Print Friendly and PDF

Caffè Copenhagen

Velkommen! La Danimarca approda a Milano e lo fa con grande stile. A partire dal 16 maggio fino al 25 giugno, la città ospiterà la prima edizione di “Caffè Copenhagen”, il Festival di cultura danese organizzato dalla casa editrice Iperborea, specializzata nella diffusione di opere scandinave. Diverse sono le coincidenze che hanno condotto alla celebrazione della cultura danese, una passione nata nel nostro paese nel 1987 e mantenutasi vivace e attiva più che mai sino ad oggi. Quest’anno infatti coincidono il centenario della morte di Herman Bang e il cinquantenario della morte di Karen Blixen, senza dimenticare il semestre di presidenza danese alla Comunità Europea. Milano, con i suoi tratti cosmopoliti e algidi, non poteva che essere il perfetto punto di incontro nel paese per questa iniziativa.

“Caffè Copenhagen”, però, non è solo letteratura. Al cinema Apollo è stata, infatti, allestita una rassegna cinematografica, che ha l’obiettivo di valorizzare le “nuove” leve del cinema scandinavo oltre che regalare vere e proprie rarità agli spettatori. I film proposti non sono solo delle chicche del passato, come “Affari di Famiglia” di Susanne Bier del 1994, sconosciute alla distribuzione italiana, ma anche novità, come “Submarino” di Thomas Vinterberg, che, purtroppo, sembrano destinate a rimanere un prodotto di nicchia.

La rassegna ha esordito proprio con “Det bli’r I Familien” di Susanne Bier, lunedì 28 maggio e Artslife non poteva mancare.

L’appuntamento è al Cinema Apollo, Galleria De Cristoforis, alle 20 e l’atmosfera appare subito vivace.  E’ un sollievo scoprire che la cultura danese attira molti giovani: per fortuna il pubblico si mostra subito piuttosto variegato, non troppe rughe e molti più jeans. Insomma, il mondo scandinavo attrae le nuove generazioni, ma non disdegna la vecchia guardia. Prima della proiezione, l’organizzazione e lo sponsor hanno offerto un piccolo rinfresco a base di salmone affumicato e deliziosi bicchierini con cocktail di gamberi, il tutto accompagnato da grissini salati e l’immancabile birra Carlsberg. Non male per iniziare la serata.

Una volta in sala, Emilia Lodigiani, di Iperborea, e Luca “Google” Scarlini, ideatore e fondatore del Festival, introducono brevemente la pellicola, valorizzandone i punti focali. Con la sua parlantina meccanica e senza prendere troppo fiato, Scarlini spiega che il boom del cinema danese degli ultimi anni è dovuto ad una scelta strategica e lungimirante dei produttori, che hanno deciso di investire su giovani registi. Il ritmo produttivo non è così elevato, in media escono circa 30 pellicole l’anno dagli studi danesi, ma la scarsa quantità è sicuramente controbilanciata da una qualità elevata.

Solo a posteriori ci si accorge che aver avuto la possibilità di guardare “Det bli’r I Familien” è stata una vera fortuna. Susanne Bier ha conosciuto le luci internazionali della ribalta solo nel 2011, quando il suo “In un mondo migliore”  ha conquistato l’Oscar e il Golden Globe come miglior film straniero. Prima, buio assoluto. Persino le risorse online forniscono qualche vago cenno biografico sulla regista e scarsissime informazioni sulla pellicola. E reperirla sembra addirittura un’impresa ancora più ardua. La proiezione, infatti, è avvenuta in lingua originale sottotitolata, perché non è stato possibile trovare una versione doppiata in italiano.

Eppure in “Affari di famiglia” si scorgono già i tratti tipici dello stile Bier, quelli che le hanno permesso di espugnare il Kodak Theater. La famiglia è il tema che ritorna sempre nei lavori della Bier, è il centro nevralgico da cui si dipana la tragedia, la gioia, l’amore. Jan è un cuoco che vive a Bornholm, una piccola isola dispersa in Danimarca. La sua esistenza eccentrica si scontra spesso con quella ordinaria delle sorelle e dei genitori, ma, nonostante ciò, la verità sulle sue origini è distante anni luce dalla sua quotidianità. Lo investe in pieno solo quando la madre, in punto di morte, lo invita a consultare dei documenti, incluso quello che certifica la sua adozione. Neanche a dirlo, Jan parte alla ricerca dei suoi veri genitori. Con determinazione scova Lilly, la madre attrice da strapazzo, che lo trascina in Portogallo, non senza pochi drammi, dove si presume risieda il padre.

Tragedia greca. Questo è ciò che si insinua non appena il film entra nel vivo. L’intreccio, i personaggi, lo stile, tutto acquisisce le sfumature della tragedia greca, quella della ricerca risoluta delle origini, quella dell’incesto e dei tormentati rapporti con le figure genitoriali, maledizione e benedizione allo stesso tempo delle esistenze della loro prole. La Bier regala tratti classici e ancestrali ad un dramma moderno e lo fa con una cura particolare al colore e alle ambientazioni, aggiungendo una buona dose di pazzia, che diventa il fil rouge della pellicola. La pazzia è femmina, questo sembra voler comunicare “Affari da famiglia”. La madre adottiva prima, quella naturale poi, si scambiano i ruoli: la prima incarna la follia naturale, dovuta alla malattia e agli irrefrenabili sensi di colpa che solo la morte può innescare, la seconda una follia spicciola ma ugualmente tormentata, l’ultimo baluardo della sua vita da artista e l’ottima scusa per giustificare i suoi abbandoni snaturati. E di sicuro la regista non sembra condividere la perla Nietzschiana “Bisogna avere caos dentro di sé per partorire una stella danzante” . Da questo caos, che assume tinte infernali, non nasce nulla di buono. O quasi. Dopo i guai combinati da figure materne fragili, volubili e padri inesistenti e smidollati, i figli ne subiscono sì le conseguenze, ma trovano come ancora di salvezza l’amore, anche se malato e incestuoso. Ed è così che il cerchio si chiude.

Un’opera intensa, straniante e travolgente “Affari di famiglia”, di sicuro specchio di una profondità e di un’introspezione tutta nordica, così sconosciuta ai nostri gusti mediterranei e, perché no, mainstream. Una svolta però è vicina: come confidato da Scarlini prima della proiezione, si dice che la prossima fatica di Susanne Bier sarà, udite udite, una commedia con Pierce Brosnan. C’è da chiedersi se tale scelta rappresenti una sorta di contaminazione d’oltreoceano o se gli introspettivi necessitino di una pausa da sé. Qualche volta. 

Det bli’r i familien

Paese/anno: Svezia 1994

Regia: Susanne Bier

Interpreti:  Philip Zandèn, Ghita Norby, Ernst-Hugo

Durata: 98 min.

Uscita: 7 ottobre 1994

Informazioni:

Iperborea: http://www.iperborea.com/

Anteo Spazio Cinema: http://www.spaziocinema.info/

Commenta con Facebook

leave a reply