Ritorna a Spazio Tadini l’opera pittorica di Gabriele Poli sempre con un d’apré di un’opera del passato, così come fece nel 2009 con la mostra La Medusa delle periferie, reinterpretazione de La zattera della Medusa di Géricault. Questa volta l’artista propone un’opera che trae ispirazione dalla scultura Laocoonte attribuita secondo la maggior parte delle fonti, all’epoca ellenistica. Una rilettura di questo lavoro, che l’artista vede avulsa dal suo significato mitologico, perché la erge ad emblema della lotta dell’uomo contemporaneo imprigionato da una cultura dominante, rappresentata dal serpentone, che avvolge e avvinghia lui e i suoi figli, in cui il denaro, l’attaccamento ai beni materiali, l’incomunicabilità sono solo alcuni degli elementi che potrebbero distruggere l’uomo e il suo futuro.
L’obiettivo fotografico di Persone, invece, può guardare fino a privare l’occhio dell’incanto della visione? Per la fotografa parigina Persone non vi è alcun dubbio. Con la sua macchina fotografica indaga la materia e cerca di svelarne il tradimento dovuto alla visione oculare che, non potendo prescindere dall’emotività, è condizionata da forti elementi culturali.
Lo stesso pseudonimo scelto dalla fotografa, in francese Persone, in italiano persona, manifesta l’interesse per questa area d’indagine che analizza il rapporto tra l’iconografia del soggetto/oggetto e la sua collocazione nel contesto sociale. Persona in latino significa maschera e il suo significato ha più relazione con l’apparire che con l’essere. Possiamo definire questa artista dell’obiettivo un’esploratrice della maschera e quindi della persona.
Nella mostra SCARLETT, la fotografa parigina riesce a far sembrare donne dei semplici manichini. Le foto tradiscono lo sguardo. Le luci studiate ad hoc, le inquadrature ravvicinate e le ombre non rendono immediatamente percettibile l’inganno e le bambole sembrano avere un corpo vero e anche un’anima, ovvero un’identità e un potere di comunicazione che, in realtà, è solo frutto delle nostre proiezioni emotive suggerite da pose e luci. Cosa le differenzia rispetto alle donne delle copertine dei giornali patinati? Poco. La perfezione e la “contraffazione” dei corpi delle modelle è evidente tanto da far appartenere i loro corpi non più appartenere a delle persone, ma alla società. I loro corpi sono un involucro plasmato a immagine e somiglianza di un modello, di uno stereotipo, di un simulacro, di una bambola comunemente riconosciuta e costruita secondo le mode del momento. Ma perché mai le donne vorrebbero sembrare delle bambole, quando, guardando le foto di Persone, le stesse bambole riescono a dare emozioni da copertina? Forse perché l’umano si lascia affascinare dall’impossibile, da ciò che lo trascende. Per l’uomo è bello il gioco di avvicinarci al “perfetto” tanto da disinteressarsi al vero. Gli ultimi anni della nostra storia ci hanno spinto, illudendoci, verso un eterno progresso. La tecnologia e la scienza ci hanno fatto credere nella possibilità di avvicinarsi a una sorta di immortalità e ci siamo lasciati incantare più dal falso che dal vero. Abbiamo accentuato questo tendere verso la perfezione e cercato di somigliare a modelli così perfetti che, in quanto tali, sono privi di vita e di morte. Oggi non è più così. Oggi forse l’antropocentrismo sta lasciando il posto al bisogno di un nuovo equilibrio tra l’uomo e la natura. Non è forse un caso che lo stesso lavoro di Persone sia cominciato dall’esplorazione dei ghiacciai.
Il suo primo lavoro importante è infatti iniziato con una serie di fotografie sul ghiaccio, analizzato attraverso luci artificiali, fino a rivelarne le metamorfosi dell’acqua in controluce. Le foto così prodotte rendono quasi irriconoscibile l’immobilità del ghiaccio visibile ad occhio nudo, perché ne rivelano la dinamicità interna alla materia di cui sono fatti. Queste foto sembrano paesaggi surreali, composizioni astratte di estrema suggestione visiva e profondità. Anche in questo caso l’intento era andare oltre l’apparenza della visione, oltre la maschera e la suggestione emotiva, per scoprire la loro natura, la loro storia e il rischio che oggi potrebbe affrontare il pianeta dallo scioglimento delle calotte polari perchè non sono semplice acqua né apparentemente materia inerte, ma corpo “dormiente”.
Dal 23 gennaio al 15 febbraio 2013
Inaugurazione 23 gennaio
Spazio Tadini via Jommelli, 24 ore 18.30
(apertura da martedì a sabato dalle 15,30 alle 19)
Alle ore 20.30 concerto di Arrigo Cappelletti
Dal 23 gennaio al 15 febbraio 2013
Inaugurazione 23 gennaio
Spazio Tadini via Jommelli, 24 ore 18.30
(apertura da martedì a sabato dalle 15,30 alle 19)
QUARTETTO ARRIGO CAPPELLETTI-GIULIO MARTINO
Una scommessa sorprendente, lirica, spiazzante: l’incontro fra tango argentino (vecchio amore di Arrigo Cappelletti) e libera improvvisazione, su temi scritti appositamente da Cappelletti. La collaborazione fra Arrigo Cappelletti e Giulio Martino risale ormai a qualche anno e ha dato luogo a due Cd, uno in duo (“Infant Eyes”, dedicato a Wayne Shorter) e l’altro in quartetto (“Mysterious”, per la prestigiosa etichetta inglese Leorecords), che ha avuto grandi riconoscimenti internazionali. Riferendosi a quest’ultimo il critico Vincenzo Roggero su All About Jazz così scrive: “Vi è un gran senso di souplesse nella musica contenuta in Mysterious, che ha qualcosa di metafisico nei suoi tratti, con atmosfere rarefatte ma rese vibranti dagli intricati e asimmetrici comportamenti delle voci protagoniste. Il sax di Giulio Martino, asciutto e volitivo il tenore, tagliente il soprano, si combina a meraviglia con il pianismo privo di orpelli, essenziale, sobrio ma evocativo di Cappelletti, mentre la propulsione assicurata dal contrabbasso di Roberto Piccolo e dalla batteria di Nicola Stranieri possiede l’elasticità e il giusto grado di frammentazione per esaltare al meglio lo sviluppo delle esecuzioni” . Ora il quartetto si propone con una ritmica rinnovata e cioè con i due norvegesi Adrian Myhr (contrabbasso) e Tore Sandbakken (batteria), da Cappelletti incontrati durante un suo seminario Erasmus per il conservatorio di Venezia, dove da diversi anni è docente di jazz. Una formazione che sottolinea ancor più il carattere libero, ondivago e avventuroso della musica del quartetto, come testimoniato da Jean Buzelin su Culture Jazz: : “du blues au Brésil, de l’opéra italien à l’Afrique de l’Ouest, de la musique contemporaine à Paul Bley (surtout) et Cecil Taylor”.
Arrigo Cappelletti pianoforte
Giulio Martino sax tenore
Adrian Myhr contrabbasso
Tore Sandbakken batteria
Feat.Sergio Orlandi tromba