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Antufiev: l’alchimista siberiano

Siamo andati a Reggio Emilia a visitare la mostra dell’artista russo Evgeny Antufiev presso la Collezione Maramotti, la sua prima personale qui in Italia e per l’occasione abbiamo anche intervistato Marina Dacci, responsabile e direttore della Collezione. Scoprite con noi cosa ci ha raccontato al riguardo…

“In the wake of the general collapse of the space of myth, the knowledge of myth becomes the basis for creativity and the perception of reality.” (E. A.)

di Dejanira Bada

Male. Le opere di Evgeny Antufiev vorrebbero esprimere in qualche modo male dentro. Disagio, psicosi, incubi. Angosce che prendono vita per mezzo di pupazzi che in realtà risultano a tratti quasi divertenti.  Che piacciano o meno, le sue creature sono in grado di inquietare, affascinare o schifare. Evgeny come sciamano, come alchimista della lontana Siberia, che ha portato a Reggio Emilia una mostra site specific appositamente creata per la Collezione Maramotti, una collezione da fare invidia al Gugghenaim di New York. Eh sì, perché ovviamente ne abbiamo approfittato anche per visitare l’intera struttura che si estende su ben due piani. Un capolavoro dietro l’altro, da togliere il fiato. Kiefer, Bacon, Baselitz, Schnabel, Basquiat, Katz, Richter. Clemente, Cucchi, Chia, Ontani, Paladino, Penone , Parmiggiani, solo per citarne alcuni. Roba seria.
Ed è logico che di fronte a opere del genere, che fanno ormai parte della storia dell’arte vera e propria, un piccolo ed esordiente Antufiev passi un bel po’ in secondo piano. Eppure la Collezione Maramotti è molto attenta a tutto ciò che è contemporaneo e ha deciso di dedicare le sale sottostanti (parte riservata alle mostre temporanee) a lui, Evgeny, che in occasione dell’inaugurazione si è portato tutta la famiglia dalla Russia con furore. E deve essere stato emozionante, effettivamente, rendersi conto che si stava per esporre -come prima mostra in Italia- in uno spazio che conserva un tesoro inestimabile. Centinaia e centinaia di capolavori, più di cento neanche esposti, ma conservati nei caveau, dove l’occhio indiscreto dello spettatore non può entrare.
Eppure Antufiev non si è tirato indietro o sentito a disagio. Come ogni artista crede che il suo lavoro sia un buon lavoro e che si tratti di arte, eccome.

E’ permesso entrare nelle sale della mostra solo con dei copriscarpe distribuiti all’ingresso. Come per accedere in un reparto di rianimazione, anche se in questo caso sembra di entrare più in un reparto psichiatrico. Tutto è asettico. E’ tutto bianco. Nella prima stanza i pupazzi cuciti a mano dallo stesso Antufiev, quasi neanche si notano. Sono bianchi anche loro, anche se di puro non sembrano avere proprio nulla. Sono mostri con denti veri, quattro braccia, otto gambe. Ossa, scheletri, delfini, stoffa, tanta stoffa. Cristalli, meteoriti, capelli, colla, pelle di serpenti, insetti, marmo, legno. E questa lista è comunque quasi più corta del titolo della mostra “Twelve, wood, dolphin, knife, bowl, mask, crystal, bones and marble – fusion. Exploring materials”.
Antufiev cuce, ricama, intaglia il legno, fa bollire ossa e teschi e il lavoro assume il valore di un rito. Sono questi gli elementi che l’artista usa per concepire le sue opere. Concepire, sì, perché Evgeny è padre di questo suo mondo interiore, così intimo, così privato. Quei mostri sono i suoi figli, le sue creature. Esseri distorti e malati. Questo dà alla luce una mente come quella di Evgeny, non distante da quella di tutti coloro che trovano il coraggio di guardare davvero dentro se stessi. Forse. Perché chi non ha quei mostri dentro magari è un essere davvero ignobile nella vita di tutti i giorni, chissà… Allora meglio mostrarli, esporli, far diventare il proprio mondo interiore arte, forse anche per espiare un vero disagio interiore. In fondo anche questa è arte. Oppure no?
E va bene, di certo non si è trattato di una mostra di Anselm Kiefer, inutile fare il paragone, ma largo ai giovani e agli artisti emergenti.  Questo sì, sempre.

 


Intervista a Marina Dacci, responsabile di collezione-director per la Collezione Maramotti

Marina Dacci ed Evgeny Antufiev foto di Luis Aniceto Cesura

di Marta Calcagno Baldini

Da Vito Acconci a Lucio Fontana, da Ellen Gallager a Enzo Cucchi, da Piero Manzoni a Fausto Melotti: in uno spazio di architettura industriale appena fuori da Reggio Emilia, disegnato e progettato da Antonio Pastorini ed Eugenio Salvarani, allievi di Franco Albini, e che occupava la produzione degli abiti della linea d’alta moda Max Mara, ora si produce, conserva ed espone arte contemporanea. Si tratta della Collezione Maramotti, nata con Achille Maramotti, che già nel 1951 fondò ufficialmente la casa di moda Max Mara (Max è un superlativo per Mara, abbreviazione di Maramotti) e già d’allora cominciò anche a collezionare, soprattutto quadri. Nel 2005 l’artefice dell’azienda morì e sono i tre figli, Luigi, Ignazio e Ludovica, che attualmente portano avanti sia la Casa di Moda che la Collezione d’arte. Abbiamo parlato con Marina Dacci, art director e responsabile della Collezione, per approfondire determinati aspetti che distanziano Maramotti dalle altre gallerie d’arte nate in relazione ad un marchio d’alta moda.

