Appuntamento per sabato 9 novembre 2013, ore 11.00 alla Galleria Robilant+Voena di Milano (via Fontana 16) per una visita guidata alla mostra in corso organizzata dall’Associazione Testori con il curatore Alessandro Morandotti. Si tratta di un’occasione eccezionale per riscoprire uno dei pittori più amati da Giovanni Testori: sono esposte in galleria 22 opere di Giacomo Ceruti, tra le quali c’è anche un gruppo di inediti. Si tratta sia di ritratti che di scene di genere, tipiche del grande artista bresciano. Un campionario umano che attraversa tutte le classi sociali e che ripropone la straordinaria capacità dell’artista di intercettare la realtà e di riproporla in tutta la sua densità e ricchezza.
Le opere esposte tra l’altro coprono tutto l’arco della sua attività, permettendo di avere uno sguardo completo su di lui. La mostra è accompagnata da un bellissimo catalogo edito da Skira curato da Francesco Frangi e Alessandro Morandotti. I posti sono limitati.
Costo 10 euro/8 euro per i soci.
Prenotazione obbligatoria entro giovedì 7 novembre chiamando al 02/36589697 o via email: info@associazionetestori.it
«Poco si potrà afferrare della grandezza e modernità di Ceruti, se non si sarà prima capito questa sua capacità di togliere dal genere e dal generico quella parte di umanità che, per secoli, era rimasta alle porte o alla periferia dell’espressione vera e propria».
Giovanni Testori, 1967.
«Niente più che il vero straccio, l’abito vero, la vera carne, il vero sguardo, la vera famiglia; niente più che la vera verità; sembra dire il Ceruti; anche a costo d’arrivare all’umiliazione totale delle regole ultime, delle regole più modeste e quasi infime dello stile; anche a costo d’arrivare alla sua totale destituzione; anzi, per usar la parola necessaria, alla sua nullità. Ma è a questo punto che nelle sue mani, sotto il suo sguardo, ai piedi del suo lungo viaggio, si deposita, come centro permotore, un pugno straziato e dolente di materia; ancora quella dell’antica “parlata”, certo; ma così bruciata dalle proprie ragioni, arrivate ormai al limite più avanzato della storia, da essere, per dignità e fermezza, pari e fin superiore alla lingua stessa; da essere essa pure nient’altro che lingua; e lingua risalente di continuo, come un fiume giusto, lento e sterminato, alla sorgente primigenia; diciamo pure alla sorgente eterna della parola che si fa carne».
G. Testori, 1966.