Breve profilo del collezionismo bolognese
ALL’ALBA DEL III MILLENNIO
ALL’ALBA DEL III MILLENNIO
Par fourtouna c’à son bulgnais’!
E’ proprio così. La mia metà bolognese (truffaldina, perché non frequento veramente la Città di San Petronio e mi spaccio a volte per autoctona) è felice di appartenere al ceppo emiliano di coloro che vedono la vita come un’avventura da giocarsi in infinite partite, mai perse per principio, sempre pronti a rilanciare.
Per questa edizione di Arte Fiera – interessante perché, già come fu auscultato il terreno ad Artissima, è pronta a raccogliere il minimo segnale di ripresa – Bologna si fa un poco più austera, congelando il ritmo di feste e libagioni che impazzavano gli scorsi anni in occasione dell’evento e si allinea a una serietà di comportamento che la rende di più sobria livrea.
Questo in apparenza. Perché il sangue bolognese, fatto di accelerazioni e insaziabili voracità, riemerge in superficie attraverso i personaggi che della fiera d’arte si sentono i giusti protagonisti, i collezionisti. E Arte Fiera, non a caso, quest’anno dedica loro ben tre incontri pubblici (Il Museo Privato, Le Collezioni d’Azienda, L’Arte come Business – in collaborazione con il Gruppo 24Ore) che tenteranno di analizzare nel corretto contesto non solo le pulsioni ma anche le aspettative del collezionista nei confronti del mercato.
Questo in apparenza. Perché il sangue bolognese, fatto di accelerazioni e insaziabili voracità, riemerge in superficie attraverso i personaggi che della fiera d’arte si sentono i giusti protagonisti, i collezionisti. E Arte Fiera, non a caso, quest’anno dedica loro ben tre incontri pubblici (Il Museo Privato, Le Collezioni d’Azienda, L’Arte come Business – in collaborazione con il Gruppo 24Ore) che tenteranno di analizzare nel corretto contesto non solo le pulsioni ma anche le aspettative del collezionista nei confronti del mercato.
In una città di non enormi dimensioni, di buona qualità della vita e di grandi possibilità economiche, ma anche di vere curiosità culturali e stretta marcatura rispetto a ciò che il Comune appronta per i residenti, non c’è tempo per fermarsi a osservare i propri possedimenti. E’ vero che i Bolognesi vogliono il meglio, pretendono a volte la ribalta, ma per una buona causa: per l’incontenibile e sincero sentimento di appartenenza a una comunità dai legami forti, a una società coesa malgrado ogni temperie politica, a un’idea di “pubblico” come esiste solo in Emilia-Romagna, un “pubblico” molto privato, che entra nelle case e gestisce quotidianamente e in modo naturale la vita delle persone.
E mentre un tempo la connotazione politica era compattamente rivolta a sinistra, oggi esiste un equilibrato “conflittualissimo” scambio fra opposte fazioni. La necessità di riformismo ha visto negli ultimi tempi le posizioni scolorirsi, i consensi amplificarsi laddove non avrebbero mai dovuto essere, o, forse, più semplicemente, la politica “sul campo” tornare verso ambiti di rigore che erano anche del vecchio partigiano attento alla questione morale in ogni sua declinazione. Non c’è dubbio che il fine di ogni attività pratica debba rimanere sempre il bene della comunità a cui è fatto obbligo partecipare, non il potere di per sé. Sembra un’asserzione ingenua, ma la realtà della vita bolognese s’incardina su questi inflessibili binari, in una concezione comunionistica dell’esistenza che coinvolge e giudica, a volte inesorabilmente, l’Ente pubblico, sino al Primo Cittadino.
La necessità che fa della vita esposta la caratteristica delle genti di Bologna determina anche l’approccio al collezionismo, sentito come il passepartout per entrare a buon diritto fra i cittadini notevoli, coloro che lasciano una traccia nobile ai concittadini. Così, la Città si arricchisce di finanziamenti e sponsorizzazioni, di lasciti, di depositi e prestiti d’opere ai Musei pubblici come in poche altre realtà italiane si osa solo immaginare, fin “tracimando”. Il collezionista bolognese, piccolo o grande che sia, ha sempre un occhio rivolto alla memoria tangibile che di sé avrà la sua terra e la sua gente.
Nelle prossime righe, in omaggio alla “poetica della prassi” tutta felsinea, sono tracciate, per una veloce considerazione, alcune caratteristiche del collezionismo bolognese all’inizio del secondo millennio.
Da queste brevi note, mi sembra più che evidente che, in Italia, non esiste la “provincia” se non come categoria letteraria e nella testa di coloro che in provincia si sentono.
Da queste brevi note, mi sembra più che evidente che, in Italia, non esiste la “provincia” se non come categoria letteraria e nella testa di coloro che in provincia si sentono.
Gabriella Berardi
Imprenditrice e collezionista polivalente, Gabriella Berardi ha un ruolo importante di sostenitrice delle arti e delle realtà associative culturali della città. Si esprime sempre con passione sincera e disinteressata e mantiene attento e vigile il giudizio sulle performances dei maggiorenti bolognesi. Per lei, Bologna è un po’ come se fosse una questione personale, ma è di casa anche a Napoli e Roma, a New York e Londra.
Il suo è un collezionismo vorace e di qualità (due aspetti che raramente si trovano nel medesimo giudizio), indifferente alle firme. La Signora Berardi ammira le arti decorative europee così come l’arte contemporanea internazionale, l’antiquariato e i ritrattisti italiani del ‘700, la grafica del ‘900 e le installazioni. Solo pochi mesi fa donò una cospicua raccolta di ceramiche precolombiane al Museo delle Ceramiche di Faenza, un’Istituzione a cui è da tempo legata per interesse e affetto; alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, invece, offrì il “Ritratto di Teresa Campori (Signora col cagnolino)” di Angelo Crescimbeni, uno squisito esempio del Settecento bolognese uscito dal grande periodo crespiano.
«La mia non è una vera e propria collezione, non c’è davvero un progetto: compro ciò che mi piace senza badare a quel che va di moda o al cicaleccio dei collezionisti à la page. Mi guida l’istinto, il gusto e l’occhio sempre attento a spendere con misura, quel che si deve. Non sono una talent-scout, devo sempre sapere che l’oggetto che acquisto potrà trovare un’altra collocazione nel caso decida di venderlo o donarlo. Il passo più lungo della gamba non è nel mio stile.»
Ma dopo questo incipit cauto e giudizioso, immediatamente parla degli artisti che preferisce nell’ambito dell’arte contemporanea, in particolare italiana, e qui la compostezza lascia il posto alla passione:
«Per me è stata una scoperta Frangi, che sino a qualche anno fa non conoscevo. Ma anche di questo artista, un gran talento, bisogna scegliere con attenzione, perché, come molti altri della scena italiana, è portato alla discontinuità, forse per sovraesposizione. Così è anche per Maraniello, di cui ho un’opera piccola ma intensa. Bisogna saper scegliere, e non è così semplice: ci sono artisti che impari a conoscere e apprezzare in un certo modo, anche per frequentazione, e poi ti ritrovi nel tempo a vedere opere che non sembrano neanche di loro mano. Il mio criterio è il piacere, l’emozione: potrei avere anche un Picasso davanti, ma se non mi piace non lo acquisterò mai (a meno che non si tratti di un vero affare…)»
Dove compra le opere che le interessano?
«Principalmente in galleria, ma non mi faccio influenzare da nessuno, né dai giudizi dei critici né da quelli dei miei amici – a meno che non condividiamo gli stessi gusti. E’ un enorme divertimento, ma non so contrattare. Amo anche acquistare in fiera – a Bologna, a Basilea -, ma in questo caso non comprendo i ricarichi eccessivi che per l’occasione molti effettuano sui valori correnti dei propri artisti. Non dico che non si debba fare, le fiere costano, ma certe volte l’eccessivo apprezzamento mi allontana dall’acquisto.»
Cosa è Arte Fiera per lei?
