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Novecento Italiano. Passione e collezionismo

Balla, Severini, Carrà, De Pisis, Casorati e ancora Burri, Campigli, De Chirico, Tosi, Wildt, Fontana, Ligabue, Guttuso, fino a Morandi.
E poi, tra gli altri, Manzù, Martini, Santomaso, Schifano, Tancredi, Turcato, Afro.

Sono i protagonisti dell’arte del Novecento italiano, le anime di quella caleidoscopica esperienza che è stata la produzione artistica del secolo scorso nel nostro Paese, così come è stata vissuta, recepita, favorita o addirittura costruita dalla passione di tanti collezionisti privati, in un tempo in cui non era ancora il mercato e il mondo delle aste a dettare le tendenze e a polarizzare le scelte.
L’indagine, affascinante e doverosa, sulle raccolte italiane del Novecento e sul Novecento, avviata da alcune recenti esposizioni in Italia – in particolare una sorta di testimone si ha con la mostra proposta durante l’estate a Villa Regina Margherita a Bordighera – prosegue e consente ulteriori scoperte a Bassano del Grappa, nella nuova ala del Museo Civico dove, dal 20 ottobre 2012 al 20 gennaio 2013, il pubblico potrà ammirare una carrellata impressionante di opere chiave del XX secolo
prestate da alcune delle più importanti e “storiche” raccolte private italiane.

A ciò si aggiunge un focus particolare dedicato al collezionismo bassanese del Novecento, che proporrà altri significativi lavori dei principali autori del secolo passato – evidenziati specificamente nel percorso – frutto di un’attività di ricognizione sul territorio  e segno dell’attenzione e della sensibilità prestata anche dai collezionisti locali all’arte italiana del XX secolo.

Complessivamente in mostra quasi 90 opere di 46 tra i più amati artisti del tempo.

“Il collezionismo è passione, piacere, talvolta ossessione, talvolta investimento” scrive Annalisa Scarpa.
“In senso lato è un investimento giocato sulla propria personalità… un investimento intellettuale, una sfida giocata sul proprio gusto, che può appagare e talvolta deludere”
Tra gli anni Venti e Settanta sono le raccolte di tanti imprenditori, industriali, professionisti ecc.
a dare impulso e sviluppo all’arte italiana del tempo: dal Futurismo alla Metafisica e a Corrente, fino alle molteplici esperienze del secondo dopoguerra, dell’Arte Povera e dell’Astrattismo.
La frequentazione delle gallerie, sorte soprattutto tra le due guerre, e delle esposizioni che vi vengono organizzate è il momento d’incontro con l’opera  e con lo stesso artista; e poi ci sono le grandi manifestazioni come la Biennale di Venezia, la Triennale di Milano, la Quadriennale a Roma.

Un clima di intrecci, relazioni, complicità e amicizie che viene testimoniato nella mostra – curata per la sezione del collezionismo italiano da Annalisa Scarpa e per quella del collezionismo bassanese da Giuliana Ericani, con la collaborazione scientifica di Gabriella Belli – anche attraverso le figure di due grandi collezionisti e mecenati della prima metà del Novecento, quali Riccardo Gualino e Carlo Cardazzo, ma anche, nel secondo Novecento, Bruno Grossetti di Milano, Tino Ghelfi di Vicenza, “L’Elefante” di Mestre (e poi di Venezia e Treviso) e la Galleria “Il Canale di Venezia”.

Gualino, che anima il panorama culturale e artistico torinese dei primi decenni del secolo, figura carismatica e quasi totemica – insieme alla moglie Cesarina, di cui si espone un’intima natura morta – del collezionismo del tempo, una sorta di “mecenate rinascimentale catapultato nel Novecento”, è ricordato in mostra da un emozionante ritratto del ‘22 di Felice Casorati.
Carlo Cardazzo, fondatore a Venezia, nel pieno del grande conflitto mondiale (1942), della mitica Galleria “il Cavallino” e quindi de “Il Naviglio” a Milano  – dove nel ’51 nasce il “Manifesto Blanco” di Lucio Fontana – e di “Selecta” a Roma, è stato confidente, corrispondente, mentore, sostenitore, amico, mercante e interprete di alcuni degli artisti divenuti pietre miliari dell’arte italiana del Novecento e, nel contempo, grande mediatore culturale verso i collezionisti del tempo.

Ne danno conto in mostra le bellissime lettere e le foto originali prestate proprio dall’Archivio “Il Cavallino”
che aiutano a contestualizzare le opere esposte, immergendoci appieno nell’ambiente culturale e nel clima del periodo, tra passione e collezionismo.

