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Michelangelo architetto nei disegni della Casa Buonarroti

Michelangelo Buonarroti (Caprese 1475-Roma 1564), Studio planimetrico per San Giovanni dei Fiorentini, matita nera, penna e inchiostro, inchiostro acquerellato, biacca, mm 417 × 376, Firenze, Casa Buonarroti

MICHELANGELO ARCHITETTO, dall’11 febbraio all’8 maggio 2011
L’ULTIMO MICHELANGELO, dal 18 marzo al 19 giugno 2011
Castello Sforzesco – Milano

Buonarroti - ArtsLife
Michelangelo Buonarroti (Caprese 1475-Roma 1564), Studio planimetrico per San Giovanni dei Fiorentini, matita nera, penna e inchiostro, inchiostro acquerellato, biacca, mm 417 × 376, Firenze, Casa Buonarroti

Michelangelo Buonarroti (Caprese 1475-Roma 1564), Studio planimetrico per San Giovanni dei Fiorentini, matita nera, penna e inchiostro, inchiostro acquerellato, biacca, mm 417 × 376, Firenze, Casa Buonarroti

La città di Milano rende omaggio al Genio del Rinascimento con due grandi mostre:Michelangelo Architetto e L’Ultimo Michelangelo.
Per cinque mesi, da febbraio a giugno, il genio di Michelangelo Buonarroti sarà al centro di due importanti iniziative espositive allestite al Castello Sforzesco di Milano.

La prima, in programma dall’11 febbraio all’8 maggio 2011, dal titolo Michelangelo Architetto, curata da Pietro Ruschi, nasce da un progetto di Casa Buonarroti che presenta oltre 50 disegni suddivisi secondo i temi di riferimento – dall’edilizia civile a quella religiosa, alle fortificazioni – attentamente selezionati al fine di cercare, nella semplicità di uno schizzo o nella complessa stratificazione di un elaborato di presentazione, i riflessi del percorso ideale di Michelangelo, del suo modo di progettare e di realizzare l’architettura: si tratta, evidentemente, di progetti celeberrimi, ma talora incompiuti se non addirittura mai realizzati come quello per a basilica di San Giovanni dei Fiorentini a Roma. Nell’occasione sono stati realizzati in 3D alcuni dei grandi progetti michelangioleschi.

La seconda, L’ultimo Michelangelo, che nasce da un’idea del Castello Sforzesco e che è curata da Alessandro Rovetta, raccoglierà dal 18 marzo al 19 giugno 2011 intorno all’estremo e incompiuto capolavoro di Michelangelo, la Pietà Rondanini, l’ultima produzione artistica e letteraria del Buonarroti.

Verranno presentati prevalentemente disegni, tra i più importanti del catalogo michelangiolesco, in gran parte databili agli ultimi decenni di vita, dove si osserva un profondo mutamento delle scelte figurative e tecniche del maestro, tese a un luminismo di straordinaria intensità fisica e spirituale che trovano nella Pietà il riscontro e l’esito scultoreo più suggestivo.

“L’arte di Michelangelo è la sua tensione all’infinito – spiega l’assessore alla cultura del Comune di Milano Massimiliano Finazzer Flory -, il che non equivale a quel “carattere di non finito” che spesso e, non senza equivoci, a lui è stato associato. Nelle mostre al Castello Sforzesco progetto ed esecuzione sono indagati con particolare attenzione alle tecniche e con l’intento di mettere in luce nel corso degli anni lo stile di un artista di indiscusso valore. Un artista – prosegue Finazzer Flory – che unisce forma e sostanza, letteratura e scultura, lavorando sull’uomo e sul divino che lo abitano”.

“Per il periodo che va dal 18 marzo all’8 maggio, e cioè per cinquanta giorni – ha dichiarato l’on. Pietro Folena, Presidente di MetaMorfosi che organizza i due eventi- al Castello Sforzesco saranno esposti più di 100 disegni autografi di Michelangelo, oltre a quel capolavoro immenso che è la Pietà Rondanini. Michelangelo al Castello è uno dei massimi eventi mondiali dedicato al grande genio del Rinascimento”.
I cataloghi saranno pubblicati da Silvana Editoriale.

