In un certo senso dalla fine del Settecento e per gran parte del secolo successivo a Venezia si assiste a una sorta di “fuga” analoga, ma …di talenti artistici.
Tra i pittori veneziani quello di Cosroe Dusi (1808 – 1859), la cui vicenda biografica si snoda nella prima metà del XIX secolo tra Venezia, il Tirolo, Monaco e San Pietroburgo, e a cui ora viene dedicata una superba mostra monografica curata da Nico Stringa a Maurizio Mottin, è forse il caso più eclatante.
Con lo sfaldarsi della stagione napoleonica la vita a Venezia diventa “internazionale” in forme molto diverse dal cosmopolitismo che aveva improntato i secoli precedenti. Francese, austriaca, poi di nuovo francese e ancora austriaca, la città, non più “dominante”, fin dagli ultimi anni della Repubblica vive una vera diaspora intellettuale-artistica. Giambattista Tiepolo muore a Madrid nel 1770, Bellotto a Varsavia, Casanova a Dux in Boemia, Goldoni a Parigi, Canaletto torna a Venezia dopo aver trascorso a Londra quasi vent’anni e Canova rientra in laguna, per morirvi, dopo trent’anni di permanenza romana. La stessa positiva riforma dell’Accademia di Belle Arti – trasformata da Napoleone nel 1807 in vera e propria istituzione pubblica, dotata di mezzi e strutture – non riesce a creare un contesto adeguato al numero di artisti, pur non elevato, che esce dalle sue aule e, a differenza di quanto avviene a Milano, sono sempre di più i pittori, gli scultori e gli architetti che cercano fortuna altrove: pensiamo ad Hayez e al suo trasferimento nel capoluogo lombardo e pensiamo al “vagabondare irrequieto di Ippolito Caffi”.
Dusi fu uno di questi transfughi e gran parte delle sue opere le realizzò fuori Venezia e fuori dall’Italia, tanto che, dopo la sua morte, inevitabilmente venne dimenticato dai più, mentre la difficoltà di reperire suoi dipinti e disegni, sparsi in luoghi molto lontani se non inaccessibili, ha reso finora impossibile una valutazione complessiva della sua attività.
A tutto ciò pone rimedio dal 7 luglio fino al 14 ottobre 2012 un inedito evento espositivo – promosso dal Comune di Marostica e dalla Regione del Veneto, con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Provincia di Vicenza, il contributo quale main sponsor dell’Azienda Agricola Casaria e l’organizzazione di Villaggio Globale International – che riporta luce sul Dusi e sul ruolo di primo piano che egli ebbe nel panorama artistico dell’Ottocento veneto e internazionale.
Un evento che è stato possibile grazie alla tenace e ferma volontà dei discendenti del Dusi: lo stesso Maurizio Mottin che per anni ha svolto indagini e ricerche, rinvenendo numerose opere e documenti inediti sull’artista e Toti, Pupa e Laura Padovan che hanno sostenuto fortemente l’evento.
Dusi del resto, pittore romantico e grande colorista cui è stata riconosciuta finezza ed energia nel disegno, precisione nei dettagli di ambientazione storica, varietà ed equilibrio nelle composizioni e grande naturalezza nell’espressione degli affetti, colpisce anche per la fascinosa personalità, che emerge dalla sua vita avventurosa, dai legami affettivi e dalle tante amicizie, dalle curiosità culturali e dalle passioni che affiorano nei racconti del prezioso diario di viaggio (ora al centro perfino di un romanzo giallo!) ed anche dalla capacità dell’artista di cogliere i lati belli e positivi di una società e di una terra diversa dalla sua, come quella russa, ove trascorse quasi vent’anni, divenendo accademico e pittore di corte per lo Zar Nicola I.
Insomma una vera sorpresa.
Così, a breve distanza dal 150° anniversario della morte, Marostica, dove Dusi volle trascorrere con la famiglia gli ultimi giorni di vita e ove è sepolto, propone la prima mostra monografica sull’artista, dando modo d’indagare la figura e l’opera del talentuoso pittore: autore di magnifici ritratti, di tavole d’altare, di opere di genere storico e mitologico, ma anche di litografie, di vignette e dei sipari di alcuni tra i più famosi teatri d’Italia e Russia come La Fenice di Venezia e il Bolshoi di Mosca.
Il percorso espositivo accuratamente studiato dai curatori Nico Stringa e Maurizio Mottin, testimonia la produzione artistica del Dusi proponendo cronologicamente una ricca selezione di oltre 200 opere di cui moltissime inedite: 40 dipinti – anche di grandi dimensioni – e oltre 150 tra disegni, acquarelli, litografie e documenti originali recuperati tra chiese, archivi collezioni private e musei. A questo proposito di eccezionale importanza risulta la partecipazione del Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo, che ha voluto rendere omaggio a questo artista assicurando il prestito di ben 12 disegni inediti e con un interessante saggio di Natalia Demina pubblicato nel catalogo della mostra: catalogo edito da Skira e curato da Nico Stringa, con la collaborazione scientifica di Natalia Demina, Mikhail Dedinkin e Maurizio Mottin, che diventerà un punto di riferimento imprescindibile per gli studi futuri, includendo anche un imponente regesto con foto minimali di tutte e 344 opere note di Cosroe.