«L’occasione per Bologna di uscire dai confini nazionali, più di ogni altra manifestazione. E’ una vera e propria benedizione: ogni anno le gallerie straniere sono in quantità maggiore, e la selezione è sempre ottima. E’ un momento irrinunciabile per conoscere l’arte più attuale in Europa e nel mondo, solo che invece di uscire dai confini patrii, posso fare pochi passi e viaggiare per il globo.»
Le piace come Bologna affronta questo appuntamento?
«E’ davvero entusiasmante partecipare alle manifestazioni che tutta la Città organizza per l’occasione durante i quattro giorni della Fiera. C’è di tutto, il lusco e il brusco, ma ognuno si sente coinvolto, tutto vive d’arte e Bologna ci guadagna, si accende, riceve lustro, e, grazie a Dio, non solo per le tagliatelle… E’ necessario che Bologna esca dai propri “luoghi” artistici: non esistono solo Morandi e Romiti, con il massimo rispetto per questi grandi artisti. C’è il resto del mondo che aspetta di essere conosciuto.»
L’organizzazione della Fiera, quindi, per lei è:
«Impeccabile. Vorrei, se proprio devo trovare il neo nella bella donna, ancora più rappresentanze straniere.»
Si fa cultura a Bologna durante Arte Fiera o è solo un’occasione di festa, pur importante e di qualità?
«Arte Fiera attira non solo i collezionisti, non solo gli addetti ai lavori. Gli spazi sono letteralmente invasi dai ragazzi, dagli studenti, anche con visite guidate organizzate dalle scuole non soltanto d’arte. C’è una risposta migliore alla sua domanda?»
Il suo è un collezionismo vorace e di qualità (due aspetti che raramente si trovano nel medesimo giudizio), indifferente alle firme. La Signora Berardi ammira le arti decorative europee così come l’arte contemporanea internazionale, l’antiquariato e i ritrattisti italiani del ‘700, la grafica del ‘900 e le installazioni. Solo pochi mesi fa donò una cospicua raccolta di ceramiche precolombiane al Museo delle Ceramiche di Faenza, un’Istituzione a cui è da tempo legata per interesse e affetto; alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, invece, offrì il “Ritratto di Teresa Campori (Signora col cagnolino)” di Angelo Crescimbeni, uno squisito esempio del Settecento bolognese uscito dal grande periodo crespiano.
«La mia non è una vera e propria collezione, non c’è davvero un progetto: compro ciò che mi piace senza badare a quel che va di moda o al cicaleccio dei collezionisti à la page. Mi guida l’istinto, il gusto e l’occhio sempre attento a spendere con misura, quel che si deve. Non sono una talent-scout, devo sempre sapere che l’oggetto che acquisto potrà trovare un’altra collocazione nel caso decida di venderlo o donarlo. Il passo più lungo della gamba non è nel mio stile.»
Ma dopo questo incipit cauto e giudizioso, immediatamente parla degli artisti che preferisce nell’ambito dell’arte contemporanea, in particolare italiana, e qui la compostezza lascia il posto alla passione:
«Per me è stata una scoperta Frangi, che sino a qualche anno fa non conoscevo. Ma anche di questo artista, un gran talento, bisogna scegliere con attenzione, perché, come molti altri della scena italiana, è portato alla discontinuità, forse per sovraesposizione. Così è anche per Maraniello, di cui ho un’opera piccola ma intensa. Bisogna saper scegliere, e non è così semplice: ci sono artisti che impari a conoscere e apprezzare in un certo modo, anche per frequentazione, e poi ti ritrovi nel tempo a vedere opere che non sembrano neanche di loro mano. Il mio criterio è il piacere, l’emozione: potrei avere anche un Picasso davanti, ma se non mi piace non lo acquisterò mai (a meno che non si tratti di un vero affare…)»
Dove compra le opere che le interessano?
«Principalmente in galleria, ma non mi faccio influenzare da nessuno, né dai giudizi dei critici né da quelli dei miei amici – a meno che non condividiamo gli stessi gusti. E’ un enorme divertimento, ma non so contrattare. Amo anche acquistare in fiera – a Bologna, a Basilea -, ma in questo caso non comprendo i ricarichi eccessivi che per l’occasione molti effettuano sui valori correnti dei propri artisti. Non dico che non si debba fare, le fiere costano, ma certe volte l’eccessivo apprezzamento mi allontana dall’acquisto.»
Cosa è Arte Fiera per lei?
«L’occasione per Bologna di uscire dai confini nazionali, più di ogni altra manifestazione. E’ una vera e propria benedizione: ogni anno le gallerie straniere sono in quantità maggiore, e la selezione è sempre ottima. E’ un momento irrinunciabile per conoscere l’arte più attuale in Europa e nel mondo, solo che invece di uscire dai confini patrii, posso fare pochi passi e viaggiare per il globo.»
Le piace come Bologna affronta questo appuntamento?
«E’ davvero entusiasmante partecipare alle manifestazioni che tutta la Città organizza per l’occasione durante i quattro giorni della Fiera. C’è di tutto, il lusco e il brusco, ma ognuno si sente coinvolto, tutto vive d’arte e Bologna ci guadagna, si accende, riceve lustro, e, grazie a Dio, non solo per le tagliatelle… E’ necessario che Bologna esca dai propri “luoghi” artistici: non esistono solo Morandi e Romiti, con il massimo rispetto per questi grandi artisti. C’è il resto del mondo che aspetta di essere conosciuto.»
L’organizzazione della Fiera, quindi, per lei è:
«Impeccabile. Vorrei, se proprio devo trovare il neo nella bella donna, ancora più rappresentanze straniere.»
Si fa cultura a Bologna durante Arte Fiera o è solo un’occasione di festa, pur importante e di qualità?
«Arte Fiera attira non solo i collezionisti, non solo gli addetti ai lavori. Gli spazi sono letteralmente invasi dai ragazzi, dagli studenti, anche con visite guidate organizzate dalle scuole non soltanto d’arte. C’è una risposta migliore alla sua domanda?»
Paola Giovanardi
Titolare per anni della cattedra di Neuropsichiatria infantile presso l’Istituto di Clinica Neurologica all’Università di Bologna, figlia di uno dei più illustri igienisti italiani del secolo scorso – padre della prevenzione e della riforma sanitaria delle Unità Sanitarie Locali, a propria volta importante collezionista del ‘900 italiano nell’era degli Jesi, degli Jucker, dei Boschi-Di Stefano e dei Mattioli – Paola Giovanardi Rossi dedica, ora più di un tempo, le proprie energie a saziare una curiosità illimitata nel campo dell’arte moderna e contemporanea.
La collezione di famiglia di artisti del ‘900 italiano è in deposito a lungo termine presso il MART di Rovereto sin dal 1998, pioniera in Italia nella nuova formula di collaborazione fra pubblico e privato attraverso la proficua gestione museale di opere d’arte rimaste in possesso dei proprietari. La collezione personale, in continua evoluzione, è oggetto di mostre, ricerche e prestiti, con particolare riguardo per la serie di incisioni di Max Klinger, esposte integralmente dall’Accademia Tadini di Lovere nel 2005.
Il giudizio di Paola Giovanardi nei confronti dell’arte e degli artisti deve sempre una sponda alla professione, una “deformazione ambientale”, se così si può tradurre, che permette una lettura dei fenomeni culturali mai scontata, stimolante e originalissima.
«Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia di collezionisti d’arte del Novecento italiano e di vivere in una casa dove fin dagli anni ‘50 i muri erano ricoperti dalle opere dei principali artisti di quel periodo. Per giunta fino agli anni ’60 ho vissuto e studiato a Milano, crocevia dei movimenti artistici che emergevano in Europa e nel mondo. Attraverso le gallerie storiche, la frequentazione dei principali collezionisti milanesi e l’opinione dei più noti critici d’arte, ho imparato a muovermi in un clima particolarmente ricco di esperienze artistiche affascinanti.»
Qual è il genere artistico che più l’interessa oggi?
