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L’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi ricorda Nino Rota

L’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, diretta dal Maestro Giuseppe Grazioli, ricorda Nino Rota con un concerto che propone alcune delle composizioni contenute nel doppio CD Nino Rota: Orchestral works.
Si tratta della prima uscita di una serie di 6 album, prodotti dalla prestigiosa etichetta Decca, per un progetto discografico che si propone di raccogliere l’opera omnia del grande compositore milanese, scomparso nel 1979. Non solo dunque le celebri musiche da film, ma anche le sue composizioni sinfoniche, comprese le opere giovanili (la prima, Fuga per quartetto d’archi, organo e orchestra d’archi, fu composta nel 1923 a nemmeno 12 anni).
Le incisioni risalgono all’agosto del 2011 quando, sulla scorta del convegno organizzato da laVerdi con Cidim (Comitato Nazionale Italiano Musica) per i 100 anni dalla nascita (3 dicembre 1911), l’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi registrò all’Auditorium di Milano tutte le composizioni di Rota sotto la direzione dal Maestro Giuseppe Grazioli .

Le registrazioni sono state effettuate in sedici giorni di produzione: un lavoro complesso, poiché molte opere venivano incise per la prima volta e quindi è stato necessario un lavoro di revisione e copiatura delle partiture e delle parti originali, nell’intento di rispettare il più possibile i riferimenti originali di Rota.
Il lavoro ha coinvolto in prima persona sia Giuseppe Grazioli che lo studioso e musicologo Francesco Lombardi.
Per realizzare i CD sono state necessarie oltre 50 sessioni di post produzione, editing e mixaggio, con il coinvolgimento di otto tra tecnici e giovani musicisti-assistenti, provenienti anche dal prestigioso Corso di tecnologia audio dell’Accademia della Scala di Milano.

Per festeggiare la prima uscita dell’opera omnia di Nino Rota, laVerdi ha organizzato per sabato 13 aprile (ore 21.00), all’Auditorium di Milano, largo Mahler, un evento speciale.
Oltre all’esecuzione da parte dell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi di alcuni brani contenuti nel primo CD (il Padrino, Il cappello di paglia di Firenze, Allegro Concertante, Variazioni sopra un tema gioviale, The legend of the Glass Mountain, Satyricon, Roma) la serata sarà arricchita dalla proiezione di alcuni brani rari/inediti su Nino Rota, recuperati per la produzione del docu-film di Felice Cappa, andato in onda su Rai 5.

La serata è a ingresso libero, senza posto assegnato

Il doppio CD è disponibile su Amazon in tutto il mondo (anche in download), nei negozi di dischi e al Bookshop di largo Mahler.

Fondazione Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi
Ufficio Stampa
Massimo Colombo
Tel. +39 02 83389.329 – +39 393 5285464
massimo.colombo@laverdi.org, www.laverdi.org

NINO ROTA: ORCHESTRAL WORKS

Il primo dei due album si apre con il primo grande successo internazionale in campo cinematografico: le musiche composte nel 1948 per il film The Glass Mountain (La Montagna di Cristallo), uscito nel 1949 per la regia di Henry Cass e interpretato da Michela Denison, Dulcie Gray e Valentina Cortese.
Il successo della colonna sonora superò di gran lunga quello della pellicola e il tema principale, suonato da tutte le orchestre di musica leggera della Gran Bretagna, divenne, per un certo periodo, la sigla di apertura delle trasmissioni radiofoniche della BBC.

Nel doppio CD – che include anche alcune prime registrazioni mondiali – ci sono anche alcune opere giovanili di Rota, come la Fuga per quartetto d’archi, organo e orchestra d’archi (composta nel 1923 a nemmeno 12 anni) e il Concerto per violoncello e orchestra composto nel 1925.
Nella Milano degli anni ’20 il piccolo Rota, al pari del suo coetaneo Giancarlo Menotti, già a 11 anni brillava nei salotti come enfant prodige.
«Nei salotti ogni tanto ci si incontrava – raccontava Menotti – perché eravamo due piccoli mostri, anzi in un certo senso Nino era più mostruoso come enfant prodige perché era tecnicamente molto più avanti di me. Ma la nostra amicizia era un po’ turbata dalle rispettive madri che fingevano di essere molto amiche ma tra le quali in fondo c’era una specie di sorda guerra, perché ognuna considerava il proprio figlio il vero genio» .
Nel doppio CD anche le otto Variazioni sopra un tema gioviale in cui Rota si lancia in arditi virtuosismi ed esercizi funambolici al solo scopo di divertire il pubblico e regalare serenità (di qui la scelta dell’aggettivo gioviale).
Le variazioni, definite da Guido Pannain su Il Tempo del 25 gennaio 1954 “Una specie di esibizionismo impudico, messo in mostra con aria sfrontata e provocante” , furono invece apprezzate da Winthrop Sargeant, uno dei più autorevoli critici musicali statunitensi e firma della prestigiosa rivista The New Yorker che scrisse: “Quello che mi ha impressionato del pezzo è stata la padronanza tecnica del Signor Rota con l’orchestra e con i complessi elementi armonici che usa con un virtuosismo che rimanda a Richard Strauss.”

