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MIART 2013. LA SVOLTA

Santiago Sierra, PIGS, 2013 video, edizione unica Prometeogallery, Milano

Come posso scrivere ancora di fiere d’arte quando in Italia non c’è ancora un governo eletto, il Paese soffre in modo irreversibile, la gente si dispera perché è arrivata davvero al fondo più nero del barile (e lo dimostra, purtroppo)? Come posso discutere con voi di un Tancredi o di un Uklański il cui costo al pubblico equivale spesso al risparmio, ormai eroso, di un’intera vita? Come posso scrivere di “consigli per gli acquisti” quando la maggior parte di noi non sa neppure se potrà acquistare il necessario per i propri figli o pagare il mutuo a fine mese?

So bene di essere molto vicino alla pericolosa linea di demarcazione che separa queste considerazioni di puro buon senso da quel trend demagogico che oggi tanto “cattura” l’uomo qualunque, ma per la prima volta in vita mia mi chiedo sinceramente: per chi il mercato dell’arte? Per quale target lo scambio, per quale collezionismo, per quale futuro possibilmente condivisibile con la maggior parte di noi?

Questa è la disposizione d’animo con cui entro al MiArt 2013 (e subito me ne esco, perché non sopporto le vernici: mi confondono e non vedo nulla) dall’orribile Viale Scarampo imbragato in eterni cantieri; una Fiera da apocalisse, da fine impero, da ciglio del burrone, da sguardo sul baratro… Eppure, no. Non è così. Torno il giorno successivo e stupisco.

MiArt, quest’anno, è buona! E lo scrivo con entusiasmo e gratitudine. Una bontà che sfida sia la crisi (in primo luogo) sia il posto orrendo e disumano, l’abominevole capannone dai voltoni interminabili e rumorosi, il servizio di quart’ultima che neppure in Albania (in Albania, poi, no, se ci sono gallerie come quelle qui presenti; piuttosto, come sempre, da Autogrill), il cibo ingrato e caro, il parcheggio assurdamente costoso (14 euro per qualche ora di permanenza e dai biglietti che – si vede benissimo dalle date riscritte più volte – vengono riciclati per “scremare” qualche soldo alla pessima organizzazione), dagli ascensori perennemente fuori servizio e dislocati in posti impervi e orbi di segnaletica, dalle odiose e pericolosissime spirali di accesso prive di illuminazione da farti perdere l’equilibrio per la vertigine della guida…

Ma ci si deve venire quest’anno, per Diana. E ci voleva. Un “bravo” sentito al nuovo condottiero De Bellis che miracolò laddove era deserto.

Egli portò finalmente un gran numero di gallerie straniere (tutte molto buone, anche e soprattutto le emergenti), concepì una buona mostra di intelligenti binomi (THENnow: coppie di artisti di differente età anagrafica e peso specifico accostati a formare un percorso singolare e colto che non stona all’interno di quello fieristico), scelse (la selezione, finalmente!) ciò che è compatibile con il nostro tempo e le nostre necessità estetiche senza concedersi al troppo semplice. Egli costrinse alla vernice “addirittura” gli assessori alla cultura di Comune e Regione. Egli portò a noi, finalmente, buona e bella arte in Fiera a Milano, come non se ne vedeva da molti anni. Che Dio lo conservi a lungo in questo posto. Non potremo che guadagnarci tutti, anche e soprattutto in un’epoca di nequizie e desolazioni qual è la presente. MiArt più interessante di ArteFiera, quest’anno. Per me, non c’è alcun dubbio. Ora bisogna lavorare sul luogo e l’organizzazione. E’ indispensabile.

Dopo una prima occhiata ancora sconcertata per qualche stola di struzzo (giuro!) e per i soliti tacchi ancora più vertiginosi (servono per vedere sopra la melma? Eppure calzano signore brevilinee, in genere, e al più sono utili per vedersi in faccia da media altezza), osservo che già qualche compìto giovanotto sgattaiola via con un quadrone in mano, che qualche faccia sembra contenta. L’arte (buona) tira. Non posso che prenderne atto. Oggi più che mai, e in modo anche sano, direi: consapevole e attento.

