Personale alla Gary Tatinstian Gallery, Moscow. Personale alla Moscow House Photography. Collettiva al Guggenheim, Bilbao. Collettiva al D’Art Del’Yonne. Collettiva da Wessel and O’Connor Fine Art, NYC. Collettiva al Museum of Contemporary Photography, Chicago

2006: Lecturer all’ Ecole Superier, Paris. Lecturer alla Spanish Embassy, Moscow. Personale Witkin Vintage, Hasted Hunt, NYC. Personale al Café Francoise, Brussels, Paris Photo. Collettiva alla Cite Internationale: “The Book,” M.E.P. Paris. Collettiva al Houston Center for Photography, Silver Retrospective

2007: Personale alla Galerie Baudoin Lebon, Paris. Lecturer a Palazzo Mediceo, Seravezza (LU). Personale al Paris Photo. Collettiva al National Gallery of Canada: The Invisible Landscape

2008: Personale alla Bruce Silverstein Gallery, New York. Personale alla Galerie Baudoin Lebon, Paris, Personale alla Galleria 1000 Eventi Gallery, Milano. Personale al PAC, Milano.

2009: Lecturer a Palazzo Mediceo, Seravezza (LU). Collettiva al Museo Ken Damy, Brescia.
 

_________________________________
INFORMAZIONI UTILI:
28.11.09 – 30.01.2010
JOEL-PETER WITKIN and Others
Altri autori: Robert Gligorov, Orlan, Jan Saudek, Michel Medinger, Mario Giacomelli, Giovanni Sesia, William Ropp
Dove:
Museo Ken Damy per la Fotografia Contemporanea
Corsetto s. Agata 22
Loggia delle Mercanzie (scendere scale mobili)
Brescia
Mostra in collaborazione con la galleria Cà di Frà, Milano,
che produce anche il video in perenne proiezione durante il corso della rassegna con intervista all’artista e intervento di Vittorio Sgarbi.
Apertura e orari:
(chiusura dal 19 dicembre 2009 all’8 gennaio 2010)
Orario: dal martedì  al sabato dalle 15.30 alle 19.30 (domenica e lunedì chiuso)
Biglietti: ingresso 3 euro
Entrata gratuita per i soci del museo, gli over 60 e gli studenti. Il costo del biglietto da diritto ad uno sconto di pari importo sulle pubblicazioni del museo: cartoline, posters, libri. Le ricevute dell’ingresso valide come bonus-sconto sono accumulabili e senza scadenza.
Informazioni:
tel. 030/3758370
email: info@museokendamy.com

 

 

 

Commenta con Facebook

leave a reply