La biografia di Mario Schifano sembra un film. Si legge tutta d’un fiato e si desidera soltanto una fine diversa. La storia costruita cucendo le testimonianze delle persone che l’hanno conosciuto inizia in una Roma mitica degli anni Sessanta. La quantità di artisti che hanno vissuto nella capitale nello stesso momento è impressionante se pensiamo solo a Ungaretti, De Chirico, Kounellis , Pasolini, Burri, Fellini, Angeli, Novelli, Parise, Visconti, Penna, Festa, Arbasino, Rossellini, Guttuso, Alighiero Boetti, Carmelo Bene, Mastroianni, Pascali, Moravia, Antonioni, Cy Twombly e quanti altri ancora. Sì, fa un certo effetto. Che scontri tra generazioni! Schifano si muove in quel clima con l’agilità di un “puma”, diventa un mito e conosce subito un successo quasi popolare. La storia è complessa, molti alti e molti bassi, ma quello che emerge subito è la figura di uno dei più grandi artisti italiani che non si può prendere a pezzi. La sua natura inquieta lo porta a fare scelte che possono sembrare degli errori strategici clamorosi. Rifiutare un contratto con la Sonnabend e accettare a distanza di anni un contratto con Telemarket fa capire la complessità del personaggio. La sua grandezza sta in questa incoerenza scomoda, ma che rivela quanto lui fosse cosciente dell’energia profonda del suo lavoro. Era come se la sua potenza creativa fosse più forte di tutto questo, dei falsi e della confusione. Certo, ha pagato un prezzo che ancora oggi paga, e noi, per poter veder una sua mostra alla Tate Modern a Londra, forse dovremo aspettare ancora un po’. Questo libro ci fa capire che alle spalle di un lavoro veloce c’era una preparazione meticolosa. Miliardi di immagini da cui scegliere quella giusta, tanto da fargli dire a Monica “Bendami gli occhi, bendami pure, tanto i quadri ce li ho tutti in testa”. Così uno si spiega questo ritiro nello studio di via delle Mantellate circondato da televisori accesi, a non voler mai perdere un istante. Il suo coraggio di scappar via e cercare sempre qualcosa di nuovo. I tentativi col cinema, l’uso del computer come supporto alle tele e anche dove si può pensare ci sia stata una debolezza sta invece la sua forza. Leggendo il racconto della sua vita si riflette su un pezzo della storia dell’Italia recente e ci si affeziona totalmente. Avremmo voluto continuasse. E sentire raccontare che era andato a Modena da Mazzoli, un’altra volta, per preparare una di quelle mostre indimenticabili e che spendesse tutti i soldi guadagnati per comprare decine di macchine fotografiche per poi regalarle, e che, il 26 gennaio 1998, dopo l’infarto, venne portato all’ospedale Santo Spirito in autoambulanza, prende un po’ alla pancia. Aveva appena detto a Marcello : “A Mà, ma ti pare, uno un giorno c’è e un altro giorno non c’è più “.
MARIO SCHIFANO UNA BIOGRAFIA di Luca Ronchi
( JOHAN & LEVI editore, 432 pag., 29 euro)