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Intervista a Mark Jenkins

Un nuovo fenomeno quello della street art, che da circa dieci anni sta interessando anche il mondo della aste. Artslife ha incontrato e intervistato Mark Jenkins, uno dei nomi di spicco di questo particolare mondo sempre piuttosto sommerso (anche perché illegale) che proprio in questi giorni sta proponendo le sue installazioni nel centro di Milano. Molti su Facebook stanno postando le immagini dei suoi fantocci in Corso Vittorio Emanuele, non riuscendo a capire di cosa si tratta esattamente. Vengono scambiati per persone vere, per la gioia di Jenkins che riesce sempre nel suo intento.

Foto di Marco Danelli, utente facebook che ha postato una delle installazioni di Mark Jenkins in centro a Milano.

Nato nel 1970 ad Alexandria, Virginia, Jenkins è diventato famoso in tutto il mondo per le sue installazioni di figure umane sparse per le città dell’intero globo, realistiche in modo impressionante. Uno scultore vero e proprio che tiene anche workshops al riguardo. Con la sua arte egli destabilizza, stupisce, provoca e permette al pubblico di dedicare uno sguardo diverso alla città in cui si vive e a tutto ciò che ci circonda abitualmente. Un tipo di arte davvero particolare quella della strada, che in pochi anni è stata in grado di far raggiungere a uno come Banksy – nessuno ha ancora mai visto la sua faccia- quotazioni stratosferiche, come le 87,650 sterline raggiunte dalla sua opera “Love is in the Air” il 29 marzo 2012 a Bond Street a Londra, o i 345,730 dollari raggiunti con “Fetish Lady” del 2006 il 15 Febbraio 2012 da Christie’s a Londra, o i 217,994 dollari “di Girl and Balloon” del 27 Giugno 2012 da Sotheby’s, sempre a Londra.

Una delle installazioni di Mark Jenkins in Corso Vittorio Emanuele

Un mondo tutto nuovo e da scoprire e indubbiamente di grande fascino quello della street art, che Jenkins ci ha permesso di conoscere meglio rispondendo a qualche nostra domanda in occasione dell’evento “il viaggio dei sensi attraverso Vienna” organizzata dal Vienna Tourist Board (www.vienna.info), una mostra fotografica che avrà sede nel centro di Milano, in Corso Vittorio Emanuele, dal 18 Ottobre all’8 Novembre prossimi. Un modo per conoscere meglio Vienna e le sue bellezze anche grazie alle installazioni create appositamente per l’occasione da Jenkins che realizzerà sette differenti installazioni, collegate ad altrettante immagini. Le opere saranno esposte in Corso Vittorio Emanuele tra il 18 ed il 24 Ottobre, a corredo delle fotografie che illustrano scene di vita viennese, allo scopo di catturare l’attenzione dei passanti e contribuire a cambiare la percezione di Vienna, una città tutt’altro che “vecchia”. “Siamo felici di poter portare questo progetto a Milano perché pensiamo possa essere realmente rappresentativo di ciò che è Vienna oggi», ha affermato Isabella Rauter, responsabile del Media Management per l’Italia del Vienna Tourist Board. « La fotografia rappresenta la parte classica e intramontabile di Vienna, quella più facilmente percepita, mentre il lavoro di Mark Jenkins e le sue installazioni ritraggono il fermento di questa metropoli e il perfetto connubio tra classicismo e post modernità di cui molti dei nostri visitatori sono ancora all’oscuro.”

Jenkins a lavoro per l’installazione di Milano

Ma ora conosciamo meglio questo artista e il mondo di cui fa parte.

Mark, dopo aver visto le tue installazioni credo di poter affermare che tu sia un piccolo genio, ma immagino che molti non considerino assolutamente “arte” quello che tu proponi, vero?
Il punto è che la gente, per strada,  non vede il mio lavoro come “arte”, ma come come persone reali..

Come è nata questa tua passione?
Ho visto una mostra di Juan Munoz nel 2001 ed è stata la sua installazione figurativa a cambiare la mia idea di scultura. Prima pensavo che la scultura fosse una sorta di auto-isolamento, non che gli oggetti influenzassero lo spazio attorno a loro. Nel 2003 quando feci la prima copia di me stesso, decisi di metterla dentro a un cestino della spazzatura aperto di fronte al mio appartamento. Osservai le reazioni dal tetto e fu affascinante vedere la città trasformarsi in un palcoscenico. Quando il camion dei rifiuti venne nella notte e portò via “me stesso”, realizzai che questa frontiera di installazioni figurative dinamiche sarebbe stata il nodo centrale della mia esplorazione artistica. E lo è da quasi dieci anni ormai.

