In questa mostra, organizzata dalla Galleria Colossi, Thomas Bee, artista di origini newyorkesi, ci stupirà con l’energia e la profondità di significato della sua arte eclettica e spiazzante. Bee giunge attraverso medium diversi e contaminazioni provenienti dalla fotografia alla grafica, dal design alla scenografia teatrale, ad una pluralità eterogenea di espressioni innovative che non vengono mai imprigionate in un unico linguaggio stilistico, avvertito come opprimente; la sua ricerca artistica è fatta di perenne investigazione, di una ricerca inquieta che lo porta a seguire l’impulso di “confluire tutti gli aspetti della sua esistenza in un’unica cassa di risonanza”, come sostiene l’artista, ad abbandonarsi all’uso istintivo di tecniche diverse, sviluppando un rapporto di intima confidenza con i materiali che utilizza: dalla pittura su pluriball alle paillettes su tela, dai chiodini colorati per bambini, alle pillole fino ad arrivare ai biglietti dei gratta e sosta.
Se, agli inizi della sua produzione, i suoi personaggi venivano ritratti attraverso il colore con degli effetti che riproducevano quelli tipici delle fotografie istantanee utilizzando tecniche vicino all’iporealismo pop, ora, attraverso le cannucce da cocktail, l’artista crea un caleidoscopio pulsante di forme e colori, con una gamma cromatica acida e psichedelica dove una trama tridimensionale vicina al pixelismo è resa con una precisione millimetrica. Queste forme, distribuite in modo illogico, giocano sull’ambiguità e sullo spaesamento e rappresentano la proliferazione degli elementi sinuosi che dipinge sulle fotografie.
La veemenza con cui l’artista compone i volti di personaggi dello showbiz, disponendo minuziosamente i suoi chiodini colorati o dipingendoli sul pluriball, sconfina in una ripetizione allucinata di piccoli elementi accostati con un’energia che Bee assimila alla fisica. L’oggetto artistico è per lui una composizione di materiali sottoposti all’applicazione di energie fisiche e mentali e il dispendio di energie che richiede la creazione artistica ha la peculiarità di non crearsi o distruggersi ma solo di trasformarsi, proprio come avviene con la materia nei cicli biologici. Questa accumulazione eccessiva, simbolo di una frammentazione schizofrenica personale e collettiva, crea dei cortocircuiti di senso nelle sue immagini apparentemente innocue, dove i parametri cognitivi con cui tutti noi interpretiamo la realtà, “forma, profondità di segno, spettro visivo e contenuto iconico, sono sottoposti ad una continua, impercettibile, inarrestabile trasformazione in altri stati” (T. Bee), nel tentativo di recuperare il tempo biologico dell’uomo contemporaneo, investito dal mondo dei mass media da troppi stimoli sensoriali e ambizioni.
Grazie alla costante sperimentazione sui materiali Bee infonde energia ai suoi lavori; nella serie Handle with care l’artista svuota le immagini di icone del mondo dello spettacolo del loro significato trasformandoli in vuoti contenitori che si prestano a molteplici letture e inducono ad una riflessione profonda sui limiti della nostra percezione compromessa dal giudizio e dalla manipolazione della realtà operata dalla comunicazione di massa attraverso le immagini e i loghi delle multinazionali. Dietro le scintillanti paillettes e le colorate pillole si scorge un gioco di parole ai danni della nota multinazionale dei giocattoli, “L’EGO”, una prospettiva contraddittoria che svela quanto sia egocentrico il punto di vista degli uomini, schiacciati da un’attenzione spasmodica ai modi dell’apparire che allontana da una coscienza stabile di sé.
Avverso ad un modus operandi statico, Bee rielabora in un linguaggio contemporaneo il concetto di ready-made duchampiano: appropriandosi delle tesserine del parcheggio gratta e sosta, le accosta come in un collage o in un assemblages cubisti e futuristi e, grattandone la superficie, fa emergere dei soggetti semplici, come bambine che giocano al parco, creando delle escoriazioni che ricordano il mondo naturale con il dinamismo delle sue continue trasformazioni. Incastrate come tanti frammenti che indicano le nostre soste momentanee, come icone di momenti del nostro vissuto, le tessere stimolano i nostri processi cognitivi che rinunciano a concentrarsi su una parte per allargarsi al complesso dell’immagine, creando “una sorta di rete invisibile tra tutte le attività quotidiane, per dare un senso profondo ad ogni gesto”, come afferma lo stesso artista.
Galleria Colossi Arte Contemporanea
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