Quali sono le linee guida della Collezionemaramotti?

Anzitutto diciamo che non è una collezione d’impresa, ma di famiglia. Legato al marchio Max Mara c’è solo il Premio Art Prize for Woman (n.d.r. il premio è stato istituito per promuovere e sostenere artiste che operano nel Regno Unito, fornendo loro l’opportunità di creare nuove opere. Il premio consiste in una residenza di sei mesi in Italia. L’opera verrà poi offerta alla Collezione Maramotti per essere acquisita e presentata alla Whitechapel Gallery) e certamente il fatto che ci troviamo nell’ex stabilimento industriale di produzione degli abiti. Per il resto le scelte che riguardano la Collezione d’arte sono sempre compiute dai tre collezionisti, i figli di Achille Maramotti. Anche per questo non usano il nome Max Mara, ma Maramotti: l’arte è più che altro una passione di famiglia, non un mezzo di marketing.

E questo ha delle conseguenze anche nelle scelte degli artisti da acquisire nella Collezione?

Be’ sì, diciamo che sicuramente sono molto chiari gli ambiti in cui la Collezione Maramotti si muove per la scelta degli artisti e per il modo di organizzare il lavoro. Non ci interessa seguire il mercato dell’arte contemporanea, ma il proprio gusto. Il filo rosso che lega la scelta di tutte le opere è la pittura e il tema dell’archetipo, della scoperta dell’origine.

Che tipo di rapporto instaurate con gli artisti che entrano a far parte della Collezione?

Gli artisti producono delle opere che poi noi compriamo. Anche per questo dev’essere evidente il loro legame con le linee guida che motivano le scelte dei collezionisti. Ci sono casi, come l’artista russo Evgeny Antufiev che ha inaugurato la sua mostra da noi il 17 febbraio (fino al 31 luglio) che preferiscono restare qui in residenza, altri che lavorano nel loro Paese se sono stranieri o comunque a casa propria se italiani. Antufiev ha iniziato il lavoro di 8 mesi in Russia, e gli ultimi due qui a Reggio Emilia. Non facciamo mai mostre “a noleggio”: le opere che si espongono sono sempre prodotte appositamente per noi. Diciamo quindi che il legame che si forma è molto profondo e motivato. Infatti curiamo l’artista nella sua completezza, non solo per i lavori che vogliamo comprare.

Ovvero?

Di tutti gli artisti che sono in Collezione abbiamo raccolto una documentazione completa e sempre aggiornata che teniamo nella biblioteca qui a Reggio Emilia: libri, testi, fotografie che testimoniano il percorso degli artisti in Collezione (i cui nomi sono tutti presenti sul sito www.collezionemaramotti.org). La biblioteca è aperta a tutti, gratuitamente, basta solo consultare gli orari sul sito. Infine ogni mostra ha il suo libro d’artista, che non è un vero e proprio catalogo, è qualcosa di più approfondito e specifico sull’artista in generale, non solo sulla mostra di volta in volta organizzata. Il libro viene diffuso, gratuitamente, in biblioteche, università e musei: li distribuiamo in tutt’Italia. L’investimento in cataloghi e nel loro farli girare è un fondo a perdere chiaramente, una forma di attenzione verso gli artisti che assumiamo. Oltre alla parte teorica, poi, è sempre gratuito per i visitatori l’accesso l Museo, e delle guide li accompagnano nel percorso sia nella Collezione sia nelle mostre che organizziamo (esponiamo a rotazione di volta in volta determinate parti della Collezione, che non è composta solo dalle opere al primo piano: secondo tematiche di volta in volta diverse raccogliamo e esponiamo ulteriori opere).

Che tipo di pubblico viene?

Abbiamo dal visitatore specializzato in arte contemporanea, critico, collezionista, fino al grande pubblico che è attratto anche molto dalla struttura architettonica ex industriale, esattamente come le scuole e le università. Sempre gratuitamente organizziamo visite guidate anche per gruppi.

C’è un fine anche didattico nella vostra facilità e generosità nell’accesso del pubblico alla visita della Collezione?

Diciamo che alla base c’è l’idea di Achille Maramotti, secondo cui l’arte è anzitutto un modo per allargare la mente. Aveva impostato il lavoro in azienda in modo che fosse sempre in rapporto con l’arte: mandava a sue spese i fashon designers alle mostre in modo che aumentassero la propria sensibilità e senso estetico. Inoltre esponeva la collezione direttamente in azienda: opere di Burri, Novelli, Paladino, Richter, Melotti, Clemente e tutti erano in visione nelle sale in cui si lavoravano i tessuti. Quando trasferimmo la produzione e decidemmo di usare questo spazio come galleria, i primi visitatori erano gli ex operai che riconoscevano tutte le opere ricordando il loro posto originale di esposizione.

Partecipate anche a fiere d’arte contemporanea?

I nostri artisti chiaramente poi hanno la loro personale vita lavorativa e partecipano a fiere o altre mostre. Alla famiglia Maramotti, però, non interessa andare alle fiere per trovare nuove parti da annettere alla Collezione. Del resto era la logica anche di Maramotti Senior. Sceglieva in base al suo gusto personale. A volte, come con Boetti, Castellani, Cucchi, poi il valore degli artisti si è confermato. Altre, vedi ad esempio De Filippi, meno.Per la Collezione, comunque, il gusto personale è sempre al primo posto.

 

 

Informazioni utili:

Collezione Marmotti, via Fratelli Cervi 66, Reggio Emilia

Orari: giovedì e venerdì, ore 14.30-18.30. Sabato e domenica, ore 10.30-18.30.Tel. 0522-382484. www.collezionemaramotti.org, info@collezionemaramotti.corg

 

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