Ritrovarsi di fronte a un foglio bianco e non sapere da che parte cominciare per recensire questa mostra. Perché parlare del lavoro di Anselm Kiefer è cosa ardua da sempre, che ha mosso fior di filosofi e non solo a scrivere di lui. Un vero artista, uno degli ultimi intellettuali rimasti, esemplare raro e in via di estinzione da difendere come patrimonio dell’umanità. Le sue opere, fin dagli esordi, sono intrise di riferimenti storici, filosofici, spirituali. Il suo lavoro è partito dal neo-espressionismo per giungere ad un linguaggio contemporaneo tutto suo. Originale e coerente. Onesto e ammirevole.
Ora Kiefer torna a Milano alla casa-base Lia Rumma per una mostra unica dal titolo “La mezza luna fertile”, inaugurata Sabato 15 Settembre 2012, addirittura alla presenza dell’artista. Un vero onore per i numerosi presenti in Galleria. Un pubblico differente dal solito circuito delle inaugurazioni. Un pubblico attento e interessato alle opere più che all’aperitivo inaugurale. Un pubblico semplicemente incantato dinnanzi alla grandezza, alla potenza e alla magnificenza delle sue opere. Il lavoro di Kiefer permette di prendere coscienza del passato grazie al confronto con la storia. Perché l’arte non può mai lasciare fuori la realtà che la circonda.
Con la “Mezzaluna fertile” l’artista ha deciso di riportarci dove tutto ebbe origine, proprio in quel lembo di terra dove la civiltà ebbe inizio, prima che tutto prendesse una forma malata e perversa. Prima che l’uomo contemporaneo perdesse ogni suo ideale e ragion d’essere. Con le opere “The shape of ancient thought”, 2012, Kiefer ci pone dinnanzi alle rovine di un tempo perduto che ci permettono di prendere una maggior consapevolezza di noi e del tutto proprio grazie al confronto con quello che è stato e che non sarà più. Immagini fotografiche di templi greci e indiani che si confondono sotto gli effetti dell’azione chimica con il processo dell’elettrolisi. Immagini gigantesche di tre metri per quattro, che sembrano riportare colui che guarda a contatto con qualcosa di lontano eppure di conosciuto. Paesaggi fantasma in bianco e nero consumati dal tempo, ma che la memoria non sembra aver scalfito. Dimenticare è da sempre quasi impossibile ma il passaggio dell’uomo su questa terra è per fortuna ben visibile in giro per il mondo proprio per impedirci di trascurare l’antico e il nostro patrimonio culturale.
Eppure Kiefer sembra essere ben cosciente del fatto che il mondo stia andando da un’altra parte. Dalla parte sbagliata. Il suo immaginario è sempre apocalittico, pessimistico, perché lui sembra avere capito benissimo quanto l’uomo non sia riuscito a fare tesoro dei suoi errori e delle sue glorie. Come se non ci fosse stato passato. Come se, per la maggior parte degli individui, tutto ciò che di buono era riuscito a fare nei secoli precedenti, in ambito culturale, artistico, storico, non avesse più vera rilevanza. Tutto soffiato via. Come un granello di sabbia sollevato dal vento. Ecco la necessità che Kiefer ci pone di fronte: distruggere per ricreare, per ridare vita, forse per riportare un senso al tutto. Dalla creazione alla devastazione. Perché l’uomo moderno ha deluso ogni aspettativa, capace solo di rovinare e non di ridare nuova linfa ad ogni aspetto della sua esistenza, già così tanto precaria e a tratti apparentemente inutile. Il confronto tra il bene e il male -argomento che spesso compare nell’opera di Kiefer- è prerogativa che viene semplicemente straziata dall’incapacità dell’uomo di cogliere anche solo minimamente la differenza tra le due cose, indipendentemente dal credo religioso.
A padroneggiare in mezzo alla sala d’ingresso della galleria anche l’opera “Bavel Balal Mabul”, sempre del 2012, circondata da quegli antichi templi immortalati senza più colore. Una vecchia macchina tipografca dalla quale fuoriescono lingue di piombo che si diramano per tutto lo spazio circostante (attenti a non calpestarle) con immagini di torri e di costruzioni impresse in quelle strisce inquietanti che sembrano dei tentacoli pronti ad avvinghiarci. Un richiamo alla Torre di Babele del Libro della Genesi. E’ il caos, la dispersione di ogni punto di riferimento, tra la confusione delle lingue e il diluvio. Un monito, in realtà, per cercare di iniziare a comunicare uno con l’altro, facendo tesoro delle differenze.