C’è aria di cambiamento positivo. Un cambiamento che precede, temo di gran lunga, quello politico della selezione dei migliori (se vogliamo sopravvivere), e che anticipa una necessità, più che un desiderio voluttuario. Un esprit che speriamo contagi anche i palazzi del potere, ancora inesorabilmente vuoti di sentimento e di buone intenzioni.

Assai ben distinti i settori di Moderno e Contemporaneo, e altrettanto ben disposti i contributi delle gallerie straniere (molte delle quali per la prima volta in Italia) e delle nazionali, tanto da poter addirittura individuare percorsi tematici o stilistici. Partirò dall’arte contemporanea.

Nell’area riservata alle riviste d’arte, sul fondo dell’esecrabile stanzone, si staglia in tutta purità il giovanissimo pondo degli studenti del terzo anno del NABA (Nuova Accademia di Belle Arti, Milano) presentati in numero di dieci ma alternati di giorno in giorno. Oggi (venerdi) scopro con piacere la ventunenne Giulia Maiorano che presenta un’installazione di poco meno di una decina di disegni di ottima mano tratti da immagini fotografiche di pellicce in pose voluttuose ma ambigue, riprese poi a matita su piccoli fogli: sembrano paesaggi, strani animali o fregi di metopa. Tutto, tranne ciò che sono. Alla richiesta del prezzo delle opere (che sono in vendita, eccome…) sia la giovane artista sia la responsabile dello stand rimangono un poco interdette, non attendendosi forse la domanda. Mi sapranno dire, affermano con energia, inviandomi indicazioni via email. Io consiglio un passaggio per capire dove le giovani – ottime – leve ci conducono, perfettamente in linea, e con una freschezza “da origini” in più, rispetto ai colleghi più blasonati nella enorme sala.

Procedo all’interno del piccolo quartiere delle gallerie emergenti e mi fermo da Arcade di Londra, dove innesco un breve dialogo con il gallerista che si dice contento di essere in Italia (per la prima volta in fiera da noi) a proporre i suoi artisti. Si trova bene e ritiene questa fiera di ottima qualità, pare persino un po’ stupito mentre lo afferma. Non so se sono complimenti “prezzolati”, ma non credo. Il ragazzone è gagliardo e molto intraprendente. E’ qui con scopo preciso ed è ben attrezzato: a disposizione del pubblico le fotocopie con le concise biografie dei suoi “Gracchi”, perlopiù pittori (Anna Barham, l’ottimo milanese Luca Bertolo il cui singolare quadrone di analgesici costa 11.600 euro, Maria Zahle), e le liste con le opere e i prezzi di ciascuna. Ammirevole, benché per lui del tutto normale.

Davanti a questa postazione è la galleria berlinese Mathew, tutta pittura di interessante qualità. So da confidenti preparati che il genere non è così ben visto (per quanto non sembrerebbe, storicamente parlando) in terra germanica, ma qui a Milano sono giunti quasi solo artisti del pennello o della penna (anche se litografica). Buono senz’altro.

Avanzo segnalando random, un’ottima prova di Rosa Barba nel ricco stand di Giò Marconi (MI) e un buon Matt Bryans da Kate McGarry (Londra): l’italiana è incisiva con la sua geometrica struttura d’incatenamento di pellicole filmiche in loop senza visioni (una sorta di “opera primordiale”), mentre l’inglese piace per la ricostruzione estetizzante, attraverso frammenti di giornale cancellato, di catene montuose, di panorami perduti e recuperati con pazienza come per ritrovare un codice nascosto. Buono in genere anche Eleven Rivington di New York. Ci sono, in effetti, delle gallerie che vorrei porre in evidenza per la particolare scelta delle opere e per il curato allestimento.