Non manca un classico come il tema d’amore creato da Rota per Il Padrino (1972), probabilmente la sua composizione più celebre, un evergreen consolidato ed eseguito in tutto il mondo, dai suonatori di strada come nelle sale da concerto; una musica la cui popolarità sovrasta di gran lunga quella del suo autore. La trascrizione per arpa solista venne approntata dallo stesso Rota per Elena Zaniboni, una delle interpreti più assidue del suo repertorio concertistico.
Lo stesso anno del Padrino (1972) Rota compone anche il primo dei due concerti per violoncello e orchestra, forse sulla scia dell’amarezza per l’esclusione della colonna sonora de Il Padrino dall’assegnazione del Premio Oscar, in quanto composta molti anni prima.
Tra le opere extra cinematografiche si segnalano l’Allegro concertante per orchestra (1953), il Concerto per arpa e orchestra (scritto tra il 1947 e il 1950 e dedicato alla grande arpista Clelia Gatti Aldrovandi) e l’Ouverture da Il Cappello di paglia di Firenze (composta nel 1955).

Ecco le note di Francesco Lombardi che, insieme con il Maestro Giuseppe Grazioli, ha curato la revisione degli spartiti originali di Rota:

CD 1

THE LEGEND OF THE GLASS MOUNTAIN (1949)
VARIAZIONI SOPRA UN TEMA GIOVIALE (1953)
FUGA PER QUARTETTO D’ARCHI, ORGANO E ORCHESTRA D’ARCHI (1923)
CONCERTO PER VIOLONCELLO E ORCHESTRA (1925)
ALLEGRO CONCERTANTE (1953)
CONCERTO PER ARPA E ORCHESTRA (1947-50)
SARABANDA E TOCCATA PER ARPA (1945)
IL CAPPELLO DI PAGLIA DI FIRENZE Ouverture (1945-46)