«Essenzialmente pittura, scultura e grafica di artisti italiani: Informale, Transavanguardia, Arte povera, Officina San Lorenzo e altri autori già sufficientemente connotati negli ultimi cinquant’anni dello scorso secolo e tuttora operanti. Acquisto anche arte più recente, prediligendo le proposte che trovo in fiera o in galleria. Frequento gallerie e artisti, collezionisti e critici, leggo saggi e “assedio” i musei»
Cosa trova in Arte Fiera: pensa sia una buona occasione per la Città di Bologna? Come giudica la manifestazione principale e quelle correlate?
«Penso che Arte Fiera sia un’occasione straordinaria per mostrare la città di Bologna a un pubblico più ampio di quello usuale: è stimolante osservare la città in effervescenza per l’appuntamento, ed è evidente quanto questo sia importante per la diffusione della cultura e, soprattutto, per gli artisti che vi si preparano con grandi aspettative, non solo economiche. Arte Fiera incide positivamente sulla mia città, perché apre di giorno e di notte i suoi luoghi più belli, non sempre aperti al pubblico: palazzi, conventi, chiese, oratori, musei, sedi di Fondazioni prestigiose. Le gallerie della città mostrano in questo periodo il meglio in loro possesso. E, per citare ancora gli eventi collaterali, per me sono molto importanti anche le manifestazioni musicali associate con l’arte visiva che si tengono in questi siti poco canonici. Andrò senz’altro, ad esempio, a sentire e vedere “Diario dell’Anima” di Bill Viola e Arvo Pärt, venerdi 29 gennaio, nell’Aula Magna dell’Università, la chiesa sconsacrata di Santa Lucia.»
Per quanto riguarda invece un’analisi più articolata intorno a pregi e difetti di Arte Fiera, la Signora afferma con sicurezza che alla manifestazione chiede di offrire un panorama il più possibile completo dell’arte moderna e contemporanea italiana in particolare, ma anche una maggior partecipazione di gallerie straniere, soprattutto fuor d’Europa. Apprezza molto le migliorie degli ultimi tre anni: gli spazi per gallerie e pubblico sono stati ampliati e il servizio d’ordine e l’organizzazione dei punti di ristoro sono di ottima qualità. Ma il punto di forza della manifestazione è, secondo la collezionista, l’informazione, l’eccellenza delle relazioni pubbliche e la capacità di collaborare con le istituzioni cittadine.
Parlando di mercato, pensa che l’attuale congiuntura abbia influito sulla circolazione e sulla vendita delle opere d’arte?
«La congiuntura economica ha inciso paradossalmente in positivo sul mercato dell’arte in Italia, moderando i prezzi, ma nel contempo favorendo l’acquisto di opere anche come bene rifugio. In ogni caso, per alcuni artisti italiani di fama consolidata non si sono notate modificazioni sostanziali di valore.»
Del resto, ciò che più importa per la circolazione della nostra arte è il ruolo che spetta all’Ente pubblico, la cui attenzione all’argomento è «….soddisfacente per quanto si è costruito e restaurato in musei e patrocinato in mostre. Non soddisfacente per quanto riguarda la diffusione dell’arte moderna e contemporanea italiana verso paesi europei ed extraeuropei. Lo Stato dovrebbe favorire in maniera più programmata e incisiva la conoscenza dei nostri artisti che hanno sicuramente un valore analogo se non superiore a quello degli artisti di altri paesi. Attraverso gli Istituti di Cultura e le Ambasciate sono state organizzate alcune manifestazioni anche importanti, ma quello che manca è la continuità e lo scambio delle iniziative artistiche e culturali e l’istituzione all’estero di siti espositivi italiani di livello dove sia possibile presentare i nostri artisti, quelli che vogliamo e quando vogliamo.»
Sta pensando a sedi distaccate di grandi Musei internazionali, come avviene ad Abu Dhabi con l’isola della Cultura?
«Certamente, ma non solo: l’Italia è il maggior Paese “produttore” di cultura al mondo e, fatti salvi i fondamentali principi di inamovibilità di alcune opere, non si vede perché dovrebbe rinunciare a questa fondamentale partita per un nuovo modo di intendere la circolazione delle opere d’arte. Penso a Dubai, ma anche all’esempio del Guggenheim e delle sue sedi distaccate, uffici di organizzazione e di studio che garantiscono l’apporto in un Paese diverso da quello di origine non solo di opere ma anche del proprio pensiero critico.» Ma, fermo restando il ruolo centrale dello Stato nella diffusione della nostra civiltà artistica «… credo tuttavia che anche le manifestazioni incentrate prevalentemente sul mercato, se di qualità, possano essere di traino per eventi culturali che addirittura a queste s’ispirino. Ogni occasione è buona per fare cultura, con la necessaria preparazione e professionalità.»
La figura del collezionista, infine, è fondamentale nella società italiana, soprattutto per il ruolo centrale di “apportatore critico di opere” di un particolare periodo e di un’epoca storica. La Signora Giovanardi presta sempre esemplari della collezione propria e di famiglia, indifferente ai confini ma attenta al prestigio degli Enti richiedenti: «Quello che conta è il progetto curatoriale. Sono attenta a ogni particolare, dagli allestimenti alla qualità del catalogo alla selezione delle opere. Valutazioni cui, fin dall’infanzia, attraverso la didattica scolastica e la frequentazione attiva di musei, gallerie e ateliers di artisti, bisogna abituare le nuove generazioni per crescere cittadini sempre più competenti e, magari, appassionati collezionisti d’arte.»
La collezione di famiglia di artisti del ‘900 italiano è in deposito a lungo termine presso il MART di Rovereto sin dal 1998, pioniera in Italia nella nuova formula di collaborazione fra pubblico e privato attraverso la proficua gestione museale di opere d’arte rimaste in possesso dei proprietari. La collezione personale, in continua evoluzione, è oggetto di mostre, ricerche e prestiti, con particolare riguardo per la serie di incisioni di Max Klinger, esposte integralmente dall’Accademia Tadini di Lovere nel 2005.
Il giudizio di Paola Giovanardi nei confronti dell’arte e degli artisti deve sempre una sponda alla professione, una “deformazione ambientale”, se così si può tradurre, che permette una lettura dei fenomeni culturali mai scontata, stimolante e originalissima.
«Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia di collezionisti d’arte del Novecento italiano e di vivere in una casa dove fin dagli anni ‘50 i muri erano ricoperti dalle opere dei principali artisti di quel periodo. Per giunta fino agli anni ’60 ho vissuto e studiato a Milano, crocevia dei movimenti artistici che emergevano in Europa e nel mondo. Attraverso le gallerie storiche, la frequentazione dei principali collezionisti milanesi e l’opinione dei più noti critici d’arte, ho imparato a muovermi in un clima particolarmente ricco di esperienze artistiche affascinanti.»
Qual è il genere artistico che più l’interessa oggi?
«Essenzialmente pittura, scultura e grafica di artisti italiani: Informale, Transavanguardia, Arte povera, Officina San Lorenzo e altri autori già sufficientemente connotati negli ultimi cinquant’anni dello scorso secolo e tuttora operanti. Acquisto anche arte più recente, prediligendo le proposte che trovo in fiera o in galleria. Frequento gallerie e artisti, collezionisti e critici, leggo saggi e “assedio” i musei»
Cosa trova in Arte Fiera: pensa sia una buona occasione per la Città di Bologna? Come giudica la manifestazione principale e quelle correlate?
«Penso che Arte Fiera sia un’occasione straordinaria per mostrare la città di Bologna a un pubblico più ampio di quello usuale: è stimolante osservare la città in effervescenza per l’appuntamento, ed è evidente quanto questo sia importante per la diffusione della cultura e, soprattutto, per gli artisti che vi si preparano con grandi aspettative, non solo economiche. Arte Fiera incide positivamente sulla mia città, perché apre di giorno e di notte i suoi luoghi più belli, non sempre aperti al pubblico: palazzi, conventi, chiese, oratori, musei, sedi di Fondazioni prestigiose. Le gallerie della città mostrano in questo periodo il meglio in loro possesso. E, per citare ancora gli eventi collaterali, per me sono molto importanti anche le manifestazioni musicali associate con l’arte visiva che si tengono in questi siti poco canonici. Andrò senz’altro, ad esempio, a sentire e vedere “Diario dell’Anima” di Bill Viola e Arvo Pärt, venerdi 29 gennaio, nell’Aula Magna dell’Università, la chiesa sconsacrata di Santa Lucia.»
