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Who is Madame Fisscher?

Benvenuti nel mondo fatato di Madame Fisscher. E non chiedeteci chi sia questa fantomatica Madame perché ancora non lo ha scoperto nessuno. Le sculture di Monsieur Urs (in mostra a Venezia fino al 15 luglio 2012) catapultano in un mondo che non ha bisogno di tante spiegazioni.
Da Palazzo Grassi direttamente nel suo studio di Londra. In una ricostruzione perfetta del suo luogo di lavoro, proprio nell’atrio, di fianco al Balloon Dog di Jeff Koons. Opera che dà il titolo alla mostra, (’99-2000). Entriamo. Intorno il caos, dove però si respira lo spirito di Urs in ogni singolo angolo, in ogni oggetto, su ogni tavolo. Usciamo dal suo studio e la coda di un cane (Keep it going is a private thing, 2010) spunta da una colonna di Palazzo Grassi. Scodinzola. Sembra vero. Potrebbe mettersi a giocare con il cane di Koons da un momento all’altro. Perché qui dentro tutto diventa possibile.
Saliamo le scale. Al primo piano ci accolgono due sculture di uccellini perfettamente uguali appesi al collo con una catena, appoggiati su un masso che penzola dal soffitto (abc, 2007). La leggerezza e l’inquietudine a confronto. La libertà al cappio. Non si vola più. Tutto è statico e stagnante.
Saliamo ancora le sale. In un percorso surreale, le nostre menti perdono ogni contatto con la concretezza. Non c’è bisogno di droga qui. L’effetto trip lo crea Urs stesso. Chissà che non faccia uso di sostanze.. meglio pensare che l’arte sia sempre figlia di una fervida immaginazione.
Iniziamo a vagare per le stanze di questa mostra completamente avvolti da un senso di estraniamento dalla realtà. Risucchiati in un vortice di sensazioni mai scontate. Lo stupore regna sovrano. Non ci si riesce a chiedere se si abbia a che fare oppure no con quella tanto millantata “grande arte” che tutti sembrano disperatamente cercare da un po’ di tempo a questa parte. Proseguiamo e ci imbattiamo in cinque orifizi di un uomo immaginario appesi nuovamente al soffitto. Per sentire, gustare, guardare, defecare, scopare. La condizione della vita umana fatta a brandelli. Vivisezionata, ma ancora più semplice e chiara. Niente di più.
E poi “Clouds”, del 2002, nuvole rosa di polistirolo sospese nell’aria. Un paradiso lisergico più allettante di quello che cercano di prometterci una volta morti.

Immancabili le mitiche sculture di cera, (Untitled, 2012) ormai segno distintivo dell’artista, con numerose candele che fanno sciogliere i due protagonisti, in questo caso lo stesso Fischer e l’amico Stingel. Al primo la testa si è già sciolta, scivolando in avanti su un tavolo posto dinnanzi all’artista. Al secondo la testa è precipitata dietro. Frantumata e inutile. Opere che rappresentano in pieno i temi cari di Urs, tra cui lo scorrere inesorabile del tempo e la trasformazione.
Sensazione alla “sogno o son desto” dinnanzi a “A thing called Gearbox (2004)”, una sedia con appeso un palloncino non molto leggero: un cannone da guerra. Qui scompare ogni senso logico. Il surreale impera, così come in “Untitled” 2010, dove la mano dell’artista spunta dal muro in una posa classica, sostenendo un uovo in estremo e magico equilibro con un solo dito. Ecco, la magia. Urs è una sorta di illusionista che, per esempio, con l’opera “The Lock” (2007) ci ha fatto tornare bambini per un attimo, prima di riuscire a capire che la torta che ci siamo trovati di fronte, sospesa e fluttuante nel vuoto tra una valigia attaccata al muro e un sedile della metropolitana perfettamente ricostruito, riusciva a “volare” e girare grazie a dei magneti.
Nonostante un’epoca in cui il corpo -spesso nudo- della donna viene messo sotto l’occhio indiscreto di tutti in continuazione, la ricostruzione dell’atelier “Necrophnoia” realizzato con Georg Herold (2011) con una modella in carne ossa dell’Accademia delle Belle Arti, è stato capace di attuare nello spettatore un certo senso di imbarazzo misto a curiosità. Siamo ancora capaci di “scandalizzarci”, sentendoci a disagio nel profanare l’intimità di una una ragazza, completamente svestita, che prende appunti sdraiata su un divano. Così come nell’entrare nello spogliatoio di queste modelle. Nonostante la privacy sembra sia andata a farsi benedire con l’avvento dei social network.
Divertente l’opera “Nach Jugendstiel kam Roccoko” (2006) che ha sortito in noi proprio l’effetto sperato dall’artista, ridicolizzandoci nella rincorsa spasmodica dietro ad un pacchetto di sigarette accartocciato che appeso ad un filo girava e veniva trascinato intorno alla stanza sul pavimento. Era anche della marca giusta. Con i tempi che corrono e visto il costo delle sigarette, fosse stato pieno lo avremmo raccolto volentieri.

“Madame Fisscher” è la mostra più importante sinora realizzata in Europa. La prima che presenta una panoramica così completa del lavoro di questo artista.
Urs Ficher è un personaggio particolare che con l’ironia è in grado di far riflettere su temi importanti della nostra esistenza e sulla nostra condizione terrena e presente.
Siamo usciti con un bel sorriso stampato sulle labbra, come se fossimo stati in un grande Luna Park ricco di attrazioni.
Un momento di commozione dinnanzi all’arte -quella definita vera- lo abbiamo ritrovato soltanto alla collezione Peggy Gugghenaim, dinnanzi (nuovamente) a “Eyes in the Heat” di Jackson Pollock. Nulla da togliere all’arte di Urs, anche se di lacrime, davanti alle sue opere, non credo ne scorreranno mai. Ma la vita è fatta anche di ilarità. Per fortuna.

Madame Fisscher
Palazzo Grassi
15 aprile – 15 luglio 2012

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