In una intervista del 1971 Nino Rota ebbe a dichiarare, fra le altre cose, a proposito dei suoi gusti musicali: «Senza dubbio Prokofiev mi è sempre piaciuto, ma allora ci sono anche i russi dell’Ottocento. A lungo ho subito il fascino di Musorgskij, già da ragazzo. Ricordo il Boris di Toscanini alla Scala, che mi fece una grandissima impressione.» E, probabilmente, non solo i musicisti russi di quell’epoca ma anche il monumento letterario di Tolstoj, Guerra e pace, faceva parte del prezioso bagaglio del ragazzo Rota. Così, quando a metà degli anni ’50 fu chiamato a partecipare all’impresa della trasposizione cinematografica del romanzo, il Maestro si dedicò con grande impegno e passione alla composizione della (moltissima) musica necessaria alla pellicola della durata di oltre 3 ore. Ma, come ebbe a dire più volte, nessuna musica, per quanto riuscita può sostenere un film che non funziona. E Guerra e Pace è un film che non ha retto, nonostante il cast stellare – Audrey Hepburn, Henry Fonda, Mel Ferrer – e gli enormi mezzi della produzione. La mancanza di una chiave di lettura, di una strategia coerente per la trasposizione del grande romanzo di Tolstoj sullo schermo ne hanno fatto un polpettone senza capo ne’ coda. D’altro canto per la sua modestia congenita, Rota non volle mai dire e lo sottolineiamo invece noi qui, che a volte la musica di un film non riuscito, può diventare per la sua intrinseca qualità, fuori dalla sala cinematografica, un successo, un grande successo. Così, per molti anni, Il valzer di Natasha e La rosa di Novgorod, due dei temi principali di questa colonna sonora, fecero parte del repertorio di orchestre e cantanti ai quattro angoli del globo.
Il Concerto per trombone e orchestra del 1966 è, fra le opere per strumento solista e orchestra, particolarmente riuscito dal punto di vista dell’equilibrio formale. Suddiviso nei classici tre movimenti, il Concerto si snoda come una sorta di percorso di destrezza per uno strumento che parrebbe poco adatto ad indossare i panni dell’agile acrobata delle note. Fin dal I. Movimento è il trombone a condurre il gioco con una predilezione per la parte medio alta della propria estensione ed una notevole preponderanza delle note staccate e delle sincopi ritmiche. L’orchestra, trattata in modo molto leggero con pizzicati degli archi ed entrate a piena voce rapide quanto brevi per non togliere spessore alla figura del solista, contribuisce a creare il tessuto ideale sul quale il trombone esercita la propria leadership. Il Movimento centrale, come si conviene, è un tempo lento nel quale i toni meditativi più gravi aprono le porte a un dialogo fra il solista e diversi strumenti dell’orchestra per aprirsi poi in una specie di valzer tipicamente rotiano, di quelli un po’ zoppi alla Shostakovich, dove il solista si lancia in un tema lirico sorretto e stimolato da un orchestra decisamente più presente che nel I. movimento. A conferma della felice riuscita di questa partitura arriva il III. Movimento. Il trombone assume qui una tonalità più grave nel registro, mantenendo però un notevole dinamismo grazie a brevi staccati e rapidi incisi melodici, l’orchestra utilizza principalmente gli archi che insistono sul registro medio accompagnando e sostenendo il solista nelle sue evoluzioni che tanto evocano un’immagine campestre dove, un non meglio precisato insettone volante – trombone/calabrone ancora un rimando alla musica russa dell’ottocento – si aggira fra una natura rigogliosa e verdeggiante. Nella costruzione musicale di Rota appaiono sovente aperture e temi delicati che rasserenano una tinta di fondo generalmente intrisa di malinconia. Ecco, il Concerto per trombone e orchestra è probabilmente uno dei brani nei quali questa trasmutazione, questo viraggio di colori, trova la sua misura più esatta.