“Passione” collezionistica, appunto, che nel tempo si è trasformata in fondamentale risorsa culturale,  motore e custode dell’arte del Novecento, di cui questa mostra intende dare uno spaccato, non certamente completo ed esaustivo ma sicuramente denso e significativo.
Voci e anime di un secolo dai mille movimenti, di radicali trasformazioni, di terrificanti guerre, di rivoluzioni sociali, esistenziali
e del sapere, di angosce e incertezze, da rivivere e ripercorrere ora in questa esposizione – promossa dalla Città di Bassano del Grappa-Museo Civico, con il fondamentale sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Verona Vicenza Belluno e Ancona, la collaborazione degli Amici dei Musei e dei Monumenti di Bassano del Grappa, l’organizzazione della Città e di Villaggio Globale International e catalogo Skira – attraverso la più importante produzione artistica.

Basterebbe citare i capolavori in mostra di De Chirico, tra cui una delle sue famose “Piazze d’Italia”, elemento fondante della Metafisica dechirichiana, o le opere di Balla di cui la mostra propone tre importanti dipinti che riconducono ad altrettante fasi dell’excursus artistico del pittore – “Villa Borghese dalla finestra” del 1908 circa, con la sperimentazione sugli effetti di luce e l’adesione parigina al divisionismo puntinista, “Linee forza di mare” del 1919, e “Quando?” del 1929,  in cui è invece maturo il linguaggio futurista elaborato nel ‘18 con il “Manifesto del Colore”.

Basterebbe ammirare il pastello dedicato all’amata Civrai – luogo di serenità e amicizie in cui rifugiarsi – da Severini, avviato al Divisionismo proprio da Balla e poi con lui approdato al Futurismo insieme a Depero; o la produzione geniale di quest’ultimo testimoniata in mostra – nella sua aspirazione alla “fusione totale” o a ricreare il cosmo con manufatti artistici – da un carboncino su cartone con “Scomposizione di solidi” (1917), dal libro “Il Bullonato” del ‘27, segno del suo interesse per l’attività editoriale e grafica, e da tre bellissimi disegni.

Ancora: la “Natura morta con ortaggi” riconducibile alla fase matura dell’estroverso ma nevrotico De Pisis; le opere degli altri artisti
italiani residenti a Parigi come Campigli, di cui viene esposto un originalissimo “Giocatori di Scacchi” del 1921 dagli schemi geometrici definiti e dalle vaghe suggestioni picassiane, ma anche un intrigante olio con “La famiglia Cardazzo” del ‘38 a riprova di liaison e frequentazioni di vecchia data; una natura morta del genio solitario Morandi; le opere passionali e impegnate di Guttuso (di grande forza “L‘uccisione del capolega” del ‘47 ),  che all’indomani del ’45 aderisce al Fronte Nuovo delle Arti accanto a Turcato, Morlotti, Vedova e Santomaso (tutti presenti in mostra).

L’altra anima del Ventennio e in particolare degli anni Trenta è quella legata al programma Novecento rievocata con personalità artistiche come Mario Sironi – la cui parabola viene ripercorsa con tre opere che conducono dagli anni Venti, con l’adesione al fascismo e alla fede mussoliniana, fino al ’40 – Arturo Tosi, Carlo Carrà, Adolfo Wildt (bella e intellettualistica la sua “Concezione” del ’21, emozionante “La Madre” del ‘29) e Arturo Martini, di cui vengono presentati tre bozzetti: “I Dioscuri” del ’34, “Giustizia Corporativa” del ’37, preparatorio del celebre bronzo realizzato per il Palazzo di Giustizia di Milano, e il bozzetto del “Monumento a Tito Livio” per l’Università di Padova del ’42,  anno in cui Martini viene nominato membro onorario dell’Accademia di Venezia.

Non mancano quindi in mostra l’enigmatico Ligabue con tre olii su faesite del ‘56 e del ‘58; i lavori di Birolli, con un’opera della produzione estrema della sua breve vita, e di Guidi;  i “Concetti Spaziali” di Fontana (anche nel collezionismo bassanese), tra le più geniali rivoluzioni artistiche di tutti i tempi, in dialogo con la “Spirale” di Crippa – vitalità del segno, furore generoso, colore – e i “décollages” di Mimmo Rotella, con le sue stravaganti lacerazioni e abrasioni di manifesti incollati, a strati, su carte colorate; ancora Dorazio e quel medico-artista particolarissimo e geniale che fu Burri , di cui si espongono – per la “sezione” del collezionismo italiano –
ben tre opere appartenute a un amico fraterno, che conosceva “Alberto da tempo immemorabile; dalla fine della guerra fino a quel giorno, ai primi di gennaio del ’95, quando gli telefonai per gli auguri e sua moglie Minsa mi disse che era venuto a mancare il giorno prima”. Forse il migliore commento al Burri uomo e artista, che è stato con Fontana il perno dell’esperienza artistica internazionale italiana del dopoguerra, sta proprio in una frase  di questo suo appassionato collezionista che Annalisa Scarpa ricorda in catalogo: “Ecco questo era Alberto: metteva assieme sacchi, stracci, plastica bruciata e si chinava davanti a Piero Della Francesca”.