Per quanto riguarda invece un’analisi più articolata intorno a pregi e difetti di Arte Fiera, la Signora afferma con sicurezza che alla manifestazione chiede di offrire un panorama il più possibile completo dell’arte moderna e contemporanea italiana in particolare, ma anche una maggior partecipazione di gallerie straniere, soprattutto fuor d’Europa. Apprezza molto le migliorie degli ultimi tre anni: gli spazi per gallerie e pubblico sono stati ampliati e il servizio d’ordine e l’organizzazione dei punti di ristoro sono di ottima qualità. Ma il punto di forza della manifestazione è, secondo la collezionista, l’informazione, l’eccellenza delle relazioni pubbliche e la capacità di collaborare con le istituzioni cittadine.
Parlando di mercato, pensa che l’attuale congiuntura abbia influito sulla circolazione e sulla vendita delle opere d’arte?
«La congiuntura economica ha inciso paradossalmente in positivo sul mercato dell’arte in Italia, moderando i prezzi, ma nel contempo favorendo l’acquisto di opere anche come bene rifugio. In ogni caso, per alcuni artisti italiani di fama consolidata non si sono notate modificazioni sostanziali di valore.»
Del resto, ciò che più importa per la circolazione della nostra arte è il ruolo che spetta all’Ente pubblico, la cui attenzione all’argomento è «….soddisfacente per quanto si è costruito e restaurato in musei e patrocinato in mostre. Non soddisfacente per quanto riguarda la diffusione dell’arte moderna e contemporanea italiana verso paesi europei ed extraeuropei. Lo Stato dovrebbe favorire in maniera più programmata e incisiva la conoscenza dei nostri artisti che hanno sicuramente un valore analogo se non superiore a quello degli artisti di altri paesi. Attraverso gli Istituti di Cultura e le Ambasciate sono state organizzate alcune manifestazioni anche importanti, ma quello che manca è la continuità e lo scambio delle iniziative artistiche e culturali e l’istituzione all’estero di siti espositivi italiani di livello dove sia possibile presentare i nostri artisti, quelli che vogliamo e quando vogliamo.»
Sta pensando a sedi distaccate di grandi Musei internazionali, come avviene ad Abu Dhabi con l’isola della Cultura?
«Certamente, ma non solo: l’Italia è il maggior Paese “produttore” di cultura al mondo e, fatti salvi i fondamentali principi di inamovibilità di alcune opere, non si vede perché dovrebbe rinunciare a questa fondamentale partita per un nuovo modo di intendere la circolazione delle opere d’arte. Penso a Dubai, ma anche all’esempio del Guggenheim e delle sue sedi distaccate, uffici di organizzazione e di studio che garantiscono l’apporto in un Paese diverso da quello di origine non solo di opere ma anche del proprio pensiero critico.» Ma, fermo restando il ruolo centrale dello Stato nella diffusione della nostra civiltà artistica «… credo tuttavia che anche le manifestazioni incentrate prevalentemente sul mercato, se di qualità, possano essere di traino per eventi culturali che addirittura a queste s’ispirino. Ogni occasione è buona per fare cultura, con la necessaria preparazione e professionalità.»
La figura del collezionista, infine, è fondamentale nella società italiana, soprattutto per il ruolo centrale di “apportatore critico di opere” di un particolare periodo e di un’epoca storica. La Signora Giovanardi presta sempre esemplari della collezione propria e di famiglia, indifferente ai confini ma attenta al prestigio degli Enti richiedenti: «Quello che conta è il progetto curatoriale. Sono attenta a ogni particolare, dagli allestimenti alla qualità del catalogo alla selezione delle opere. Valutazioni cui, fin dall’infanzia, attraverso la didattica scolastica e la frequentazione attiva di musei, gallerie e ateliers di artisti, bisogna abituare le nuove generazioni per crescere cittadini sempre più competenti e, magari, appassionati collezionisti d’arte.»
Gaetano Maccaferri
L’Architetto Gaetano Maccaferri è Presidente della holding del Gruppo Industriale che porta il suo nome, la cui attività riguarda lo sviluppo di aree di business quali energia e servizi, di imprenditoria immobiliare e nel settore delle costruzioni. Per anni Vice Presidente e Presidente dell’Associazione degli Industriali di Bologna, dal 2007 è Presidente di Unindustria Bologna, mentre dal 2008 è membro del Consiglio Direttivo di Confindustria.
Gaetano Maccaferri parteciperà durante Arte Fiera insieme a Massimo Di Carlo, Alessandro Laterza, Anders Petterson, Mario Resca, Fabio Roversi Monaco, Pierluigi Sacco e Massimo Sterpi (moderatore Salvatore Carrubba) all’incontro “L’Arte come Business” organizzato domenica 31 gennaio in collaborazione con Gruppo 24Ore.
Con la moglie Barbara, rappresenta il collezionismo bolognese strutturato in un progetto poco lasciato al caso e alle passioni effimere, quello che si nutre anche del costante dialogo con le iniziative culturali cittadine e non perde mai d’occhio la collettività. L’intervista assume un imprescindibile aspetto di “dichiarazione d’intenti” per ciò che è sentito come un compito, direi, quasi istituzionale del collezionismo.
Architetto, come si è formata la sua collezione?
«Ho cominciato a frequentare gli artisti miei coetanei e le gallerie bolognesi da molto giovane, ad interessarmi ai movimenti dell’arte e alle loro evoluzioni, alle contaminazioni con l’architettura e la musica, poi -appena ho potuto- a collezionare: prima giovani artisti locali, poi artisti nazionali e non, sempre di quella che -nei vari momenti- era la contemporaneità. Solo nell’ultimo decennio, insieme a mia moglie Barbara, abbiamo dato un maggiore impulso alla collezione, con acquisti di affermati artisti internazionali e alcuni “sguardi indietro” volti a dare organicità e a completare pian piano il corpo di arte italiana della collezione, grande interesse comune.»
Quali sono i filoni formali della Sua ricerca?
«La mia passione principale è per la scultura; più in generale, sono attratto -anche nella pittura- dalla matericità dei lavori e dalla qualità e originalità delle tecniche realizzative. Questo direi sia il “fil rouge” che, in modo più o meno evidente, sottende da sempre alle mie scelte ed anche il motivo per cui la fotografia è presente molto marginalmente nella collezione.»
Dove acquista, di preferenza?
«Soprattutto in galleria, spesso durante le fiere, piuttosto raramente alle aste – delle quali seguiamo comunque sempre con attenzione l’offerta e l’andamento. Cerchiamo di frequentare gli artisti, amici e non, di visitare i loro ateliers e –perché no- di scegliere assieme i lavori (la conoscenza dell’artista è una nostra caratteristica e una delle opportunità più gratificanti correlate al collezionare arte), ma tendiamo a non chiedere loro opere direttamente: ciò perché rispettiamo il lavoro dei galleristi, crediamo nell’importanza fondamentale del loro ruolo nella valorizzazione degli artisti medesimi e quindi, in ultima analisi, del nostro investimento anche in termini economici.»
Come si forma il giudizio sugli artisti che preferisce?
«Il giudizio sugli artisti non può non partire dall’opera. E’ dalla conoscenza diretta e dall’apprezzamento dell’opera che scatta l’interesse per l’artista, quindi gallerie e mostre sono il luogo dove si forma il primo giudizio; questa valutazione personale deve essere poi contestualizzata e confrontata con le informazioni che arrivano da critici, curatori e galleristi.»
Crede che Arte Fiera abbia anche un’oggettiva funzione culturale?
