George Harrison era uno sfigato. O meglio, era quello messo un po’ da parte all’inizio della carriera dei Beatles. Il chitarrista di accompagnamento. All’ombra di due mostri sacri come John Lennon e Paul McCartney. George iniziò a credere in se stesso solo più tardi. “Se Paul e John scrivono delle canzoni perché non posso farlo anche io?”. Di lì a breve il chitarrista dei Beatles scrisse brani indimenticabili come “While My Guitar Gently Weeps”, “I Need You”, “Something”, “Here Comes the Sun”.
Scorsese ha colto nel segno, dando vita a un documentario molto accurato sulla vita di Harrison, personaggio di spessore per troppo tempo sottovalutato.
Un percorso che parte dagli esordi con la band di Liverpool, fino ad arrivare al debutto solista e alla sua lotta contro il cancro. Tre ore (forse un po’ troppe) di immagini, racconti, live, testimonianze, musica, parole. Ci sono tutti a dire la propria sul vecchio e caro George. Paul, Ringo, Clapton, Eric Idle, Tom Petty, Yoko Ono, il pilota di Formula 1 Jackie Stewart, i produttori, gli amici, l’ex Pattie Boyde e la sua ultima moglie Olivia Arias. Addirittura Terry Gilliam. Perchè quando George si appassionò ai Monty Pyton decise di comprare la casa di produzione (per 4 milioni di dollari) per riuscire a finanziare e far uscire il film “Brian di Nazareth”. “George pagò il biglietto del cinema più caro della storia”. Dice ridendo Gilliam in un’intervista. “GEORGE HARRISON: Living In The Material World” è un docu-film tripudio di musica e spiritualità. George, a detta di tutti i suoi amici, sembrava davvero avere due personalità. Schizofrenico? Non è il termine appropriato, anche se una vena di follia scorreva senza ombra di dubbio nelle sue vene. Uno spirito inquieto, curioso. Intelligente e sensibile. Geniale? Anche. Un uomo che fece della ricerca di sé il suo percorso di vita. Provati i fasti della vita da rock star, intrisa di denaro, donne e tutto ciò che di materiale si poteva comprare. Provate le droghe e compreso molto bene il lato negativo del successo, George si sentì sperduto. Mancava qualcosa nella sua vita. Cresciuto in una famiglia cattolica, il suo incontro con la filosofia indiana fu una svolta fondamentale che lo cambiò per sempre. Una religione che finalmente non gli chiedeva di credere in qualcosa senza fare domande. Senza che ci fosse nulla di tangibile e di veramente sentito nel profondo. Per lui fu una rivelazione. Un’illuminazione. Fatti i bagagli, Harrison partì per l’India e fece ritorno con un tesoro inestimabile che influì molto sulla musica dei Beatles. La psichedelia a suon di Sitar. L’incontro con Ravi Shankar. Suoni che giungevano da lontano. “Sgt. Pepper’s”. La crescita musicale ed artistica di un gruppo che stava facendo la storia del rock e che divenne più famoso di Gesù. Fino allo scioglimento dei quattro. Perché quando i componenti iniziarono a pensare di sentirsi “di troppo” e poco uniti l’uno con l’altro, capirono che era giunto il momento di cambiare rotta. George ebbe modo di sperimentare. Finalmente. Di dedicarsi soltanto a ciò che più lo appassionava. Nacquero così piccoli capolavori come “All Things Must Pass”, “Living in the Material World” fino ad arrivare a “Cloud Nine”. Intraprese ancora più seriamente il suo percorso spirituale, che posava le sue fondamenta sulla meditazione. Il documentario ci riporta alla mente anche l’episodio del 1999, quando Michael Abram, un ragazzo affetto da schizofrenia, entrò nella casa di Friar Park con l’intenzione di ucciderlo. George rischiò di fare la fine dell’amico John. Venne accoltellato più volte, ma grazie all’aiuto della moglie Olivia i due riuscirono a salvarsi. Harrison finì i suoi giorni proprio a fianco della compagna Arias e dell’unico figlio, Dhani, dopo un estenuante lotta contro il cancro. Un avvicinamento alla morte vissuto giorno per giorno con intensità. Quasi senza paura. George voleva essere presente in quel momento. Per questo morire per mano di quello psicopatico di Abram gli era sembrata una follia. Una cosa ingiusta e senza senso. Lui voleva avere il tempo di prepararsi per la sua dipartita. Aveva dedicato una vita intera a quell’istante. Perché lui dava l’impressione di aver già compreso molto bene, su questa terra, il senso della vita e quando morì, a detta della moglie Olivia (anche lei vicina alle filosofie orientali) la sua stanza sembrò emanare una luce quasi divina. Immensa.
Dove si trova ora egli avrà ricevuto tutte le risposte che ha sempre cercato. Per le nostre -ormai incapaci e svogliati di porcele da vivi- basterà attendere ancora un po’.
Scheda tecnica:
Un film di Martin Scorsese.
Con Terry Gilliam, George Harrison, Paul McCartney,
Ringo Starr, Jane Birkin…
Titolo originale George Harrison: Living in the Material World.
Documentario, durata 208 min. – USA 2011