David Hockney è considerato il più celebre pittore vivente. Cosi dice la quarta di copertina di un libro molto interessante che raccoglie una serie di interviste tra Hockney e Martin Gayford di cui è uscita da poco la traduzione italiana per Einaudi.
Il fulcro della faccenda sta nella decisione di Hockney di trasferirsi dopo quarant’anni da Los Angeles a Bridlington nello Yorkshire orientale a nord di Londra, dove è nato e ha vissuto da ragazzo. Avevo seguito fin dall’inizio questa sua scelta perchè mi aveva da subito incuriosito. Una mostra alla Royal Accademy prima dell’estate scorsa ha testimoniato tutto questo lavoro, decine di disegni e di quadri alcuni giganti. David comincia a ripensare al paesaggio come se fosse un pittore impressionista e si rimette a dipingere dal vero con un organizzazione scientifica. Ci insegna come la visione della natura sia profondamente diversa quando si lavora a diretto contatto e quanto la riproduzione fotografica ci dia un’ immagine parziale, apparentemente obbiettiva ma in realtà deviata. La variazione delle stagioni diventa il fulcro della sua ricerca, ci racconta l’emozione per l’arrivo della primavera tanto da averla dimenticata dopo tanti anni in California dove le stagioni sono tutte uguali e ci dice che dipingere paesaggi non è passato di moda.
Parla di Constable e di Turner come se li avesse conosciuti e ci spiega quanto sia importante avere una familiarità coi luoghi. Dice che attraverso il disegno ha imparato a vedere le cose con maggiore chiarezza e solo dopo aver disegnato gli arbusti è in grado di vederli. Se li avesse fotografati non li avrebbe osservati con la stessa attenzione e non avrebbero esercitato su di lui la stessa influenza.
Questo grande vecchio, fumatore accanito , praticamente sordo ci dice anche così:
“Sto dicendo che non siamo sicuri com’è il mondo. Molti sono convinti di saperlo, ma non io….una superficie bidimensionale può essere senza difficoltà resa in due dimensioni. E’ invece difficile far stare le tre dimensioni in due: a questo scopo bisogna prendere parecchie decisioni. E’ necessario rendere il soggetto, interpretarlo. Si è costretti ad accettare la superficie piatta. Non serve fingere che non sia così. Non è forse in questo modo che si impara a familiarizzare coi dipinti e a interpretarli? E non è per questo che ne siamo affascinati? Io lo sono senz’altro. Ho sempre creduto che siano le immagini a farci vedere il mondo . Senza di esse non sono sicuro di quel che la gente vedrebbe …”
Martin Gayford A Bigger Message Conversazioni con David Hockney Einaudi
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