«Penso che la diffusione della conoscenza dell’arte costituisca di per sé una funzione culturale e che quindi una buona fiera possa certamente esercitare questo ruolo. Ciò è stato probabilmente più rilevante negli anni degli esordi, quando la comunicazione avveniva secondo canali tradizionali; oggi lo sviluppo dei media -in particolare della rete- ha sicuramente ridotto l’importanza di occasioni come le fiere. Resta tuttavia aperto il tema della diversità tra la conoscenza del “vero” versus la riproduzione -anche se raffinatissima- e il rilevante impatto generato dalle attività proprie e “a latere” che, non a caso, le migliori fiere curano con sempre maggiore attenzione. Arte Fiera, poi, è certamente la principale fiera italiana: ha mantenuto nel tempo l’impostazione originaria incentrata sulla completezza dell’offerta, progressivamente qualificando la selezione delle gallerie e innovando la formula.»
Quindi, Arte Fiera, oltre a interpretare il mercato al più alto livello istituzionale in Italia, è importante anche per Bologna?
«Come tutte le fiere, anche Arte Fiera ha una ricaduta concreta sull’economia della città, sia direttamente che in termini di indotto. Inoltre il suo specifico è quello di contribuire, insieme alle altre realtà del territorio, MAMbo in testa, a fare di Bologna un punto di riferimento in Italia nell’ambito dell’arte contemporanea. Trovo interessanti particolarmente le iniziative che, a fiera aperta, avvengono all’interno della struttura fieristica: la sezione espositiva dedicata all’editoria d’arte, alcuni tra gli incontri culturali e le presentazioni. In orario “fuori fiera” molto interessante “Bologna si rivela” e “La notte bianca”, per versi differenti due momenti di grande partecipazione cittadina. Straordinario immagino sarà quest’anno, forse irripetibile, lo spettacolo di Bill Viola e Arvo Pärt.»
Come giudica l’aspetto strettamente organizzativo della manifestazione?
«Sottolineo senz’altro il saper attrarre e conservare un gran numero di espositori -anche di altissima levatura- e nugoli di visitatori; i punti deboli sono il non saper mirare le azioni e la comunicazione al fine di contenere i primi entro un numero accettabile e qualificare la presenza dei secondi, alimentando la presenza del grande collezionismo internazionale. Credo, infine, e più in generale, che mostre e attività culturali istituzionali da un lato e fiere dall’altro abbiamo due funzioni sostanzialmente differenti e che gli organizzatori delle fiere, ancorché prevedendo momenti culturali e di apertura al pubblico generico, utili e benemerite, debbano concentrarsi sulle esigenze dei loro fruitori principali: gallerie e collezionisti.»
Come pensa abbia influito sul mercato dell’arte la crisi finanziaria globale?
«Sicuramente la crisi che sta attraversando l’economia ha avuto riflessi negativi anche sul mercato dell’arte. A livello internazionale, questo mercato ha –come numerosi altri settori- vissuto negli anni scorsi fortissime immissioni di denaro e una notevole bolla di prezzi, che in questa fase stanno subendo un brusco, ma fisiologico e salutare ridimensionamento. L’economia italiana è da sempre meno dinamica di quelle anglosassoni, quindi meno soggetta alle forti fluttuazioni che le caratterizzano: questo vale anche per il mercato dell’arte, che non conobbe una crescita così impetuosa, ma che nel momento recessivo non ha visto precipitare il flusso di investimenti; analogamente per l’arte italiana, le cui valutazioni salirono gradualmente e stabilmente, che oggi vede le proprie stime tenere sostanzialmente i valori acquisiti.»
Come giudica gli sforzi dello Stato Italiano per promuovere la nostra arte e la nostra cultura in patria e all’estero e come si pone personalmente all’interno del “circuito” della diffusione della cultura artistica in Italia?
«Non ritengo soddisfacente quanto lo Stato Italiano ha fatto e fa per promuovere la cultura italiana in Italia e all’estero; è, tuttavia, questo un discorso molto complesso, che merita un’analisi più ampia e approfondita. Circa il nostro ruolo di “partners” in occasione di mostre temporanee, siamo favorevoli a prestare le nostre opere in Italia e all’estero, purché all’interno di istituzioni pubbliche, preferibilmente museali, e purché si tratti di lavori che non presentino particolari controindicazioni ad essere spostati. Una breve privazione non può ostacolare la miglior riuscita di un felice progetto espositivo, al quale poniamo la massima attenzione. Confido, del resto, che il tema della cultura sia posto al centro della riflessione e dell’azione delle istituzioni che hanno la responsabilità del governo del paese e delle comunità locali. Questo non solo per un generico elevamento culturale e di sensibilità dei cittadini, quanto per il fatto che, nello sviluppo di un’economia matura come la nostra, l’industria culturale e creativa avrà una rilevanza ed un’incidenza sempre maggiore. Presupposto per lo sviluppo di queste attività è un diffuso ed elevato livello culturale e di attenzione all’innovazione, e la frequentazione dell’arte contemporanea può costituire un piccolo tassello di questa crescita.»
Gaetano Maccaferri parteciperà durante Arte Fiera insieme a Massimo Di Carlo, Alessandro Laterza, Anders Petterson, Mario Resca, Fabio Roversi Monaco, Pierluigi Sacco e Massimo Sterpi (moderatore Salvatore Carrubba) all’incontro “L’Arte come Business” organizzato domenica 31 gennaio in collaborazione con Gruppo 24Ore.
Con la moglie Barbara, rappresenta il collezionismo bolognese strutturato in un progetto poco lasciato al caso e alle passioni effimere, quello che si nutre anche del costante dialogo con le iniziative culturali cittadine e non perde mai d’occhio la collettività. L’intervista assume un imprescindibile aspetto di “dichiarazione d’intenti” per ciò che è sentito come un compito, direi, quasi istituzionale del collezionismo.
Architetto, come si è formata la sua collezione?
«Ho cominciato a frequentare gli artisti miei coetanei e le gallerie bolognesi da molto giovane, ad interessarmi ai movimenti dell’arte e alle loro evoluzioni, alle contaminazioni con l’architettura e la musica, poi -appena ho potuto- a collezionare: prima giovani artisti locali, poi artisti nazionali e non, sempre di quella che -nei vari momenti- era la contemporaneità. Solo nell’ultimo decennio, insieme a mia moglie Barbara, abbiamo dato un maggiore impulso alla collezione, con acquisti di affermati artisti internazionali e alcuni “sguardi indietro” volti a dare organicità e a completare pian piano il corpo di arte italiana della collezione, grande interesse comune.»
Quali sono i filoni formali della Sua ricerca?
«La mia passione principale è per la scultura; più in generale, sono attratto -anche nella pittura- dalla matericità dei lavori e dalla qualità e originalità delle tecniche realizzative. Questo direi sia il “fil rouge” che, in modo più o meno evidente, sottende da sempre alle mie scelte ed anche il motivo per cui la fotografia è presente molto marginalmente nella collezione.»
Dove acquista, di preferenza?
«Soprattutto in galleria, spesso durante le fiere, piuttosto raramente alle aste – delle quali seguiamo comunque sempre con attenzione l’offerta e l’andamento. Cerchiamo di frequentare gli artisti, amici e non, di visitare i loro ateliers e –perché no- di scegliere assieme i lavori (la conoscenza dell’artista è una nostra caratteristica e una delle opportunità più gratificanti correlate al collezionare arte), ma tendiamo a non chiedere loro opere direttamente: ciò perché rispettiamo il lavoro dei galleristi, crediamo nell’importanza fondamentale del loro ruolo nella valorizzazione degli artisti medesimi e quindi, in ultima analisi, del nostro investimento anche in termini economici.»
Come si forma il giudizio sugli artisti che preferisce?
«Il giudizio sugli artisti non può non partire dall’opera. E’ dalla conoscenza diretta e dall’apprezzamento dell’opera che scatta l’interesse per l’artista, quindi gallerie e mostre sono il luogo dove si forma il primo giudizio; questa valutazione personale deve essere poi contestualizzata e confrontata con le informazioni che arrivano da critici, curatori e galleristi.»
Crede che Arte Fiera abbia anche un’oggettiva funzione culturale?