Cosa vuoi comunicare con le tue provocazioni, sempre che tu voglia trasmettere qualcosa? Perché di provocazioni si tratta, giusto?
L’idea di un messaggio non c’è nella maggior parte delle mie opera. Sono qualcosa da contemplare ma non c’è alcuna soluzione in esse. Per quanto riguarda la provocazione, l’intento è quello di creare un palcoscenico di cui non scrivo la sceneggiatura. Così quando una ragazza addormentata sulla cima di un manifesto viene salvata in pochi minuti da un camion dei pompieri, o una squadra “antibomba” distrugge un uomo vestito da orso polare senzatetto, l’assurdità di ciò ha molto a che fare con la nostra società e con ciò che si intende come comportamento “normale”.

Ma come ti vengono in mente certe idee, a cosa ti ispiri?
E’ un processo auto generativo. Quando facevo musica, durante tutto il giorno sentivo melodie nella mia testa. Il mio unico compito era quello di canticchiarlo in un registratore. Avviene lo stesso con queste idee ma molto più facilmente. Devo solo inserirle nella mia lista di “cose da fare” nel mio iphone.

Non ti è mai capitato di fermarti a spiare le reazioni e gli sguardi della gente? Immagino debba essere divertente!
Una volta che l’opera viene esposta ecco che si verifica il gesto teatrale e guardare lo spettacolo è interessante e a volte divertente. Su un altro livello è un esperimento sociale che si rivela anche informativo. Ma, non so come, c’è anche un elemento di spia che a me non piace. Io penso “Cosa succederebbe se Picasso gironzolasse in un angolo osservandomi mentre guardo la sua opera?”, sarebbe invasivo. Quindi preferisco installare l’opera e andare via. Tuttavia, scattare una o due foto sembra relativamente un gesto innocuo e un souvenir giustificabile per una scultura che verrà presto rimossa o distrutta.

Come è nata la collaborazione con il “Vienna Tourist Board”? Non è la tua città natale, come mai questo interesse per la città in questione?
Fui invitato ad uno show di gruppo proprio a Vienna, “Apocalyptic colors”, alla galleria Gabriele Senn nel 2008 e provai all’istante affetto per la città. C’è un’atmosfera molto flemmatica e rilassata ma possiede una cultura ricchissima. Ritornai nei due anni successivi per commissioni e show, inclusa la partecipazione alla mostra “Street and Studio” alla Kunstalle nel 2010. Quest’anno ho partecipato allo show “Escape the golden cage” e la mia galleria a Roma, Wunderkammern, ha presentato anche alcune mie opere a Vienna Art Fair.

Vienna è la culla dell’arte espressionista e quest’anno cade anche il 150° anniversario dalla nascita di Klimt, e stai preparando una riproduzione del mitico “bacio”. Cosa ne pensi dell’arte espressionista, di Schiele, Klimt, Kokoschka. La trovi arte che tutt’oggi riesce a essere odierna o credi che solo un certo tipo di arte contemporanea alla Koons o Hirst ormai rispecchi i nostri tempi, abbia un senso e piaccia alla gente comune? Anzi, cosa ne pensi anche di questi ultimi due artisti?
Anche se apprezzo l’arte di Hirst, penso ci sia una sorta di manipolazione chirurgica della vita che spesso accade. E’ scientifico e il risultato, secondo me, è la spersonalizzazione. L’espressionismo è tutto l’opposto e le mie opere vivono più all’interno di questo ambito. Focalizzarsi sull’umanità nelle arti visuali alimenta la nostra relazione emozionale con il mondo. E mentre “Il bacio” di Klimt ha un fascino romantico che non svanirà mai, altre opere espressioniste, con molta più angoscia sociale, hanno i loro vantaggi terapeutici.

Saresti d’accordo nel far destinare, da parte dei comuni delle città, delle zone dove far dipingere, far fare graffiti ai giovani artisti, oppure sarebbe tutto inutile perché c’è comunque più gusto nell’illegalità?
Penso che superare gli ostacoli fisici per effettuare un’opera infrangendo la legge, rende il fenomeno una sorta di gioco se non addirittura uno sport. Un muro legale non ha questi elementi. Ma per i writers interessati a sviluppare le loro abilità artistiche, per creare pezzi più complessi senza l’ansia del tempo che scorre, un muro legale sarebbe l’ideale.

E’ giusto secondo te che la street art abbia un valore economico e che passi nella mani delle case d’asta come tutta l’altra arte?
E’ avido, perciò suppongo si possa dire che è moralmente sbagliato. Ma l’ampia maggioranza degli street artist non vedevano l’ora di essere battuti all’asta. Molti artisti hanno abbandonato la strada per concentrarsi solo su opere da vendere. Il neo più grande in tutto questo è quando incontri artisti giovani che vogliono fare street art solo per entrare nel mondo delle gallerie. Non puoi avere questa mentalità nel mondo dei graffiti!

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