Marta Cervera
Brian Bress Galeria, Madrid

Dopo la newyorkese, inserisco nel novero di ciò che non si deve perdere per un tour di “tendenza” anche Galerìa Marta Cervera di Madrid (che presenta due buone mani come Brian Bress e James Welling), la stimolante e di ottima qualità Josh Lilley Gallery di Londra (con una sculturona in terracotta ibrida e “tattile” di Benedetto Pietromarchi da Roma); l’eccellente Gallery on the Move di Tirana, con un display coinvolgente e nomi di punta come Anri Sala, Bert Theis e il bravo Eltjon Valle. Lo Studio Dabbeni di Lugano ha portato per il pubblico milanese molte e belle opere di Tremlett, Frei, Arends ed è di grande impatto visivo (in questo, senz’altro uno degli stand migliori). Mi intriga molto anche la sontuosa area di Francesco Pantaleone (Palermo e Milano) che piace per ogni dove e che merita anche solo per la paretona boschiva e inquietante dal titolo evocativo Gigli, gladioli, Briganti e migranti di Francesco Simeti. Infine, un sentito plauso a due gallerie romane, per me, sempre di elevata ricerca: bella la delicata teoria di opere da Marie-Laure Fleisch che porta le novità di Sergio Breviario di cui ho già parlato qui su Artslife e asciutta ma forte la proposta di Federica Schiavo con il notevolissimo Salvatore Arancio e le sue spaventevoli metafore naturalistiche con tocco d’antàn (anche di lui ho già scritto in passato, per me uno dei nomi migliori dell’arte contemporanea italiana). Questo pugno di gallerie colpisce per la serietà con cui ha affrontato la prova della fiera e non si è limitato alla presentazione seriale dei propri beniamini ma ha tentato di dare corpo estetico al proprio progetto espositivo.

Bella (si può ancora dire “bella”? io penso proprio di sì) arte, dovunque o quasi.

Ricomincio da S.A.L.E.S. (Roma) dove l’aggettivo “bello” si può decisamente coniugare a un’opera particolarmente felice di Flavio Favelli: un Planisferio costruito e posto al contrario per chi osserva all’interno di una grande specchiera tardo-ottocentesca inclinata orizzontalmente. L’immagine, ottenuta da vecchie mappe stradali e geografiche, è sbiadita e stropicciata, un mondo al contrario, poeticamente declinato, con i mari che risultano più definiti dal colore e dall’aspetto (anche se il “Canale di Venezia” è all’incirca in Artide…). Un capolavoro appositamente preparato per questa Fiera (non a caso è l’opera di punta della galleria) a 14.000 euro oltre IVA. Una vera meraviglia per il nostro sempre più maturo prossimo “biennaliero”.

Flavio Favelli, Planisferio, collage su specchiera dorata, 2013
S.A.L.E.S., Roma

Buona anche l’opera del ventinovenne Ivano Troisi da Tiziana Di Caro (Salerno). Si lavora con e sulla carta per ottenere immagini di un informale già ben digerito e sublimate poeticamente. La carta stessa è materia pura ed è opera d’arte. Di grande efficacia e pregnanza.

Magnifico lo stand colto di P420 (Bologna) che inanella una serie bellissima di opere degli anni ’70 di Irma Blank e Paolo Icaro, due outsiders che meritano un approfondimento da parte del collezionista più attento. I gessi evocativi di Icaro riprendono in tono più complesso le idee di Boetti e Penone, ma solo in superficie. Ci sono una levità della materia, un intrigo filosofico sottile, che superano in raffinatezza di tocco le posizioni dei colleghi forse più famosi.

Da Collicaligreggi (Catania) è un ottimo trouvaille, almeno per il largo pubblico italiano. Il portoghese Hugo Canoilas (32 anni), dal curriculum già poderoso e appena uscito dalla Biennale di San Paolo, inventa nuovi linguaggi e alfabeti da leggere con attenzione dipingendo su immagini e articoli di quotidiano. L’effetto è straniante. Si diffonde una lieve melancholia (proprio quella) in quelle disperate ritrattazioni del presente, che cerca con tenacia di non soccombere a se stessa: laddove il senso del tempo non deve essere necessariamente didascalico e di rottura ma può parlare a tutti con l’arma della tecnica e della poesia. Un bel nome che in Patria è già famoso ma che sicuramente uscirà dai confini lusitani. Le opere più piccole (sono bellissime anche quelle) partono da 2.000 euro.