«Penso che la diffusione della conoscenza dell’arte costituisca di per sé una funzione culturale e che quindi una buona fiera possa certamente esercitare questo ruolo. Ciò è stato probabilmente più rilevante negli anni degli esordi, quando la comunicazione avveniva secondo canali tradizionali; oggi lo sviluppo dei media -in particolare della rete- ha sicuramente ridotto l’importanza di occasioni come le fiere. Resta tuttavia aperto il tema della diversità tra la conoscenza del “vero” versus la riproduzione -anche se raffinatissima- e il rilevante impatto generato dalle attività proprie e “a latere” che, non a caso, le migliori fiere curano con sempre maggiore attenzione. Arte Fiera, poi, è certamente la principale fiera italiana: ha mantenuto nel tempo l’impostazione originaria incentrata sulla completezza dell’offerta, progressivamente qualificando la selezione delle gallerie e innovando la formula.»
Quindi, Arte Fiera, oltre a interpretare il mercato al più alto livello istituzionale in Italia, è importante anche per Bologna?
«Come tutte le fiere, anche Arte Fiera ha una ricaduta concreta sull’economia della città, sia direttamente che in termini di indotto. Inoltre il suo specifico è quello di contribuire, insieme alle altre realtà del territorio, MAMbo in testa, a fare di Bologna un punto di riferimento in Italia nell’ambito dell’arte contemporanea. Trovo interessanti particolarmente le iniziative che, a fiera aperta, avvengono all’interno della struttura fieristica: la sezione espositiva dedicata all’editoria d’arte, alcuni tra gli incontri culturali e le presentazioni. In orario “fuori fiera” molto interessante “Bologna si rivela” e “La notte bianca”, per versi differenti due momenti di grande partecipazione cittadina. Straordinario immagino sarà quest’anno, forse irripetibile, lo spettacolo di Bill Viola e Arvo Pärt.»
Come giudica l’aspetto strettamente organizzativo della manifestazione?
«Sottolineo senz’altro il saper attrarre e conservare un gran numero di espositori -anche di altissima levatura- e nugoli di visitatori; i punti deboli sono il non saper mirare le azioni e la comunicazione al fine di contenere i primi entro un numero accettabile e qualificare la presenza dei secondi, alimentando la presenza del grande collezionismo internazionale. Credo, infine, e più in generale, che mostre e attività culturali istituzionali da un lato e fiere dall’altro abbiamo due funzioni sostanzialmente differenti e che gli organizzatori delle fiere, ancorché prevedendo momenti culturali e di apertura al pubblico generico, utili e benemerite, debbano concentrarsi sulle esigenze dei loro fruitori principali: gallerie e collezionisti.»
Come pensa abbia influito sul mercato dell’arte la crisi finanziaria globale?
«Sicuramente la crisi che sta attraversando l’economia ha avuto riflessi negativi anche sul mercato dell’arte. A livello internazionale, questo mercato ha –come numerosi altri settori- vissuto negli anni scorsi fortissime immissioni di denaro e una notevole bolla di prezzi, che in questa fase stanno subendo un brusco, ma fisiologico e salutare ridimensionamento. L’economia italiana è da sempre meno dinamica di quelle anglosassoni, quindi meno soggetta alle forti fluttuazioni che le caratterizzano: questo vale anche per il mercato dell’arte, che non conobbe una crescita così impetuosa, ma che nel momento recessivo non ha visto precipitare il flusso di investimenti; analogamente per l’arte italiana, le cui valutazioni salirono gradualmente e stabilmente, che oggi vede le proprie stime tenere sostanzialmente i valori acquisiti.»
Come giudica gli sforzi dello Stato Italiano per promuovere la nostra arte e la nostra cultura in patria e all’estero e come si pone personalmente all’interno del “circuito” della diffusione della cultura artistica in Italia?
«Non ritengo soddisfacente quanto lo Stato Italiano ha fatto e fa per promuovere la cultura italiana in Italia e all’estero; è, tuttavia, questo un discorso molto complesso, che merita un’analisi più ampia e approfondita. Circa il nostro ruolo di “partners” in occasione di mostre temporanee, siamo favorevoli a prestare le nostre opere in Italia e all’estero, purché all’interno di istituzioni pubbliche, preferibilmente museali, e purché si tratti di lavori che non presentino particolari controindicazioni ad essere spostati. Una breve privazione non può ostacolare la miglior riuscita di un felice progetto espositivo, al quale poniamo la massima attenzione. Confido, del resto, che il tema della cultura sia posto al centro della riflessione e dell’azione delle istituzioni che hanno la responsabilità del governo del paese e delle comunità locali. Questo non solo per un generico elevamento culturale e di sensibilità dei cittadini, quanto per il fatto che, nello sviluppo di un’economia matura come la nostra, l’industria culturale e creativa avrà una rilevanza ed un’incidenza sempre maggiore. Presupposto per lo sviluppo di queste attività è un diffuso ed elevato livello culturale e di attenzione all’innovazione, e la frequentazione dell’arte contemporanea può costituire un piccolo tassello di questa crescita.»
Federico Rossi
Di poche e concise parole, il Notaio Federico Rossi, non concede a sé molto tempo per indulgere nei compiacimenti del collezionista. La sua intervista è fulminea ma intensa, e rappresenta in pieno un collezionismo vivace e colto, rivolto principalmente verso l’arte contemporanea che più è vicina (che si può “frequentare”) secondo gli stimoli offerti dalle opportunità del momento e del luogo. Insomma, un collezionista in evoluzione, ma attento ad approfondire, amante della frequentazione dei siti culturali e degli artisti in primis. L’immagine è quella di un personaggio ludico, vigile e intelligente, interessato ad ogni aspetto della vita culturale della città, con un occhio di favore nei confronti del teatro e della musica classica (è Socio Fondatore della Fondazione “Per il Comunale” che sostiene l’attività del teatro civico felsineo). L’unico rammarico è di non poter dedicare più tempo alle proprie inclinazioni.
Come si è formata storicamente la sua collezione?
«A partire dal 1997, quando presi a frequentare gli incontri e le manifestazioni organizzati insieme agli Amici della GAM. E’ così che ho cominciato ad apprezzare e ad appassionarmi perlopiù all’arte contemporanea italiana, che costituisce il nucleo portante della mia collezione. Fra i miei preferiti: Gastini, Zorio, Pizzi Cannella, Tirelli…»
Non si può dimenticare per la formazione culturale dei Bolognesi – e di alcuni collezionisti della scorsa generazione in particolare – il fondamentale ruolo giocato dalla Galleria d’Arte Moderna inaugurata nel 1975 dopo un decennio di effervescente attività espositiva e concorsuale in attesa della sua costruzione. La GAM sviluppò sin da subito un progetto con due principali finalità: la ricerca e la presentazione delle avanguardie italiane (soprattutto con Spazio Aperto) e internazionali e lo studio approfondito dei movimenti del ‘900 europeo.
Dove acquista di preferenza?
«Perlopiù in galleria e in fiera (quindi ancora in galleria), ma il mio giudizio sugli artisti deriva da più stimoli intellettuali, dalla frequentazione degli artisti stessi (che, del resto, talvolta mi richiedono loro opere per esposizioni pubbliche), dalle mostre ma anche dalle letture e dalla saggistica. Non ho alcun pregiudizio di fondo in merito all’acquisizione di informazioni e le mie opinioni si formano all’interno dei più diversi ambiti speculativi e anche dal dialogo serrato e dal confronto con altri collezionisti.»
Come giudica Arte Fiera in rapporto alla vita culturale della sua Città?
«Penso che Arte Fiera abbia un ruolo determinante per la diffusione della conoscenza dell’arte anche se si tratta di un appuntamento a finalità mercantili. La serietà e il rigore che vedo mantenere nel tempo in merito alla selezione dell’organizzazione attentamente curata sul versante più propriamente culturale delle proposte in fiera e al di fuori di questa mi fanno pensare che Arte Fiera sia l’evento più importante in Italia che lega mercato e cultura e offre, anche per la qualità delle manifestazioni collaterali (si pensi al concerto/video di Pärt e Viola), un avvenimento di cui la Città in primo luogo si giova, perché no, anche divertendosi. Del resto, registro una partecipazione dell’Ente pubblico sempre più interessata a confrontarsi con l’evento fieristico, benché ancora questo scambio non sia del tutto esaurito nelle sue potenzialità: un aspetto su cui Arte Fiera e le Istituzioni civiche dovrebbero lavorare per il futuro.»