Nel 1976 Nino Rota effettuò una tournée in Giappone dirigendo un’orchestra costituita per l’occasione in un ampio programma di musiche cinematografiche che, oltre alle sue composizioni più famose, comprendeva brani di Ennio Morricone, Carlo Rustichelli e Ritz Ortolani. Per questi concerti compose un brano ad hoc che voleva essere una sorta di omaggio al paese ospitante, da lui visitato per la prima volta solo l’anno precedente. Intitolato inizialmente Pensiero per Hiroshima, fu successivamente e definitivamente rinominato in modo più neutrale Guardando il Fujiama. Si tratta di una breve composizione, che utilizza inizialmente armonie e scale chiaramente ispirate alla tradizione musicale dell’oriente, per arrivare all’esposizione di una breve cellula melodica di tono decisamente drammatico reiterata fino alla fine con un forte effetto di crescendo emotivo, tale da rimandare all’ispirazione tragica che aveva generato il titolo primigenio. Difficilmente Rota compose musica senza una precisa commissione ma, a volte, questa poteva essere particolarmente eccentrica e, diciamo così, autoimposta. E’ il caso dell’arbitrario e riuscitissimo compimento di un celebre concerto (KV 412) di Mozart per corno e orchestra. A fronte di un giovanissimo e talentuoso allievo del Conservatorio di Bari da lui diretto, che aveva per saggio l’incompiuto concerto mozartiano, decise che fosse opportuno completare l’opera per offrire al ragazzo l’opportunità di confrontarsi con un “vero” concerto solista. Ne uscì questo falso d’autore che sorprende per aderenza al compito di completare l’opera originale e freschezza “mozartiana” di scrittura. Il brano, oggi pubblicato e disponibile, consente ai solisti di eseguire il classico di Mozart in una versione nuova e, appunto, compiuta nel II. Movimento, il cui originale risulta perduto. Questo episodio, riporta in primo piano un aspetto importante della vicenda umana e artistica di Rota, e cioè il suo legame con la Puglia e la città di Bari dove ha diretto per più di 25 anni il locale Conservatorio. La fiera di Bari, composizione orchestrale di impianto timbrico piuttosto originale (5 sax e 5 tromboni in orchestra) sembra quasi voler fare il verso alle rapsodie di Gershwin e a certo Bernstein delle commedie musicali, per aprire però, dopo le prime battute, a quel canto disteso così tipico dello stile di Rota. Si potrebbe definire anche questo, come il falso mozartiano, un esercizio di stile e/o una musica destinata ad un ipotetico di schermo. Ma, alla fine, nei giochi dei rimandi e delle citazioni è sempre una inconfondibile firma rotiana ad emergere, di qua e di là dello schermo. Prima e dopo Mozart. E questo gioco di specchi e di continui richiami di memoria, così utile nella musica per il cinema, diventa un esercizio di alto equilibrismo quando è la stessa pellicola ad essere incentrata sul tema del ricordo. Di tutta la filmografia di Federico Fellini, Amarcord è il titolo più personale e intimo del regista romagnolo. Il film mette in scena forti elementi autobiografici per arrivare a costruire, frammento dopo frammento, una sorta di autoritratto della propria poetica attraverso il ricordo. In questa pellicola l’ultra trentennale sodalizio fra regista e compositore si cimenta nella costruzione di una serie di pastelli sonori che, accanto alla consueta prassi di missare musiche tipicamente rotiane con le melodie di cui il regista si è servito per anni sul set, tratta e riprocessa una serie di altri elementi tipici della poetica Fellini-Rota, fino a farli diventare esercizi memonici, filastrocche musicali. Memorabilia insomma, soprattutto infantili, come per esempio la banda de La fogaraccia che, alla fine, ci lascia in testa come delle inarrestabili girandole musicali che continuano a risuonarci in testa anche dopo la fine del brano. Quell’effetto insomma, se ci pensiamo bene, che era un po’ anche il nostro retrogusto musicale dopo il passaggio di una banda, di qualsiasi banda, ci sia capitato di assistere nella nostra infanzia. Ma quello che più stupisce è, alla fine, la grazia, la leggerezza e la fluidità di tutte queste ‘musichette’ che sono invece frutto di un sapientissimo e complicato lavoro compositivo. Come tutti i ricordi dotati di sostanza poetica, è una musica sospesa nel tempo i cui riferimenti storici, le citazioni, sono secondari rispetto all’emozione che evocano.