PIETRO RUSCHI
Curatore della mostra

Premessa*

Tentare di cogliere appieno la complessità del percorso di Michelangelo architetto è un’impresa destinata a restare, come molte sue opere, incompiuta. Mancano troppi elementi ed è troppo complessa la sua personalità per poter supporre di raggiungere tale obiettivo. Una personalità che conosciamo principalmente tramite il filtro di Condivi e di Vasari, poiché le sue lettere e le sue poesie raramente offrono spunti autobiografici e, quando lo fanno, affiorano sentimenti nascosti (“l’amore, sensuale, intellettuale o mistico che fosse – scriveva Argan – era il principio motorio di tutta la poesia michelangiolesca”) e ansie interiori, più che accenni di natura teorica, invero rarissimi. Anche le affermazioni circa la sua difficoltà nello svolgere il mestiere di architetto (“non sono architector”) appaiono più delle pregiudiziali con una finalità sostanzialmente strategica che delle sincere ammissioni: sarebbe stato, infatti, assai rischioso porsi prematuramente a confronto con i grandi “specialisti” del passato, a cominciare da Brunelleschi, fino ai potenti contemporanei, come i Sangallo. Finalità, peraltro, già svelata dal “murator vecchio et ingegnoso” Pietro Rosselli che, nel febbario 1526, a proposito di un disegno per la facciata di San Lorenzo, scriveva a Michelangelo: “E io gli [al cardinale Giulio de’ Medici] òne risposto a visso a visso, avendolo fatto voi non puuònne esere se non buuono disegno, perché senpre dite nonn·i[n]te[n]dere e nonn·esere vostra arte, e dipoi chor uno charbone chonfo[n]dette tuti gli maestri de li nostri mestieri, sì ‘n isqu[l]tura, sì in pitura, sì in a[r]chititura”.

In realtà, Michelangelo perseguì con forza e ostinazione l’ottenimento dei suoi incarichi, mirando soprattutto a emarginare i concorrenti e, talvolta, gli stessi collaboratori. Un comportamento che non poteva certo scaturire dall’insicurezza, ma piuttosto dalla certezza nelle proprie capacità anche nel campo dell’architettura, alla ricerca di una perfezione che solo la diretta e personale gestione dei lavori avrebbe potuto garantire. Al riguardo, la famosa lettera inviata al cardinale Pio da Carpi, una delle poche se non l’unica a esprimere considerazioni di natura teorica, fornisce diretta conferma di quanto egli avesse chiari i fondamenti dell’architettura e quanto ben avesse individuato i limiti dei tradizionali procedimenti dimensionali e proporzionali basati sullo statico antropomorfismo della trattatistica quattrocentesca: “Quando una pianta à diverse parti, tucte quelle che sono a un modo di qualità e quantità ànno a essere adorne in un medesimo modo e d’una medesima maniera; e similmente i lor riscontri. Ma quando la pianta muta del tucto forma, è non solamente lecito, ma necessario, mutare del tucto ancora gli ador[na]menti, e similmente i lor riscontri: e e’mezzi sempre son liberi come vogliono; sì come il naso, che è nel mezo del viso, non è obrigato né all’uno né a l’altro ochio, ma l’una mana è bene obrigata a esere come l’altra, e l’uno ochio come l’altro, per rispecto degli lati e de’ riscontri. E per[ò] è cosa certa che le membra dell’architectura dipendono dalle membra dell’uomo. Chi non è stato o non è buon maestro di figure, e masimo di notomia, non se ne può intendere”.