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Cosroe Dusi aveva dimostrato fin da bambino una forte e spiccata predilezione per l’arte e altrettanta propensione al disegno da convincere i genitori, che faticavano a campare, a iscriverlo all’Accademia di Belle Arti Venezia. Siamo in un momento di transizione, dal gusto neoclassico alla svolta romantica, ma a Venezia, come ricorda Stringa, nonostante l’impegno del Presidente dell’Accademia Leopoldo Cicognara e l’esempio di Canova, il richiamo al classico fatica ad attecchire e il “romanticismo” si presenta altrettanto confuso.
Dusi si forma con Teodoro Mattini che insegna un neoclassicismo blando. Al suo fianco ha Michelangelo Grigoletti – di alcuni anni più vecchio di lui – e davanti agli occhi gli esempi del bolognese Ludovico Lipparini, che si sta affermando insieme a Politi e Demin, e del chioggioto Natale Schiavon che troverà anch’egli fortuna all’estero ai margini dell’impero austro-ungarico.
L’artista si afferma tra i migliori studenti, ottenendo borse di studio e anche una residenza da parte dell’Accademia.
All’inizio del quarto decennio, Dusi può fregiarsi del titolo di “pittore di storia”, riconosciutogli dall’Accademia che gli assegna il titolo di socio, il più ambito da parte dei pittori, perché vi è sottintesa la formazione accademica più ampia e la disponibilità dell’artista ad affrontare le tematiche complesse relative a temi e soggetti ispirati alle fonti letterarie illustri. Dusi partecipa alle mostre d’agosto di Venezia e quindi alle mostre di Brera, tra la metà degli anni Venti e i primi anni Trenta, con un repertorio diversificato, volto a dimostrare tutte le sue possibilità a un pubblico, si potrebbe dire, indeterminato e ancora indeciso, considerato che anche i maggiori collezionisti del tempo (i Papadopoli, i Giacomelli, i Parafava ecc.) appaino disorientati e non sempre disposti ad accettare le innovazioni e le nuove proposte.
<< Tra le prime opere – scrive Nico Stringa nel suo saggio in catalogo – spicca un dipinto davvero eccezionale, esposto ora dopo quasi due secoli, l’Alcibiade, nel 1824 (l’opera è firmata e datata) all’età di diciotto anni il principiante pittore si esprime con tutta forza richiamandosi forse al San Cristoforo del Pordenone (Venezia, chiesa di San Rocco), in un convincente esercizio di “traduzione” in linguaggio neoclassico, degno del miglior Hayez. La figura maschile possente, isolata, sbilanciata in avanti, eccepita dal contesto, appare di un’insolita forza plastica e ci mostra di cosa fosse capace il giovane artista in quel momento. >>
Ma Dusi mira a mostrarsi come pittore “completo” tanto che accanto a opere a tema religioso l’artista propone ed espone a Venezia nel 1829 dipinti “licenziosi” come La ninfa Salmace che tenta di sedurre l’innocente Ermafrodito, opera che, “prima delle analoghe prove di Hayez e sulla scorta di un affresco veneziano di Demin, vira la trama classica in chiave romantica, sfiorando accenti di inedito naturalismo”. Un dipinto forse arrischiato per l’epoca, cui fa da contraltare, due anni più tardi, Francesca da Rimini presentata all’Esposizione di Brera nel 1831 e prestata nell’occasione dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Rimini.
Notevolissimo l’impegno di Dusi nella ritrattistica fin dagli esordi della sua attività: qui più che altrove si riscontra la vena romantica che pervade tanta pittura dusiana, dall’autoritratto giovanile fino agli esiti estremi del periodo russo, in particolare nei ritratti femminili venati di profondo senso di attesa.
La mostra presenta in tal senso opere di grande qualità che attestano una tensione ulteriore rispetto al semplice piano iconografico. Straordinario per singolarità di impaginazione e scelta iconografica è il giovanile Il caffè – in realtà autoritratto (il primo personaggio a destra è lui ) con la moglie Antonia Ferrari e la famiglia di lei al completo – dove il verde delle tazze di caffè e della caffettiera “s’intrufola brioso e arguto tra la sostanziale monocromia del dipinto”.