Al primo piano della bellissima galleria Lia Rumma, invece, un vero ed imponente capolavoro. Un’opera datata 2009 dal titolo “Der fruchtbare Halbmond”, quella che dà il titolo alla mostra. Materia allo stato puro che sembra essere stata appena depositata per dare vita ad un altro tempio abbandonato. Acrilico, olio, gommalacca e sabbia su tela. Un quadro immenso di più di quattro metri per otto che sembrava risucchiare gli sguardi delle persone più che ammaliarli. L’occhio rivolto verso l’opera e non per vedere chi era presente all’inaugurazione e con che abiti.
E’ la volta del secondo piano e dell’opera “Fulcanelli: il mistero delle cattedrali”, sempre datata 2012, olio, acrilico, pastello, acciaio, piombo e intonaco di gesso. Una montagna come forza spirituale che svetta in uno scenario tenebroso con appeso un bilanciere e una pietra. Il quadro questa volta si ispira e celebra la sfuggente figura di Fulcanelli, autore nel 1926 di uno testi chiave dell’interpretazione della Grande Opera. Presenti in questo piano anche dei libri fotografici di Anselm Kiefer sempre datati 2012, con immagini di ruderi e templi ormai distrutti che si ergono da una terra arida e quasi dimenticata, culla della conoscenza e tesoro inestimabile dei tempi d’oro di un uomo che aveva ancora tutte le carte in regola per essere chiamato con questo termine. Uomo.
E’ tempo per un aperitivo in terrazza con la crème de la crème di Milano. La mostra è finita. Tra un collezionista e un altro -forse- tra un viso famoso e una ragazza vestita all’ultima moda. Anselm Kiefer in persona arriva sul tardi, come è giusto che sia. Ci verrebbe voglia di inchinarci dinnanzi a cotanta saggezza, eppure riusciamo a fargli soltanto qualche foto e ad avvicinarci per guardarlo negli occhi, anche se soltanto per un istante. Emozionati come raramente accade. Ma subito lo conducono altrove lontano da dei semplici giornalisti nei panni di ammiratori allo sbaraglio. Un maestro altero ma disponibile ad un sorriso e a concedere un grazie al suo interlocutore che si complimenta con lui per il suo lavoro. Lo lasciamo andare. Fotografato e inseguito come una star. Una vera star che per una volta merita sul serio di essere acclamata, idolatrata. Perché per una volta non si tratta di un concorrente di Amici o del Grande Fratello, ma di qualcuno che l’impronta nel mondo l’ha lasciata e la lascerà eccome, forse riuscendo anche a cambiarlo e a migliorarlo un pò questo mondo, invitandoci a una riflessione profonda. Sempre.
Un altro giro di fronte a queste opere è d’obbligo, non basta un breve passaggio davanti a questi lavori così vivi e materici, dove un particolare nuovo sembra sgorgare a ogni ulteriore attenta occhiata. Il consiglio è di recarsi alla Lia Rumma da soli, o con il compagno giusto, magari durante la settimana, con poca gente, per riuscire ad entrare in contatto con i lavori di un uomo che sembra riportare l’individuo non solo in contatto con la storia, con la filosofia, con il proprio io più profondo, ma anche con il cosmo. Perché ad oggi ci ritroviamo a camminare in una terra sempre più arida, dove non sembra più esserci nulla di fertile e vitale. Kiefer docet.
Scheda tecnica:
ANSELM KIEFER
Der fruchtbare Halbmond / La Mezzaluna fertile
inaugurazione: sabato 15 settembre 2012, ore 17.00 – 20.00
orari galleria: martedì- sabato ore 11.00 – 13.30 / 14.30 – 19.00
Via Stilicone, 19
Tel.+39.02.29000101
Fax:+39.02.36511702
info@liarumma.it
orari galleria:
lunedì-venerdì 10:00-13:30/14.30-19:30
Sabato su appuntamento
6 Commenti
Esattamente Cristiana. Ho provato commozione davanti a quel maestro, quell’artista, soprattutto conoscendo il suo lavoro e avendo avuto la possibilità di vederlo lì in persona. Io ho solo 28 anni. Della mostra di cui parla Frangi del ’97 ho avuto la possibilità di sfogliare solo quel magnifico catalogo. Di mostre così non se ne fanno proprio più, è inutile. Anche a me non hanno entusiasmato particolarmente i suoi lavori al piano terra come “The shape of ancient thought” o la sculura “Bavel Balal Mabul” ma appena salita ai piani superiori mi sono emozionata davanti a quei dipinti che non hanno molto da invidiare ai suoi vecchi lavori. Kiefer è ripetitivo sotto quell’aspetto perchè è il suo stile, il suo stampo inconfondibile. Non credo che sia materia inutile. E anche i lavori che ho apprezzato meno li ho osservati bene. Sono andata a indagare cercando di guardare oltre, apprezzando comunque la sua ricerca e la sua voglia (mai affievolita) di voler esprimere concetti profondi facendo riflettere e in