Va anche osservato che la singolare costruzione della forma architettonica di Michelangelo pensata e modellata in uno spazio tridimensionale ma poi definita tramite un complesso percorso formativo sempre legato alla valenza plastica della materia – “egli non sapeva concepire un edificio se non come una scultura di grande formato: un intreccio di blocchi accatastati e ammorsati uno all’altro” ha recentemente osservato Christof Thoenes – esigeva di per sé stessa un’assoluta autonomia progettuale. Lo dimostra l’insofferenza perfino verso i modelli dei suoi progetti eseguiti da altri: “Bisognierà, all’ultimo, che io lo faccia da·mme” scriveva a Domenico Buoninsegni, a proposito di un modello per la facciata di San Lorenzo realizzato da Baccio d’Agnolo. Lo dimostra anche la sua quasi maniacale attenzione nello scegliere, nel dimensionare in cava i blocchi di marmo (che lo costrinse a soggiornare per lunghi periodi nell’aspro territorio apuano) e perfino nel curare il loro trasporto in cantiere, oltre all’infinita serie di modani, disegnati, campiti con l’inchiostro, talora ritagliati con le forbici, che egli personalmente eseguiva per garantire l’assoluta, millimetrica corrispondenza dei singoli elementi architettonici al progetto. Come ben documentano i suoi studi dal Codice Coner, la mimesi del linguaggio classico costituì per Michelangelo la base analitica e concettuale destinata a sfociare, tramite un processo metamorfico, nel progetto. D’altro canto, la complessità di un simile iter creativo non offriva espliciti appigli di metodo o di forma, in quanto appariva impostata sul costante e talora imprevedibile sovrapporsi e mutare di idee e azioni; anzi, si può osservare come tale sovrapposizione non cessasse neppure durante l’esecuzione dell’opera, tanto da divenire spesso causa della sua incompiutezza. Il progetto di architettura costituiva per Michelangelo un percorso prevalentemente sperimentale, piuttosto che compositivo; e se l’esperimento non era convincente veniva abbandonato, se non addirittura rimosso, cancellato. Nel campo dell’architettura del secondo Cinquecento, furono proprio questi caratteri innovatori ma anche estremamente individuali, che da un lato suscitarono immediata e generale ammirazione per l’opera di Michelangelo, ma dall’altro determinarono incomprensioni e divisioni. Forse proprio l’aver intuito tale situazione aveva spinto Vasari, che più di ogni altro aveva il polso dello status dell’arte, ad ammonire: “Onde gli artefici gli hanno infinito e perpetuo obligo, avendo egli [Michelangelo] rotto i lacci e le catene delle cose, che per via d’una strada comune eglino di continuo operavano”.

A fronte di tali sconvolgimenti, numerosi e immediati furono i tentativi di ricomposizione. La stessa trattatistica di Vignola, sotto non pochi aspetti, può essere vista come un tentativo di riconvogliare dentro un ben arginato e tranquillo canale il linguaggio dell’architettura, dopo le onde tumultuose che Michelangelo aveva da poco sollevato. Come acutamente scriveva Argan, infatti, furono proprio “Vignola, Giacomo Della Porta, Carlo Maderno a riconvertire la poetica architettonica michelangiolesca in un sermone parrocchiale decoroso e compunto”. Per cogliere i primi, effettivi frutti di quella poetica, riesaminata – e reinterpretata – in tutte le sue problematicità ma anche nelle sue potenzialità, bisognerà tuttavia aspettare assai a lungo, ovvero la stagione del barocco romano, quando Bernini, ma forse soprattutto Borromini, ognuno a suo modo e con i propri fini, tentarono criticamente di individuare quei contenuti di forma e di spazio che Buonarroti, primo e unico fra tutti gli architetti del Cinquecento, aveva magistralmente ma drammaticamente adombrato.

* Estratto dal Catalogo Silvana editoriale

INFORMAZIONI UTILI

MICHELANGELO ARCHITETTO
nei disegni della Casa Buonarroti
Milano, Castello Sforzesco (Sale Viscontee)
11 febbraio – 8 maggio 2011

L’ULTIMO MICHELANGELO
Disegni e rime attorno alla Pietà Rondanini
Milano, Castello Sforzesco (Sala 15)
18 marzo – 19 giugno 2011

Curatore: Pietro Ruschi
Orari:
Da martedì a domenica 9.00 – 17.30
Ultimo ingresso ore 17.00
Ingresso:
€ 6,00 intero;
€ 3,00 ridotto studenti, over 65 e convenzioni;
Il biglietto è comprensivo della visita ai Musei del Castello e dell’ingresso alla mostra
Catalogo: Silvana Editoriale

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