Riflessione al vetriolo
E se Joseph Beuys fosse uno sparaballe incallito come il nostro perlomeno erudito giornalista? Pare proprio di sì, da quel che emerge dai primi estratti della biografia che sta per uscire in Germania, scritta da Hans Peter Riegel, ex assistente di Jörg Immendorf, il pittore maledetto che fu allievo e amico di Beuys all’Accademia di Düsseldorf. Che il venerato maestro fosse un po’ una “sola”, in alcune frange minoritarie del milieu se ne aveva sentore da tempo; come dimenticare le performance-conference il cui lascito erano le famose lavagne sulle quali Beuys tracciava con il gesso le formule magiche del suo sciamanico pensiero, tipo kunst=kapitalism o poetry=philosophy. Oppure la più «complessa» formula di sintesi chimica dell’acqua e della calce di Grassello, Ca (OH)+H20, servita a restaurare il suo studio in Germania – che alchimia! – da cui è nata un’accurata documentazione fotografica divenuta opera d’arte in quanto feticcio sacrale del Maestro.
Solo l’indulgenza ideologica che permeava quel tempo ha impedito alle meglio menti dell’epoca di non dissolvere la bruma che celava le ardite sortite dello sciamano.
Da quanto riportato dalle anticipazioni del Der Spiegel, riprese da La Stampa, la biografia, oltre a rammentare i suoi noti trascorsi “nazi” – chi, appartenente a quella generazione non lo è stato? da Günter Grass all’aspettore Derrik, financo Sua Santità Emerita; si salva solo Rex, anche se pur sempre pastore tedesco – demolisce alcuni postulati su cui si basa la mitologia del personaggio. Pare infatti che sia stato un semplice marconista e non un romantico pilota di caccia e, cosa assai più destabilizzante, fu sì abbattuto e ferito in guerra ma non salvato e avvolto nel feltro dai Tartari, leggenda intorno alla quale costruì tutta la sua saga. Si dice non fosse manco diplomato e pure sulla Croce di Ferro si nutre qualche dubbio. Last but not least sembra, cosa assai più grave, avrebbe continuato a intrattenere relazioni piuttosto strette con ex camerati affatto ravveduti, ricevendone pure generosi finanziamenti. Certo che queste rivelazioni, se vere, inficiano non poco la leggenda del personaggio simbolo della kultur germanica rinata dalle ceneri della guerra, emendata dal peccato originale del nazismo e pronta, per contrappasso, a gettarsi a capofitto sulle retoriche marxisticheggianti e comunarde dei giovani delle neo avanguardie.
Joseph Beuys è stato, infatti, il campione dell’impegno politico-sociale, fondatore del Partito studentesco, promotore del concetto di democrazia diretta attraverso referendum. Tutto ciò, coniugato all’armamentario sciamanico-simbolico – capello di feltro, giubbotto da «pescatore di coscienze», frammento di lepre simbolo di movimento e pure di metempsicosi – ha contribuito a definire il profilo del venerato pastore di anime, divulgatore dell’avanguardistico adagio che “l’arte è vita” e quindi strumento di emancipazione che ci aiuta a capirla e a liberare quanto di vitale e creativo c’è in noi. Insomma tutti artisti, seguendo naturalmente la Via del Maestro.
Come è andata a finire ’sta mistica della «liberazione» è noto. La zampa di coniglio dello sciamano è finita in pellicceria, ogni tanto viene riesumata come un feticcio che giustifica qualche operazione di vintage culturale, come un pantalone scampanato qualsiasi, così, tanto da dare una scossa a quel gatto morto del contemporary.
in punta di pennino
il Vostro LdR
5 Commenti
Capisco che la civiltà si fondi sul mito; ma capisco solo quello però… Beuys non ha inventato niente ed è un figlio devozionale della Arte Povera e infatti nasce pressapoco in quelgli anni e, salvo qualche disegno, non prima. Ma si aveva un debito culturale con la destra. Chi capisce capirà. Mi riferisco però, per esempio, ai resaturi della capella Sistina, quando il fumato della profondità oscura dei tempi era appunto un vero e propio mito ed un Michelangelo coloratissimo leggenda pop… del suo periodo godereccio. Oppure le statue bianco marmoreo che “cieche” – quanto un dio dallo sgauardo interiore – guardano la profondità dei tempi… erano invece coloratissime, compresi gli occhi e il trucco!!! e allora? Mito per mito, quale mito scegliereste? Quello neo CLASSICHEGGIANTE? Lo avete già fatto e si vede… Oggi l’arte è solo una leggenda; è raccontare la leggenda della propria vita. Fate voi se i ragionieri ragionano meglio degli artisti… secondo me si, ma il punto “negativo” è proprio quello… Vivendo di sola razionalità si finisce folli, e in questa società oggi, poco ci manca.
bell’articolo
complimenti vivissimi lucien. é ora e straora che certe favole novecentesche ritornino nei loro armadi. ci hanno proprio stufato.
Si sa, il mito è il mito. E solo nel nostro periodo materialista e poco ossequioso del passato riusciamo a smontare con l’ironia e il sarcasmo ciò in cui credevamo ciecamente sino a qualche ora fa.
E’ importante sapere che Beuys non fu avvolto nel feltrone e salvato dalle orde di buon-primitivi? Non credo.
E’ più importante mantenere la fede nelle ricadute del suo pensiero e della sua opera. Se un’intera nazione, che seguì ciecamente un folle e si perse inesorabilmente trascinando con sé colpevoli e innocenti, aveva necessità di costruire un altro eroe uguale e contrario al precedente (fatto di poesia e artifici artistici e non di retorica e artifici bellici), ben venga.
Da dove potevano risorgere la civiltà e cultura tedesche se non dall’arte (semper salvifica) e da una leggenda che depurava le coscienze rinascendo (anche questo è un mito fondativo dei più classici) proprio dalle ceneri dove si era impanata?
Tutti sanno dei trascorsi nazisti di Beuys e nessuno ha mai ritenuto fosse questione scandalosa.
Se, poi, non interessa il “prodotto”, allora perché si sente il bisogno di annientarlo?
Del resto, ciò che rimane dell’ultima arte occidentale del xx secolo sono gli exploits all’incanto di Damien Hirst. E non mi pare che sia un bel fine racconto.
Brava!!!! e, positiva. Nessun disfattismo retrogrado…