una maniera mai semplice. Ci sono pochi artisti viventi che veramente amo, forse quasi nessuno e non ho avuto modo di vedere molte mostre negli anni passati perchè ero ancora troppo piccola, ma ringrazio di essere in grado di emozionarmi e di non aver perduto quella capacità di incantarmi e spero tanto che non scomparirà mai in me. Crescendo ci si disillude, si guarda tutto in maniera più critica e fredda. Si diventa più cinici, il che non è sbagliato perché ciò è dovuto anche al fatto che si acquisisce maggiore consapevolezza, si imparano sempre più cose, ma la verità è che ha ragione Cristiana , è difficile ridimensionare uno di quegli artisti che hanno dato così tanto all’arte e non solo, all’umanità intera. E’ giusto pretendere il massimo, ma neanche farsi cadere un mito solo perché da un pò di tempo non abbiamo più a che fare con il Kiefer di anni fa. La verità? Kiefer sarebbe dovuto morire per essere ricordato come un’icona, come spesso accade. E invece no, ringrazio che sia ancora vivo e che possa ancora produrre opere come quella della Mezza Luna fertile che è soltanto del 2009 e di avere avuto la possibilità di incontrarlo. E spero che appena morirà entrerà a far parte anche lui dei miti dell’arte. Quelli sì, davvero intoccabili. Perché anche Egon Schiele o Francis Bacon (altri miei artisti preferiti) se fossero vissuti così a lungo magari avrebbe fatto dei lavori minori rispetto ai loro inizi. Lunga vita a Kiefer 🙂
Dejanira Bada
cara Dejanira il mio non voleva essere nè una critica al tuo appassionato resoconto nè un commento cinico e non penso propio che crescendo ci si disillude anzi io mi illudo ancora spessissimo. Auguro vita eterna ad Anselm Kiefer. Ma se permetti troppo spesso infarcisce il suo lavoro con delle affermazioni che rivelano una prosopopea pedante. Le trovo retoriche. Non ne sento la necessità se non rivelare una debolezza. ma chissenefrega se alla fine del mondo l’arte continuerà a esistere ma dai….Ti confesso che anche la mostra della primavera scorsa alla nuova sede della White Cube mi è sembrata eccessivamente muscolare. Vorrei che sia chiaro che stiamo parlando di uno dei più grandi artisti viventi. Comunque Francis Bacon è morto nel 1992 e di anni ne aveva ottantadue! un caro saluto Frangi
la dissonanza su Bacon l’avevo notata anch’io..ihihih… ma quando l’orchestra suona ci sta una piccola stecca… bella discussione. a questo serve un Blog
Sì è vero, Bacon l’ho messo solo perché è uno dei miei preferiti e mi è venuto in mente dopo che lui è morto vecchio 😉 ero presa dall’impeto. E mica l’ho presa come critica al mio resoconto il tuo commento! Riguardo quello avresti potuto dire qualunque cosa, si tratta del lavoro di un artista che visto da occhi di persone diverse può essere letto e interpretato in maniera differente ovviamente. Forse l’età lo ha fatto diventare un pò retorico, vero. Ma lui è fatto così e magari si è sentito di aggiungere frasi ad un lavoro che lui stesso non ha sentito particolarmente riuscito..cji lo sa! E ha ragione Paolo, il bello del blog è proprio questo, il potersi confrontare, riscontare i pareri di tutti noi, dei lettori ecc. EVVIVA le “discussioni” e il confronto e il rispetto di tutte le opinioni altrui!
Anch’io sono stato all’inaugurazione della mostra di Kiefer. Un artista che ho amato moltissimo e ricordo sempre la mitica mostra al Museo Correr del 1997 che per me è stata una vera folgorazione dove sembrava , come aveva detto Cacciari, di vedere i paesaggi di van Gogh dopo la bomba atomica . Qui invece la tensione mi sembrava improvvisamente calata e i fiumi di retorica delle sue interviste non riescono a vincere su un lavoro che pare una ripetizione stanca. Quantità di materia inutile e anche la scultura al’ingresso non sembra delle più riuscite Dal grande Kiefer a Milano pretendiamo di più!
Caro Giovanni, è passata ‘a nuttata. Già da tempo Kiefer sembra perso in se stesso. Anche la mostra alla Fondazione Vedova curata da Celant durante la biennale dell’anno scorso è stata una terribile delusione. La monumentalità non regge se il discorso è stanco e un poco involuto.
E’ bello però sentire la commozione di Dejanira di fronte a un Maestro. Sono certa che se avesse la possibilità di vedere quei magnifici libri all’Hamburger Bahnohf di Berlino sarebbe – come me e credo te – letteralmente ammaliata. Ma forse ha già visto quella straordinaria produzione ed è per questo che il mito stenta a morire o anche soltanto a ridimensionarsi. E forse è giusto che sia così. Anche se è bene sempre pretendere da chi può.