La ritrattistica viene affrontata dal Dusi anche nell’ambito della grafica, in cui il pittore mostra una grandissima forza espressiva. Le incisioni esposte danno il segno della raffinatezza del Dusi e nel contempo documentano i rapporti che legano l’artista a personalità come Cicognara, Pindemonte, Defendi ecc., tra gli intellettuali più in vista dell’epoca. Oltre infatti a realizzare le vignette per il giornale Il Gondoliere (è suo per esempio il ritratto di Cicognara tratto da un dipinto di Lipparini e pubblicato a illustrazione della necrologia del 15 marzo 1834) il giovane Dusi lavora presso lo stabilimento litografico Galvani, regalandoci figure di genere e appunto ritratti.
Ma anche gli studi preparatori, i disegni, gli acquarelli – esposti ora per la prima volta – mostrano la costante qualità del lavoro e della ricerca di Cosroe.
Una produzione meno nota è quella relativa al paesaggio e alla natura morta: di grande suggestione per esempio l’olio su tela Paesaggio della Finlandia, o il Poderetto di Marostica ma anche il disegno dell’Ermitage con un suggestiva veduta delle montagne del Cadore; così come singolare è la sua attività sul versante decorativo-illustrativo con i sipari realizzati per alcuni dei più importanti teatri italiani e russi.
In mostra, per la prima volta, due studi con l’Apoteosi della Fenice e con Ebe ministra l’Ambrosia per il sipario della Fenice, per realizzare il quale – in vista dell’inaugurazione del 1837, a seguito dell’incendio del Teatro l’anno prima – Dusi rientra velocemente da Monaco. Ma si possono vedere anche il disegno acquarello ritrovato all’Ermitage e prestato per l’occasione del sipario (perduto) del Teatro Nobile di Udine (Michelangelo che presenta il giovane Giovanni da Udine al Duca Gonzaga) e gli studi per il sipario del Teatro Bolshoi di Mosca. Anche qui il sipario di Dusi era stato sostituito negli anni da altri ma in occasione del colossale restauro del teatro del 2011 è stato scelto proprio il disegno del veneziano per la sua ricostruzione filologica.
Poi ci sono i soggetti storici tipici dell’Ottocento – da segnalare Socrate che rimprovera Alcibiade fra le etere dal Museo Rivoltella di Trieste, esposto all’Accademia in occasione della visita Venezia di Ferdinando I d’Austria, nel 1838 – e i soggetti sacri o le pale d’altare in cui egli si richiama alla grande tradizione veneta, commissionati a Venezia, Treviso, in Dalmazia, Tirolo e ancora a Monaco di Baviera prima di trasferirsi in Russia.
A Marostica arriveranno eccezionalmente un non convenzionale San Sebastiano dalla parrocchiale di Zero Branco e la pala con i Santi Erardo e Gottardo che operano prodigi dalla Chiesa di Santa Maria del Duomo di Bressanone ma anche l’intensa Mater Dolorosa e l’Ecce Homo dal Museo Diocesano di Bressanone.
Sarà però a San Pietroburgo che Dusi – accanto a ritratti e dipinti di storia – riceverà soprattutto importanti commissioni di soggetto sacro.
Giunto nel 1840 su invito del futuro Zar Nicola I, che a Venezia aveva visitato il suo studio e acquistato alcuni bozzetti, Cosroe, come racconta nel suo bellissimo diario esposto anch’esso in mostra, frequenta la società aristocratica e la corte russa e viene messo alla prova anche nella realizzazione di icone per la cattedrale di Sant’Isacco.
Dello spirito, dei costumi e dell’anima russa ci sono significative testimonianze nel percorso espositivo: ritratti femminili, disegni di costumi militari russi, ma soprattutto due opere che ci piace segnalare: l’Ingresso di Pojarsky e Minin al Cremino di Mosca un olio su tela di collezione privata propedeutico al sipario del Teatro di Mosca e Il Suonatore di balalaica identificato con uno dei suoi migliori dipinti e forse il più rappresentativo delle diverse vite del Dusi.
I suoi contatti con Venezia, ove tornò tre volte, continuarono anche durante la lunghissima lontananza; le missive con la moglie e i figli, che per alcuni periodi lo raggiunsero a San Pietroburgo, erano costanti e ricche d’amore, ma la speranza di trovare una sistemazione definitiva per il rientro in laguna svaniva ogni volta. L’ultima delusione fu tra il 1856 e il 1858 per la nomina della cattedra di pittura all’Accademia, attribuita d’arbitrio a un pittore d’origine austriaca.
Erano i chiari segnali di un’epoca diversa da quella che in cui, ragazzo, si era iscritto all’Accademia, pieno di speranze e di illusioni.
Tornato in Russia, dopo alcuni mesi di grave malattia e nonostante la difficoltà del viaggio, rientra a Marostica, il paese di sua moglie, dove nel frattempo aveva comprato caso con un podere, e lì si spegne il 9 ottobre del 1859.