CD 2

SATYRICON / ROMA Suite (1971)
IL PADRINO per arpa (Love Theme) (1972)
CONCERTO N. 1 PER VIOLONCELLO E ORCHESTRA (1972)
CONCERTO N. 2 PER VIOLONCELLO E ORCHESTRA (1974)

Senza Le notti di Cabiria (1957), La dolce vita (1960) uno dei grandi capolavori del cinema italiano, forse il più grande in assoluto, non sarebbe potuto nascere. E senza le musiche di Nino Rota per entrambi i film, forse, quella grandezza e quell’universalità della potenza espressiva felliniana non sarebbero stati così come ormai, a cinquant’anni di distanza, la storia comincia a segnalarci. Nella vicenda drammatica della candida prostituta Cabiria, Fellini mette in campo tutte le discrasie della società italiana del dopoguerra e di una poetica sospesa in una crudele pietà, utilizzando come protagonista una figura drammatica in grado di navigare fra i quadri che si giustappongono nel corso del film. Per ogni quadro c’è un’impronta musicale forte e contrastante, come lo sono le situazioni che si susseguono nella vicenda filmica. In questo lavoro Rota trova ispirazione per musiche i cui temi lo accompagneranno per molti anni a venire, anche al di fuori del cinema. Il tragico valzer pianistico dell’illusionista, la marcia finale così carica di speranza e futuro da far venire alla mente certi inni rivoluzionari sudamericani, si legano ad una continuità di ispirazione evidente solo nell’ascolto di questi brani liberati dai tagli e dalle funzioni servili per cui erano stati composti.
I concerti solistici di Rota nacquero, come capita nella maggior parte dei casi, su sollecitazione di solisti che desideravano allargare il proprio repertorio. Ma nel suo caso, la varietà degli strumenti a cui questi lavori sono destinati è dovuta sopratutto all’attività di Direttore di Conservatorio che mise il Maestro a contatto con insegnanti di strumenti poco frequentati nel repertorio concertistico, come in questo caso che porterà alla creazione del Concerto per fagotto e orchestra (1977). Dopo la Toccata iniziale nella quale l’orchestra, trattata con una tessitura brillante e trasparente al tempo stesso, mette in risalto le particolari caratteristiche timbriche del solista, segue un breve e lirico Recitativo a guisa di introduzione all’Andantino con variazioni che costituisce il finale e il cuore stesso di tutto il Concerto. Si tratta di 6 Variazioni (Valzer • Polka • Siciliana • Scherzo • Sarabanda • Galop) che si susseguono senza soluzione di continuità. Ad ognuna di queste è assegnato il compito di mettere in risalto caratteristiche e peculiarità del fagotto, facendolo dialogare ogni volta con differenti sezioni dell’orchestra. Questa prassi delle variazioni, molto diffusa nella musica concertistica, venne affinata da Rota nell’uso diuturno e sovrabbondante necessario alla musica cinematografica, per la quale è sovente necessario riproporre più volte, adattandolo ai contesti più disparati, un unico tema che faccia da filo rosso alla intera vicenda.
Il rapporto fra Nino Rota e lo scrittore e regista Mario Soldati (1906-99), fu prima di tutto un rapporto di amicizia che si alimentò e confluì in una collaborazione artistica per il cinema e la televisione. Rimase invece nell’ombra, per quasi mezzo secolo, questa spensierata avventura nel teatro musicale che è l’Idillio La scuola di guida. Solo la serena incoscienza di due vecchi amici poteva portare ad accettare la commissione estemporanea, fatta all’ultimo minuto, per comporre un pezzo operistico da inserire in uno spettacolo del Festival dei Due Mondi di Spoleto anno 1959, la cui regia era affidata a Franco Zeffirelli. Detto e fatto! La scuola di guida: due soli personaggi, unità di tempo e di luogo e poco più di dieci minuti per lo svolgimento. Su quell’automobile Soldati fa incontrare due perdenti, un lui e una lei, che hanno ottime ragioni per trasformare il naufragio della lezione di guida e di conserva della loro esistenza, in un porto sicuro degli affetti. La partitura musicale, scoppiettante e spudorata nel sottolineare le vicende dei due, provocò l’entusiasmo di un incontentabile melomane quale lo scrittore Alberto Arbasino: «(…) questa musica di una volgarità e di una facilità oltraggiose (e stupende) (…) oltre ad avere un carattere ben preciso e ambizioni deliberatamente circoscritte, riporta con una puntualità pungente a un tempo che è patetico rivalutare: i primi anni della guerra, la moda del ‘40 (…)» preso l’abbrivio, sull’onda dell’entusiasmo, Arbasino si infila nel ginepraio delle citazioni che vanno da Puccini alle canzonette degli anni di guerra. Alla fine, però, succede che Rota lo riconosci sempre, perché in questo gioco era così bravo che tutto quel materiale diventava semplicemente suo, privo di qualunque virgolettatura o atteggiamento citazionista, semplicemente funzionale allo scopo. Un micidiale meccanismo/macchina musicale al servizio della drammaturgia, e solo di quella. L’orchestrazione di Bruno Moretti rende e sottolinea come si conviene tutto questo, senza mai farsi prendere la mano da un testo musicale che per una sua intrinseca vitalità, porterebbe a strafare sull’onda delle suggestioni e delle evocazioni che sgorgano da ogni singola battuta.
La Ballata per corno e orchestra intitolata Castel del Monte fa esplicito riferimento a uno dei monumenti più conosciuti della Puglia, il grande e misterioso castello voluto dall’Imperatore Federico II nel XIII secolo. Il Castello è considerato un enigma storico e architettonico in quanto privo di una esplicita funzione militare è, per forma e funzione, oggetto di speculazioni e studi di svariate discipline. A Rota, cultore di studi esoterici, questo aspetto certamente non sfuggiva, ma se dobbiamo limitarci alle fonti autografe di cui disponiamo, non troviamo mai l’indicazione diretta del castello federiciano. Anzi in una queste compare la titolazione primigenia Ballata del cavaliere errante, anche se, fin dalla prima esecuzione al Festival di Lanciano del 1977, scomparso l’errante cavaliere viene stabilita definitivamente l’intitolazione/dedica Castel del Monte. Il brano si apre con l’immediata esposizione del tema principale, malinconico e sognante, presentato dal corno solista accompagnato dalla sola arpa, che viene poi ripreso e variato dall’oboe a sua volta accompagnato dall’orchestra. Dopo una risposta più decisa del corno, si innesta una sorta di cavalcata del solista che effettivamente sembra attraversare vari paesaggi e, in certi momenti, pare evocare il clima di una battuta di caccia seguita da una danza dal sapore vagamente rituale. Questa è la sezione più lunga della composizione e ci porta direttamente al finale, dove il tema principale viene ripreso nuovamente dall’oboe, poi raggiunto dal corno solista e, infine, dagli archi.

Francesco Lombardi © 2013

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