Alla Galleria Frank Elbaz (Parigi) mi colpiscono i lavori di Wallace Berman (USA, 1926-1976) raffinato interprete di un’arte colta e molto europea: la tecnica dell’assemblaggio sembra essere una caratteristica più nostra che Americana e Wallace ne ha fondato le caratteristiche in area californiana. Le sue opere sono magnifiche e valgono un’analisi accurata che porterebbe a riconsiderare certe influenze incrociate fra arte del Vecchio e del Nuovo continente, questione che sembra appassionare non più soltanto gli storici ma ormai anche i collezionisti.

Da Isabella Bortolozzi (Berlino) trovano posto le opera di Andrea Branzi con un omaggio voluto al Salone in arrivo a Milano. Ma da qui si vede che il design che tanto piace ai più trova una porta utile a se stesso attraverso l’arte. Si può dire che Branzi è assai più affascinante e convincente quando si dedica alla leggerezza del pensiero e all’indifferenza della funzione? Le sue accumulazioni/collages (la disposizione è comunque parietale) sono straordinarie e modificano l’ambiente in modo consapevole. Qualcosa di più di un’opera d’arte.

Andrea Branzi, Voliera Pergamo 1, 2013
mixed media, cm. 200x300x45
Isabella Bortoluzzi, Berlino

Un must per tutti i viaggiatori in Fiera è il video strepitoso di Santiago Sierra da Prometeogallery (MI). PIGS è qui in edizione unica a 22.000 euro. Il grande fotografo delle folle umane in movimento e della disperazione trattenuta dei succubi del capitalismo, lascia entrare alcuni floridi maiali in una grande stanza in cui la sagoma della penisola italiana è stata costruita a terra con prelibato pastone. Nel giro di poco tempo, l’Italia è divorata, calpestata, sonnecchiata, transumanzata, percorsa, ciondolata, rumoreggiata, distrutta con tranquilla incoscienza. Un video simile è girato per ognuno degli Stati dileggiati con l’improprio acronimo faunistico. Una grande installazione prevederà enormi fotografie stills da video, un video e altri elementi variamente composti. L’opera è di enorme impatto, ma non è ironica o sarcastica. Una quiete surreale aleggia per la stanza dei suini; inquadrature sapienti (ecco, la vera qualità di un video!) rendono questa particolare fine del mondo gioiosa e placida. Una meraviglia.

Santiago Sierra, PIGS, 2013
video, edizione unica
Prometeogallery, Milano

Nella zona di THENnow, coppie di artisti storici e contemporanei trovano inusitate consonanze con le loro opere migliori. Segnalo solo (anche se è una sezione da scoprire in toto, se si penza che Gabellone è a confront con Dadamaino, Enzo Mari con Tim Rollins and K.O.S., Miroslav Tichy con Goshka Macuga…) il settore allestito dalla Galleria In Arco (Torino) e Monitor (Roma) con le famose lapidi di Salvo e una terrazzata di omologhe (ben differentemente intese, perché a terra e mute) di Francesco Arena. Una calibrata combinazione che stupirà più d’uno.

Salvo e Francesco Arena
Galleria In Arco, Torino e Monitor, Roma

Passo all’area dedicata all’Arte Moderna, anche se, devo dire, meno corposa nel numero di presenza, ma di gran livello.

Giulio Paolini
Senza Titolo, 1983
gouache e collage su cartoncino, cm. 50×140
Matteo Lampertico, MIlano

Da Matteo Lampertico (MI) c’è una straordinaria collezione di piccole grafiche d’autore, disegni, chine e gouaches di Marino (dalla Collezione Jucker, un capolavoro!), Boccioni (una testa “esplosiva”, bellissima, a 100.000 euro), Fontana, Soldati, un piccolissimo, squisito, Veronesi (a 4.800 euro). Non rifiuterei senz’altro un dittico storico di Paolini che troneggia nell’ambiente principale (del resto, ho anche appena acquistato in Fiera, presso lo stand notevole della libreria antiquaria Martincigh di Udine, un libro del 1975 per i tipi di Einaudi Letteratura: Giulio Paolini, Idem; so mi verrà invidiato da molti) o uno dei diversi Capogrossi che da qualche tempo il gallerista sembra ricercare con tenacia e con il consueto fiuto.