Parlando di mercato e di collezionismo, pensa che l’attuale situazione economica abbia forzato un ridimensionamento anche del mercato dell’arte in Italia?
«Non in modo particolare. Suppongo però che vi sia una pausa di riflessione per molti, artisti, galleristi e collezionisti.»
Giudica soddisfacente quanto lo Stato faccia per promuovere la nostra Arte in Italia e all’estero?
«Mi sembra davvero che ogni iniziativa si debba soprattutto alle Istituzioni locali, a quelle che operano sul territorio e che si fanno carico delle esigenze dei cittadini. Sembra mancare un livello progettuale più alto e più lungimirante. Tuttavia, per la diffusione della cultura artistica in Italia è necessario confidare sia nelle iniziative pubbliche (anche quelle rivolte alla ricerca scientifica, al restauro e alla conservazione dei beni culturali) sia in quelle private. “Due gambe dello stesso corpo”, due partners che non possono più fare a meno uno dell’altro.»
Come si è formata storicamente la sua collezione?
«A partire dal 1997, quando presi a frequentare gli incontri e le manifestazioni organizzati insieme agli Amici della GAM. E’ così che ho cominciato ad apprezzare e ad appassionarmi perlopiù all’arte contemporanea italiana, che costituisce il nucleo portante della mia collezione. Fra i miei preferiti: Gastini, Zorio, Pizzi Cannella, Tirelli…»
Non si può dimenticare per la formazione culturale dei Bolognesi – e di alcuni collezionisti della scorsa generazione in particolare – il fondamentale ruolo giocato dalla Galleria d’Arte Moderna inaugurata nel 1975 dopo un decennio di effervescente attività espositiva e concorsuale in attesa della sua costruzione. La GAM sviluppò sin da subito un progetto con due principali finalità: la ricerca e la presentazione delle avanguardie italiane (soprattutto con Spazio Aperto) e internazionali e lo studio approfondito dei movimenti del ‘900 europeo.
Dove acquista di preferenza?
«Perlopiù in galleria e in fiera (quindi ancora in galleria), ma il mio giudizio sugli artisti deriva da più stimoli intellettuali, dalla frequentazione degli artisti stessi (che, del resto, talvolta mi richiedono loro opere per esposizioni pubbliche), dalle mostre ma anche dalle letture e dalla saggistica. Non ho alcun pregiudizio di fondo in merito all’acquisizione di informazioni e le mie opinioni si formano all’interno dei più diversi ambiti speculativi e anche dal dialogo serrato e dal confronto con altri collezionisti.»
Come giudica Arte Fiera in rapporto alla vita culturale della sua Città?
«Penso che Arte Fiera abbia un ruolo determinante per la diffusione della conoscenza dell’arte anche se si tratta di un appuntamento a finalità mercantili. La serietà e il rigore che vedo mantenere nel tempo in merito alla selezione dell’organizzazione attentamente curata sul versante più propriamente culturale delle proposte in fiera e al di fuori di questa mi fanno pensare che Arte Fiera sia l’evento più importante in Italia che lega mercato e cultura e offre, anche per la qualità delle manifestazioni collaterali (si pensi al concerto/video di Pärt e Viola), un avvenimento di cui la Città in primo luogo si giova, perché no, anche divertendosi. Del resto, registro una partecipazione dell’Ente pubblico sempre più interessata a confrontarsi con l’evento fieristico, benché ancora questo scambio non sia del tutto esaurito nelle sue potenzialità: un aspetto su cui Arte Fiera e le Istituzioni civiche dovrebbero lavorare per il futuro.»
Parlando di mercato e di collezionismo, pensa che l’attuale situazione economica abbia forzato un ridimensionamento anche del mercato dell’arte in Italia?
«Non in modo particolare. Suppongo però che vi sia una pausa di riflessione per molti, artisti, galleristi e collezionisti.»
Giudica soddisfacente quanto lo Stato faccia per promuovere la nostra Arte in Italia e all’estero?
«Mi sembra davvero che ogni iniziativa si debba soprattutto alle Istituzioni locali, a quelle che operano sul territorio e che si fanno carico delle esigenze dei cittadini. Sembra mancare un livello progettuale più alto e più lungimirante. Tuttavia, per la diffusione della cultura artistica in Italia è necessario confidare sia nelle iniziative pubbliche (anche quelle rivolte alla ricerca scientifica, al restauro e alla conservazione dei beni culturali) sia in quelle private. “Due gambe dello stesso corpo”, due partners che non possono più fare a meno uno dell’altro.»
Lorenzo Sassoli De Bianchi
Presidente della Valsoia e dell’UPA (Utenti Pubblicità Associati), Lorenzo Sassoli De Bianchi divide il suo tempo fra tre vite equamente distribuite tra Bologna e Milano: la professione, la presidenza del MamBO, la famiglia (non necessariamente in quest’ordine). Per nessuna di queste tre esistenze sembra trovare il tempo sufficiente, inoltre, forza maggiore, oggi deve rinunciare – malvolentieri – alla quarta passione, il collezionismo d’arte contemporanea.
La sua figura rappresenta ormai un punto fermo per la vita culturale bolognese: fu presidente della GAM dal 1995 al 1999 e vi tornò in carica nel 2005, confermato per i prossimi cinque anni. Ciò indica la notevole sintonia fra la dirigenza dei Musei cittadini e le capacità propositive di quest’uomo d’affari raffinato e dotato di raro understatement per l’ubertosa e sanguigna città felsinea.
Di fatto, la sua attività di collezionista, la passione che per prima lo mosse ad affrontare compiti istituzionali nell’ambito della cultura e dell’arte, ora deve cedere il passo per evitare spiacevoli conflitti d’interesse e potenziali criticità con le amministrazioni cittadine e con l’opinione pubblica. Tale passione è incanalata ora per la riuscita del Museo.
«Ormai si può dire che colleziono solo per il MamBO…» afferma deciso.
Lorenzo Sassoli, così, può acquistare per se stesso solo sporadicamente e solo attraverso case d’asta, per non essere tacciato di favorire determinate gallerie e introdurle subdolamente su “suolo pubblico”. Rimpiange le molte occasioni perse quando, durante il suo primo mandato dal 1995 al 1999, il mercato era ancora accessibile e non del tutto stravolto dalle inopportune cariche del collezionista modaiolo (“rampante figlio di Wall Street” qualifica il Presidente).
La passione per gli artisti cinesi nata alla fine degli anni ’90 del secolo scorso portò Sassoli De Bianchi a scrivere nel 2005 un testo edito da Damiani sull’arte cinese contemporanea, allorquando, in pieni boom di audience e frenetica evoluzione stilistica, l’occhio dell’Occidente era particolarmente rivolto al genere figurativo della grande Nazione estremo-orientale. Da studioso, oggi, l’autore trova che la velocità e la complessità con cui si è sviluppata l’arte cinese negli ultimi anni rende davvero difficile la comprensione del fenomeno tanto che – in Italia in particolare – è arduo ormai offrire la migliore selezione e non incappare in manifestazioni che non siano in realtà operazioni commerciali («…ma i più non se ne accorgono: e come potrebbero?…») che cavalcano l’onda – ora più frenata – dell’entusiasmo insipiente del collezionismo à la page.
Quindi per Lorenzo Sassoli, ormai, le porte del sano “prurito del collezionista” sono chiuse, con però la certezza di utilizzare la propria esperienza per il MamBO per il quale ha l’opportunità di contribuire alla cernita delle nuove acquisizioni utilizzando il privato come comodante e le opere come oggetto del comodato e legando alla vita museale il supporter per almeno tre anni.
«Chi sponsorizza l’attività del MamBO non lo fa per ottenere una ribalta effimera, ma deve sapere che sostiene un progetto a lungo termine che lo coinvolgerà nel tempo».
E così l’Unicredit da diversi anni è entrata nella vita del Museo bolognese attraverso acquisizioni di arte contemporanea, suggerite dal Presidente del MamBO secondo le necessità dell’Ente, poi cedute agli spazi museali con formula di comodato d’uso. Così, ad esempio, è diventata pubblica, ultimissima arrivata, un’importante opera di Patrick Tuttofuoco.
