Di sicuro, quando c’è di mezzo lui non ci si annoia mai. Lui è, naturalmente, Vittorio Sgarbi. A Milano, piacesse o no, aveva portato in città, per un paio d’anni, un po’ d’imprevedibilità. In un mondo dominato da mezzecalzette, camerieri, grassatori, puttanieri, giocatori di Superenalotto e colonnelli semianalfabeti (quelli che alla prima occasione fanno le scarpe al loro capo per passare, armi e bagagli, a un altro capo), Sgarbi, come al solito, ha fatto la differenza. Ripeto, che piacesse o non piacesse: ma ha fatto la differenza. Non ha, infatti, portato né un’ondata di pittorucoli neo-figurativi come qualcuno si aspettava, né valanghe di mostre-marchette, né sorelle di ministri a esporre nei musei: ma ha portato mostre di rottura (dalla street art, per la prima volta “sdoganata” in un museo pubblico, alla mostra su arte e omosessualità, a Witkin, a Von Gloeden), mostre di artisti internazionali come Balkenhol e LaChapelle, o di eccentrici irregolari come Luigi Serafini: uno che in centinaia di siti – internazionali, non italiani – è inneggiato come un genio bizzarro e imprevedibile per il suo Codex Seraphinianus. Andato via Sgarbi, che è successo a Milano? Che il vecchio sistema di potere è stato restaurato, con buona pace dei galleristi “che contano” e dei collezionisti che amano andare sul sicuro qui ed ora, senza pensare che la storia dell’arte ha spesso giri strani e imprevedibili, e che gli artisti alla moda di oggi a volte si trasformano nei pompier di domani, o che spesso, tra gli irregolari, si possono trovare anche i geni di domani. Così, alle mostre già vecchie della Beecroft, e alle ormai prevedibilissime e stucchevoli “provocazioni” di Cattelan (un dito medio alzato davanti alla Borsa come rappresentazione della “fine delle ideologie”? Se invece che Cattelan l’avesse pensato uno studente del primo anno d’Accademia, sarebbe stato rimandato a casa senza complimenti…), oggi si alternano le conferenze “sul contemporaneo” dei soliti tre-quattro nomi noti della critica à la page, e le collettive vengono date in mano, pensate un po’, nientemeno che al direttore della Gam di Bergamo: come se il Maxxi fosse dato in gestione, che so, al direttore del Museo di Ciampino, o a quello di Latina. Insomma, un ritorno all’ordine in piena regola, con non poche sbavature e incongruenze. Come lo stranissimo ‘incidente’ di una sorella del ministro più potente d’Italia, del tutto sconosciuta al mondo dell’arte, trattata da grande artista… e Sgarbi? Sgarbi, come al solito, spariglia le carte. Piaccia o no, naturalmente. Ma certo non è mai prevedibile. A Venezia, ha già cominciato a dire a destra e manca che non porterà 20 artisti, come hanno fatto (in mezzo a una valanga di polemiche, per lo più ingiustificate) Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli, ma ne porterà mille, in omaggio ai Mille di Garibaldi. Tra questi, centocinquanta non saranno invitati da lui, ma li farà invitare da altrettanti intellettuali, critici, scrittori, registi: “così nessuno”, dice, “potrà dire che mi sono portato i miei protetti, e se vorranno attaccare, attaccheranno le scelte di Eco, Magris, Ozpeteck, Dorfles, Cacciari, etc. etc.”. Intanto, corme Sovrintendente – è notizia di ieri – ha messo una porno-star, Vittoria Risi, a “posare” davanti a Giorgione, come un tableau vivant. A tanti, nel mondo dell’arte, tutto ciò farà semplicemente pena: la considereranno (li prevengo io, tanto sarà quello che vomiteranno addosso a quest’ennesima trouvaille sgarbiana) un’ideuzza nazional-popolare per attirare gente, una trovata di pessimo gusto, una provocazione volgare, etc. etc. Ora, però, dovremmo intenderci: se l’arte ci ha abituato a tutto, se il sesso è imperante in ogni dibattito culturale e politico, se i giornali non fanno, da mesi e mesi, che parlare dei trans di Marrazzo e delle escort di Berlusconi – tutte diventate improvvisamente sante e oneste combattenti per la libertà -, e se poi l’arte non fa che sputtaneggiare da anni, tra sesso estremo e sessualità ostentata ovunque, che problema c’è se Sgarbi mette una pornostar a rappresentare il nudo, a confronto con Giorgione? Forse che quello che è permesso alle star americane, come Jeff Koons o Terry Richardson, non va più bene se invece è fatto dal più pazzo, dal più imprevedibile, dal più irregolare dei critici d’arte italiani? Piaccia o no, ogni volta sorprende, e di certo non ci fa annoiare.