Luigi Veronesi
Composizione, 1934
china e tempera su carta, cm. 27×21
Matteo Lampertico, MIlano

Presso la Messine Galerie et Conseil (Parigi) c’è una bellissima teoria di inchiostri di Salvador Dalì nel pieno della sua carriera. Colpiscono tutti, ma prediligo senz’altro un inchiostro con macchina “molle” da cucire per essere una summa perfetta degli stilemi dell’artista catalano.

Procedete spediti alla volta dello stand dell’Archivio Alberto Biasi, Padova (che non è indicato in mappa), perché c’è un’alta concentrazione di opere cinetiche di primissima qualità. La collezione, che comprende anche e soprattutto documenti e pubblicazioni delle quali è in Fiera un interessante piccolo compendio, è vasta e molto rappresentativa dell’opera del nostro Maestro patavino. E’ possibile anche l’acquisto di alcuni lavori, richiedendoli direttamente a Michael Biasi che possiede uno spazio espostivo nei pressi dell’Archivio e a Milano è a disposizione dei collezionisti. Un modo eccellente, questo di far conoscere un Movimento e un Artista che ancora meritano di crescere nella consapevolezza del pubblico più vasto, ma anche nel mercato di settore.

Alberto Biasi
Gocce
tempera su cartone e lamiera forata, 1962, cm. 61x61x6
Archivio Alberto Biasi, Padova,

Nelle stesse scie veleggia anche l’ineccepibile Galleria Valmore di Vicenza, per la quale segnalo due suoi artisti di punta, tanto distanti stilisticamente quanto culturalmente. Davide Boriani è uno dei fondatori nel 1959 del Gruppo T, interno a Azimuth, con Colombo, Devecchi e Anceschi. Riassume la sua perticolarità poetica nei confronti dei colleghi attraverso il concetto di “interattività”. Le sue opere sono esperienze in cui perdersi solo con il consenso del pubblico o del proprietario. Una performance casalinga che però mantiene icasticità perché condensata in forma comprensibile e soprattutto riproducibile all’infinito. Una più giovane proposta è rappresentata dalla leggiadria delle trasparenze di Izumi Oki, giapponese trapiantata da tempo a Milano, che assomma l’arte della purezza alla complessità delle strutture spesso possenti in vetro cristallo tagliato. L’effetto estetico è consonante con la ricerca raffinata della Galleria, anche se Oki muove da presupposti culturali differenti da quelli dell’arte italiana dei primi anni ’60 (che, per l’artista, rimane comunque un punto di costante riferimento).

Davide Boriani
Dinamica Economica n. 1_25, prototipo, 1985
cm. 80x81x12
Valmore Studio d’Arte, Vicenza

Nella sempre rutilante Galleria Mazzoleni di Torino, fra i molti capolavori da piccolo (e neppur troppo piccolo) museo d’arte moderna, spiccano due vere meraviglie del (per me) decennio d’oro dell’arte italiana del ‘900, quello degli anni ’50. Un Tancredi del 1954 da far piangere di commozione è in bella mostra, con le sue campiture elegantissime e silenti: poco più in là, nelle medesime corde, un Dorazio del 1958, Sospetto di Forma, fresco di esposizione alla Tartaruga di Roma, in grandissimo spolvero, fors’anche migliore del Tancredi, se possibile.

Tancredi
Senza Titolo, 1954
olio su masonite, cm. 93×125
Mazzoleni, Torino
Piero Dorazio
Sospetto di forma, 1958
olio su tela, cm. 146×113,5
Mazzoleni, Torino

Chiudo questa breve e per nulla esaustiva carrellata di consigli e segnalazioni con una chicca di elevatissima qualità a un prezzo contenuto (per la caratura dell’opera e dell’artista). Da Spazia (Bologna) spicca prepotente un incredibile, raffinatissimo Sanfilippo del 1955, l’anno in cui espose alla VII Quadriennale di Roma (che decennio!), opera che prelude a ogni posteriore evoluzione. Una splendida prova di uno dei più grandi interpreti di Forma 1 che, per motivi a me del tutto ignoti, il mercato ancora non premia come dovrebbe. Questa è, infatti, un’opera che può essere acquistata a 29.000 euro, laddove – in altri luoghi e forse in altri tempi – neppure il doppio dovrebbe essere congruente.