Ma Sassoli non cede. Davvero non è più interessato al collezionismo personale? Insisto incredula.
«Se si ha così tanto da fare per il proprio Museo c’è poco tempo per sé, e l’intuito e la ricerca sono indirizzati verso l’interesse dello spazio pubblico e non di quello privato. Ciò che conta in primo luogo è un progetto. Il Museo prima di tutto è un progetto e poi un contenitore d’arte che allestisce e promuove manifestazioni. E io agisco ora in consonanza di quel progetto.» Ovvero, come ogni collezionista serio dovrebbe fare, aggiungo io.
Attraverso quest’ottica a lungo termine e con le capacità persuasive del suo Presidente, il MamBO non ha, neppure di questi tempi, particolari problemi di reperibilità di risorse per le sue manifestazioni e le sue attività.
All’interno di un virtuale circuito di eccellenze, Sassoli inserisce il Museo bolognese fra tre istituzioni omologhe in Italia, il Castello di Rivoli e il MART di Rovereto, nei confronti delle quali trova che non vi sia, al contrario di Bologna, un così profondo legame fra la figura del Presidente e il lavoro dei Direttori, un aspetto che può costituire un limite per la produzione culturale. In ogni caso, per Sassoli De Bianchi, Torino è oggi la città italiana più attiva e il referente primo per chi voglia conoscere l’arte contemporanea, un riuscito patto di reciproco interesse fra pubblico e Istituzioni. Un modello cui tendere e a cui Bologna può aspirare, visto l’entusiasmo crescente dei cittadini e l’hatù concesso dalla nutrita popolazione studentesca.
La ringrazio, Dottore, per l’intervista. Ci vediamo in fiera? Faccio, insinuante (magari mi dice: “sarò presso il tal stand…”). Macché: «Ci devo passare, ma mi troverà sempre in Museo, dove aspettiamo il pubblico gemellato con l’occasione dell’evento a cui offriamo itinerari guidati alla nostra collezione contemporanea oltre all’ingresso privilegiato alla mostra su Gilberto Zorio e a una visita meditata ad Arte Fiera.»
E allora, mi dico io, il questionario che preparai anticipatamente e distribuii ai miei ospiti, farcito di compìte domandine sul rapporto fra collezionista bolognese e mercato non può essere esaurito con il rappresentante di un’istituzione pubblica ex-collezionista. Ma è davvero così? Rileggendo queste righe trovo invece più risposte pertinenti che quesiti irrisolti.
La sua figura rappresenta ormai un punto fermo per la vita culturale bolognese: fu presidente della GAM dal 1995 al 1999 e vi tornò in carica nel 2005, confermato per i prossimi cinque anni. Ciò indica la notevole sintonia fra la dirigenza dei Musei cittadini e le capacità propositive di quest’uomo d’affari raffinato e dotato di raro understatement per l’ubertosa e sanguigna città felsinea.
Di fatto, la sua attività di collezionista, la passione che per prima lo mosse ad affrontare compiti istituzionali nell’ambito della cultura e dell’arte, ora deve cedere il passo per evitare spiacevoli conflitti d’interesse e potenziali criticità con le amministrazioni cittadine e con l’opinione pubblica. Tale passione è incanalata ora per la riuscita del Museo.
«Ormai si può dire che colleziono solo per il MamBO…» afferma deciso.
Lorenzo Sassoli, così, può acquistare per se stesso solo sporadicamente e solo attraverso case d’asta, per non essere tacciato di favorire determinate gallerie e introdurle subdolamente su “suolo pubblico”. Rimpiange le molte occasioni perse quando, durante il suo primo mandato dal 1995 al 1999, il mercato era ancora accessibile e non del tutto stravolto dalle inopportune cariche del collezionista modaiolo (“rampante figlio di Wall Street” qualifica il Presidente).
La passione per gli artisti cinesi nata alla fine degli anni ’90 del secolo scorso portò Sassoli De Bianchi a scrivere nel 2005 un testo edito da Damiani sull’arte cinese contemporanea, allorquando, in pieni boom di audience e frenetica evoluzione stilistica, l’occhio dell’Occidente era particolarmente rivolto al genere figurativo della grande Nazione estremo-orientale. Da studioso, oggi, l’autore trova che la velocità e la complessità con cui si è sviluppata l’arte cinese negli ultimi anni rende davvero difficile la comprensione del fenomeno tanto che – in Italia in particolare – è arduo ormai offrire la migliore selezione e non incappare in manifestazioni che non siano in realtà operazioni commerciali («…ma i più non se ne accorgono: e come potrebbero?…») che cavalcano l’onda – ora più frenata – dell’entusiasmo insipiente del collezionismo à la page.
Quindi per Lorenzo Sassoli, ormai, le porte del sano “prurito del collezionista” sono chiuse, con però la certezza di utilizzare la propria esperienza per il MamBO per il quale ha l’opportunità di contribuire alla cernita delle nuove acquisizioni utilizzando il privato come comodante e le opere come oggetto del comodato e legando alla vita museale il supporter per almeno tre anni.
«Chi sponsorizza l’attività del MamBO non lo fa per ottenere una ribalta effimera, ma deve sapere che sostiene un progetto a lungo termine che lo coinvolgerà nel tempo».
E così l’Unicredit da diversi anni è entrata nella vita del Museo bolognese attraverso acquisizioni di arte contemporanea, suggerite dal Presidente del MamBO secondo le necessità dell’Ente, poi cedute agli spazi museali con formula di comodato d’uso. Così, ad esempio, è diventata pubblica, ultimissima arrivata, un’importante opera di Patrick Tuttofuoco.
Ma Sassoli non cede. Davvero non è più interessato al collezionismo personale? Insisto incredula.
«Se si ha così tanto da fare per il proprio Museo c’è poco tempo per sé, e l’intuito e la ricerca sono indirizzati verso l’interesse dello spazio pubblico e non di quello privato. Ciò che conta in primo luogo è un progetto. Il Museo prima di tutto è un progetto e poi un contenitore d’arte che allestisce e promuove manifestazioni. E io agisco ora in consonanza di quel progetto.» Ovvero, come ogni collezionista serio dovrebbe fare, aggiungo io.
Attraverso quest’ottica a lungo termine e con le capacità persuasive del suo Presidente, il MamBO non ha, neppure di questi tempi, particolari problemi di reperibilità di risorse per le sue manifestazioni e le sue attività.
All’interno di un virtuale circuito di eccellenze, Sassoli inserisce il Museo bolognese fra tre istituzioni omologhe in Italia, il Castello di Rivoli e il MART di Rovereto, nei confronti delle quali trova che non vi sia, al contrario di Bologna, un così profondo legame fra la figura del Presidente e il lavoro dei Direttori, un aspetto che può costituire un limite per la produzione culturale. In ogni caso, per Sassoli De Bianchi, Torino è oggi la città italiana più attiva e il referente primo per chi voglia conoscere l’arte contemporanea, un riuscito patto di reciproco interesse fra pubblico e Istituzioni. Un modello cui tendere e a cui Bologna può aspirare, visto l’entusiasmo crescente dei cittadini e l’hatù concesso dalla nutrita popolazione studentesca.
La ringrazio, Dottore, per l’intervista. Ci vediamo in fiera? Faccio, insinuante (magari mi dice: “sarò presso il tal stand…”). Macché: «Ci devo passare, ma mi troverà sempre in Museo, dove aspettiamo il pubblico gemellato con l’occasione dell’evento a cui offriamo itinerari guidati alla nostra collezione contemporanea oltre all’ingresso privilegiato alla mostra su Gilberto Zorio e a una visita meditata ad Arte Fiera.»
E allora, mi dico io, il questionario che preparai anticipatamente e distribuii ai miei ospiti, farcito di compìte domandine sul rapporto fra collezionista bolognese e mercato non può essere esaurito con il rappresentante di un’istituzione pubblica ex-collezionista. Ma è davvero così? Rileggendo queste righe trovo invece più risposte pertinenti che quesiti irrisolti.
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