Quarto Stato – Solo et penoso
Cambiare si può
Ma quali polemiche? Ma quali problemi? Quali intenti politici e gesti sovietici? Quali costi di spostamenti? Cosa c’entrano altre priorità economiche e culturali? “Il quadro è stato pensato esplicitamente come inizio di un percorso espositivo nell’arte del Novecento“? E allora? Se il progetto è fallimentare e il posto inadatto deve per forza rimanere lì? No. Si sposta, si cambia.
Oramai da quasi un anno il Quarto Stato, Manifesto dei lavoratori, emblema di lotta sociale, opera simbolo per Milano (ispirato alle giornate di lotte milanesi del 1897-98 dove Bava Beccaris prese a cannonate il popolo) e per tutto il Nord Italia, è rinchiusa asetticamente nella gabbia di cristallo di un anonimo e disorganizzato Museo del Novecento, isolata da tutto il resto del percorso artistico, messa lì più a richiamo di turisti che ad altro. Un Museo assolutamente da riscattare, inaugurato dall’ex giunta con imperdibili vernissage e evening vip party giusto giusto a pochi mesi dalle elezioni per celebrare il governo del fare di facciata morattiano. E chissenefrega di quel che poi c’è dentro, il contenuto. Un’ottima occasione persa.
Le considerazioni di Boeri sulla collocazione del quadro sono assolutamente logiche e ragionevoli. Ma è qui che allora, per incanto, tutti diventano raffinati esteti e parlano, parlano e ancora parlano, quasi sempre a sproposito.
La nuova sede ha completamente snaturalizzato l’opera frenando il cammino dei lavoratori contro i riflessi del cristallo sporco di teste e ditate di gente andata a sbatterci sopra, la forza del popolo che avanza si infrange contro il vetro del freddo spazio interno del “nuovo” Arengario sulla “mitica Elicona” che porta al ristorante.
Il quadro ha bisogno di profondità come pure della possibilità d’esser “sentito“, a tu per tu e senza barriere, osservato da vicino in ogni tratto di pennello, nei contrasti e negli accordi della luce, nella sovrapposizione dei pigmenti colorati. L’opera dev’essere percepita e “ascoltata“, come può cogliersi l’incedere silenzioso e deciso dei braccianti in protesta in siffatto luogo?
Diceva profetico Pellizza da Volpedo:
Una massa di popolo, di lavoratori della terra i quali intelligenti, forti, robusti, uniti, s’avanzano come fiumana travolgendo ogni ostacolo che si frappone per raggiungere luogo ov’ella trova equilibrio.
Ci si chiede con che criterio realmente abbia mai potuto vincere un concorso internazionale il progetto di Italo Rota da 28 milioni di euro che ha come punto di forza la centralità e la “valorizzazione” del Quarto Stato – puro spirito Ottocento – in un percorso museale novecentesco, che solo la data – il 1901 – pone nel XX secolo (il dipinto è stato eseguito dal 1898 al 1901 ed è l’ultimo sviluppo di opere come Ambasciatori della fame del 1892 e Fiumanadel 1895-96) non avendo alcun vero legame storico artistico con la rivoluzione estetica del nuovo secolo, la distruzione e la distorsione della forma tradizionale, l’avanguardia dei futurismi e via di seguito con le altre varie merde d’artista novecentesche.
Sembra quasi naturale che l’opera debba tornare nelle meravigliose stanze Impero di Villa Reale alla Galleria d’Arte Moderna, lì dove unicamente, almeno per ora, a Milano l’opera riavrebbe un senso e una coerenza chiudendo e chiosando la stagione artistica ottocentesca tra divisionismo, realismo, simbolismo, socialismo. Qui si respira l’atmosfera calda e antica che impregna il Quarto Stato, qui solo si afferra l’energia di un’opera, grandioso risultato del nostro bistrattato e misconosciuto Ottocento.
(Non che prima avesse chissà quali frotte di visitatori, eccelsi riscontri d’interesse, cure e attenzioni…).
Magari si poterebbe dedicare alla tela una sala allestita su misura con un’adeguata cornice artistica oltreché, a completamento del chimerico progetto, mettere a punto una decorosa e accurata valorizzazione dell’intera collezione municipale, un New Deal per la GAM di Milano (prego, spero e mi dispero invano ormai da tempo – Un giorno alla GAM), facendo in modo che la gente possa visitare dignitosamente una delle più interessanti raccolte d’arte Ottocentesca in una sede stupenda, gratuita e con un magnifico giardino all’inglese con tempio e laghetto.
Speriamo che Boeri agisca senza dar ascolto alle infinite parole dei soliti morti che hanno prontamente gridato allo scandalo nel nome di critici – esperti – opinionisti d’arte che, riadattando in meglio l’insegnamento del saggio De Corato, il caldo immancabilmente ha colpito e colpisce puntualmente, saggi in primis, spesso non solo d’Agosto.
L’unico scandalo è vederlo rinchiuso maldestramente nella nicchia d’oro da oltre 50.000 euro di un non ben identificato museo che perde visitatori ogni mese di più, dai 180.000 effetto novità – gratuità di dicembre ai neanche 15.000 di luglio, sempre più destinato a perderne.
Il problema è che senza Quarto Stato ce ne sarebbero ancor meno, ma il quadro è da spostare compensando la perdita con nuove opere che abbiano un senso, una logica e che rappresentino la stagione artistica novecentesca come ad esempio I Funerali dell’Anarchico Pinelli di Enrico Baj stile Guernica di Picasso confinato negli scantinati della Fondazione Marconi e censurato da più di 40 anni, ripensando il progetto iniziale.
Perchè poi non abbandonare l’operazione immobiliare del super Museo d’Arte Contemporanea fatto per far girare i denari più che le arti con costi di gestione sui sei milioni di euro l’anno e valorizzare tutto l’immenso patrimonio museale che già possiede la città relegato nei depositi di Brera, del Castello e di Villa Reale per citare i più noti? Perchè non rivedere allestimenti e progetti delle varie sedi, riconsiderare l’offerta di Palazzo Reale come raccolta civica permanente ricollocando le mostre temporanee in altro luogo non rimanendo mai più con il deserto culturale d’agosto?
Clicca qui per leggere “Liberate il Quarto Stato di Pellizza” di Luca Zuccala
Clicca qui per leggere “Simbolo per Simbolo” di Cristiana Curti
2 Commenti
[…] Ora aspettiamo anche noi… (intanto il Quarto Stato è ancora rinchiuso nella “gabbia del Novecento“) […]