Arriviamo ai mitici anni Sessanta.

Ecco i “pittori maledetti” della nuova generazione romana e la loro l’affinità con la pop art americana: da Schifano, che sperimenta diverse variazioni semantiche senza mai tradire la sua originale vocazione – 3 le opere in mostra, tra cui “La Grande O” del ‘61 firmata e datata – a Tano Festa che rivisita in chiave pop gli artisti del passato, ridipingendo immagini-icona proiettate sulle tele, come in “Studio n°1 per la solitudine nel museo” con i coniugi Arnolfini del ‘66.

Ci saranno infine alcune particolarità: una grande “Maschera teatrale dedicata a Vittorio Morpurgo” realizzata nel 1958 in rame tagliato, piegato e sbalzato di Mirko Basaldella, maestro di Mario Ceroli anch’egli in mostra, o “I papaveri” (1953) del grande Tancredi prestata per l’occasione proprio dalla collezione di Cardazzo, che tanto aiutò e incoraggiò il fragile artista fin da giovanissimo.
In mostra anche un’opera del feltrino degli inizi degli anni Sessanta, esplicativa del suo stile più vero, tormentato e contradditorio e – per il collezionismo bassanese –  due lavori tra cui un’ interessante testimonianza del personale ”automatismo” di Tancredi, ove appare stupefacente la variazione cromatica pur nella dualità dei colori e dove è possibile  scorgere un riferimento all’informale segnico di Hans Hartung.

Ma il tuffo nell’arte del Novecento e nel collezionismo che l’ha compresa e sostenuta non si esaurisce qui.

Molti dei protagonisti ricordati li ritroviamo significativamente, con altre importanti opere, nell’ambito del collezionismo bassanese del Novecento:  30 lavori che si sono voluti evidenziare in mostra – con tutto il portato di indagini effettuate sul territorio di cui il catalogo dà conto – pur inserendoli nel percorso complessivo, per consentire le opportune contestualizzazioni.

Ecco dunque Balla, Tancredi e Fontana (già ricordati), Depero e Guttuso; ecco una tela giovanile di Guidi a due facce, un importante bronzo dei primordi di Arturo Martini; un’interessante presenza di Ubaldo Oppi degli anni Venti, un altro piccolo Cretto di Burri e poi Afro, Capogrossi, Turcato, Scanavino, Crippa, Scjaloja, Rotella, Schifano e Biasi a rappresentare gli anni dal Cinquanta al Settanta.

Estremamente significativa per il tema conduttore dell’evento e di certo interesse, è la presenza tra i Vedova proposti,  di una delle “geniali” serigrafie su plexiglass – cosiddetti multipli – realizzate dal pittore veneziano tra il ‘75 e il ‘76.
Compresenze (tre lastre di plexigas sovrapposte dentro una teca dello stesso materiale), dedicata alla Spagna nell’anno cruciale della caduta del regime, nasce infatti per iniziativa del collezionismo bassanese  ed è dunque rappresentativo sia dell’interesse per le opere grafiche di Vedova – corrisposto da un’adesione entusiastica da parte dell’artista, che giocando con il nero del segno  e la luce del materiale esprime con forza la sua ideologia – sia di un clima davvero collaborativo e aperto al confronto e alla sperimentazione.

Non poteva infine mancare a Bassano del Grappa – in questa mostra che vanta anche i patrocini della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, del Ministero dello Sviluppo Economico e della Regione del Veneto, la sponsorizzazione di “Elmo & Montegrappa spa” e di Civis – un omaggio con due opere di artisti italiani,Chiari e Simonetti, a Luigi Bonotto il più grande collezionista italiano di FLUXUS, il movimento americano che assomma in sé, a partire dagli anni ’70, la lezione concettuale e quella del neoespressionismo,
con attenzione alla corporeità nello spazio e allo sconfinamento dei linguaggi artistici.

Eccolo il Novecento italiano, un secolo che nel suo rapidissimo evolversi non ha confronti con nessun altro nel passato e che proprio
per questo ha dato anima e corpo alle tante istanze artistiche qui rappresentate, rilette alla luce di chi ha creduto nella loro importanza,
nella genialità, dei loro artefici, nella necessità del loro fare e sperimentare.
In una mostra imperdibile.

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