Antonio Sanfilippo
Senza Titolo, 1955
tempera su tela, cm. 59×81
Spazia, Bologna

Non sazi, ma felici, ci dirigiamo all’uscita, subito stroncati nell’entusiasmo dalla difficoltà di risalita all’infernale parcheggio, dalla mancanza di qualsiasi indicazione o supporto al visitatore, dalla maleducazione dei posteggiatori che (per carità, sotto la pioggia) svolgono in modo “personalissimo” il proprio lavoro, dall’uscita a sorpresa in un sito totalmente diverso dall’ingresso, il che per chi non è Milanese sarà senz’altro un ulteriore inciampo…

Ma tutto ciò, che deve essere migliorato al più presto per poter concorrere almeno con ArteFiera, non può nuocere a una prova davvero buona, finalmente, per l’arte scambiata a Milano. Siamo di fronte a una svolta che speriamo porti buoni frutti e proceda in questa nuova proficua strada lastricata di intelligenza commerciale e vivacità culturale abbondamente profuse. E che la crisi, se questo deve produrre, sia ancora prònuba di tali esiti!

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6 Commenti

  • Grazie mille, caro signore, per la preziosa e cortese precisazione (evenienza di cui non sapevo; rimane il fatto che forse sarebbe stato meglio indicare in pianta anche l’Archivio, giusto per completezza d’informazione al pubblico) e per il complimento che fa piacere a tutti noi. Speriamo di essere sempre all’altezza del nostro pubblico!

  • alcuni collezionisti mi hanno indicato questo splendido articolo, per indicare un dettaglio mancante, ovvero che lo stand Archivio Alberto Biasi, nn era indicato in mappa, in quanto in collaborazione con la Galleria Dep Art di Milano, la quale ha una mostra in corso dell’artista ed ha pubblicato il catalogo ragionato delle opere archiviate soltanto inerenti al ciclo dei “ottico-dinamici” dal 1959 al 2010. Quindi non era un errore dell’ottima organizzazione di quest’anno, ma una ben precisa divisione con collaborazione tra le due entità

  • Cristiana, complimenti per l’articolo ben fatto ed esaustivo ha stimolato ancora di più il mio impegno a fare quel nuovo dell’arte italiana da troppo tempo latitante; perciò se vuoi compensare la lacuna con un articoletto sulla mia mostra on line sei libera di farlo,stefano http://armellin.blogspot.com
    oppure se preferisci una visita alla mia mostra permanente di Pompei siamo sempre aperti tel.081.850.44.44

  • Devo ringraziare Giuseppe, perché la sua nota (oltre che farmi gran piacere) appare come un piccolo segno di affezione. E’ vero: difficile per me evitare un bel Tancredi, quando posso farne a meno… E ringrazio anche Stefano a cui però rispondo che non è necessariamente compito delle Fiere (a meno che non lo abbiano come “statuto” o vocazione) indicare il nuovo corso dell’arte. A MiArt ciò che c’era di positivo fu l’eccellente visione d’insieme della manifestazione, un particolare che non si può assolutamente dare per scontato, tant’è che tutti ne hanno registrato gli effetti positivi. Inoltre, la presenza di molte (moltissime) gallerie straniere, molto buone, ha fatto da ottimo contraltare alla nostra visione non sempre internazionale dello scambio. Per me è stata un’esperienza positiva che arriva a Milano dopo anni di terribile penuria per non dire peggio. Persino gli appuntamenti o le “isole” dichiaratamente culturali (come THENnow o i talks in fiera) non si sono sovrapposti stridendo con il contesto. Un lavoro compiuto con grande rigore, diligenza e passione, perché si vedeva anche quella, con una struttura semplificata e lieve, non pesante. Se solo fosse una caratteristica anche di chi (non) ci governa, saremmo a cavallo… ma non lo siamo, purtroppo.

  • Per quanto riguarda le nuove idee di svolta ne vedo poca, la solita autoreferenzialità dei galleristi che masticano quel che vuole il mercato. SA

  • come sempre ottimo ed esaustivo commento. complimenti.
    poteva mancare l’abituale segnalazione per tancredi? no di certo ….

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