MARTINI ROSSO. Il sogno della terracotta
“Ogni opera nasce nel suo materiale. Noi scultori pensiamo con la creta”
(Arturo Martini)
Doppio Martini, grazie. Due città, doppia sede espositiva, due capitoli per raccontare la favola scolpita di Arturo Martini, il più importante scultore italiano del Novecento, l’uomo che riuscì a ridare nuova linfa al corpo spento della scultura italiana all’inizio del secolo scorso. Così Bologna e Faenza dialogano idealmente in questi mesi nella lingua della scultura, quella definita “morta” nel più importante pamphlet dell’artista, cioè che si può ancora leggere ma non parlare. Vero o no, tra Palazzo Fava e il MIC di Faenza poesia e liricità toccano vette altissime, dal “sogno della terracotta” felsineo con le 16 “creature” ad esemplare unico di grande formato forgiate nell’arco di 5 anni tra il 1928 e 1932 alle “armonie” di ceramica faentine indagate attraverso l’interpretazione della figura femminile tra mito e realtà.
Libero e indipendente, eclettico e insaziabile sperimentatore, una vita dedita alla ricerca del “segreto della scultura” guardando e facendo guardare alle sue figure scolpite verso l’infinito. Viso all’insù, espressioni trasognate, sguardi che si perdono per le stelle nel cielo in attesa di qualcosa, qualcuno. Magia e mistero (ciò che “ha fatto la grandezza degli antichi”) evocati in ogni materia possibile (ceramica, bronzo, pietra, gesso, legno, marmo), in ogni formato (dal piccolo al monumento), in ogni posizione concepibile (prona, eretta, inginocchiata, accoccolata, distesa nel vuoto). Linea essenziale, purezza volumetrica, un’opera intrisa di “echi dell’antico”, etrusco, classico, Trecento e Primo Rinascimento, sempre con un occhio (e qualcosa di più) alla modernità. “Martini con i suoi gesti, le sue carezze, le sue trovate geniali, le sue arrabbiature, ha tracciato una via, ha proposto una svolta” racconta Claudia Casali, curatrice dell’esposizione faentina.
Siamo entrati nel “sogno della terracotta” di Martini allestito tra gli affreschi cinquecenteschi dei Carracci di Palazzo Fava fino al 12 gennaio 2014. Ci siamo addentrati tra le sale seguendo quel filo rosso di terra, appunto rossa refrattaria, che lega le 16 creature esposte realizzate nel cosiddetto “periodo del canto“, della sua scultura più vicina alla poesia lirica, liberamente dispiegata, dove Martini giunge ad una creazione “sublime e assoluta” con opere “ai vertici della scultura figurativa europea del tempo”. Ha innalzato la terra rossa nell’Olimpo della scultura, ha portato la terracotta ad un’inaudita monumentalità, arrivando perfino a tramutare il suo studio in un forno dove l’opera veniva cotta direttamente in situ. “Martini ha messo a frutto la sua ventennale esperienza di scultore ceramista, portando a compimento l’ancestrale e ricorrente mito delle origini secondo cui il creatore (l’artista) conferisce vita alla creatura (l’opera d’arte) tramite quel soffio che nel caso dei prodotti ceramici è delegato anche al fuoco dei forni” spiega Nico Stringa, curatore della mostra bolognese.
“Un coro polifonico” di argilla refrattaria, “materiale che ti da l’etrusco come l’affresco ti richiama subito all’antichità”. “Poesia della scultura” all’insegna dei “Valori Plastici”: classicità, memoria, mito. Figure che aspettano, in attesa di vedere qualcosa, un’apparizione, un’epifania, “come se si presentasse o si aspettasse qualcosa di magico”. Visi verso il cielo. Come quelli “bagnati dalla luce lunare” delle due figure femminili di “Chiaro di Luna” (1931-32). Affacciate al balcone colonnato si ergono entrambe protese in alto “fino ai limiti in cui si può spingere” cercando “il cielo – le stelle” (1932), l’ideale. Aspirazione esistenziale. Tensioni verticali, questa come la “Madre Folle” (1929), prima opera eseguita a mano libera, il cui dolore “svapora nell’empito del passo, nel gesto leggero del braccio levato estremamente possibile, nel bellissimo moto in avanti di tutta la massa inferiore, mentre l’assurda piccolezza del bambino fasciato dà un tono d’incredibilità a tutta l’apparizione”, ma anche serenità orizzontali come le membra distese alle gioie del sole di una fanciulla in posa voluttuosa “sapientemente studiata nelle armonie” (“Donna al sole“, 1930) o nudità sospese per aria in equilibrio perfetto tra il busto eretto e la sporgenza degli arti per “liberare la scultura dal suo peso” (“Aviatore“, 1931). “Creature” libere o incastonate in una sedia a dondolo come la celebre “Convalescente” del 1932. Protagonista Maria, figlia di Martini, spossata e inerme dopo una breve malattia. Bellissimo il panneggio della veste e delle lenzuola, motivo prediletto dallo scultore, riferimento evidente all’arte classica. Due figure “in pose di abbandono e intimità”, che contrastano la fisicità travolgente e “bestiale” della “Lupa” (1930-31), ferita a tradimento alle spalle, colpita da una freccia che le trapassa la schiena, lanciata (e slanciata) in un grido di dolore dove “la sensualità si scioglie” in un’immane sofferenza.
E non si avvera nella sola scultura il sogno fatto a creta di Martini. Si fonde con l’architettura. Martini si inventa il “teatrino plastico” dove inserire le figure, una sorta di scultura “scenica”. Ne “La veglia” (1932) crea un angolo di una stanza ricoperto per metà da un ampio tendaggio. Nell’altra parte apre una finestrella dove una donna in punta di piedi si affaccia per poter scorgere la persona che sta aspettando. Nuda, le si intravedono solo i capelli che scendono sulle spalle. Oltre la finestra un volto di cui non si sapranno mai le fattezze. Attesa, mistero, sogno. Questo è Arturo Martini, “poeta della materia”, creatore di “sculture immortali” ispirate al “desiderio di assoluto di ogni uomo”. Fino al 12 gennaio 2014 a Bologna.
“Invidio la polvere che vola e tutto quello che il vento trasporta lontano con poca fatica” (A. Martini)
“La punteggiatura della statua è misteriosa, nessuno la conosce; come per la musica il tempo. La punteggiatura è un ritmo, difficilissimo in scultura. E i volumi sono come le parole, una modifica l’altra” (A. Martini)
Foto e testo: Luca Zuccala © ArtsLife
INFORMAZIONI UTILI
Titolo: Arturo Martini. Creature, il sogno della terracotta
Curatore: Nico Stringa
Date: 22 settembre 2013 – 12 gennaio 2014
Dove: Palazzo Fava. Palazzo delle Esposizioni, via Manzoni 2, Bologna
Apertura: domenica-giovedì ore 10-19, venerdì-sabato ore 10-21
Info: 051 19936305, palazzofava@genusbononiae.it
Ingresso: intero 10 euro, ridotto 7
Titolo: Arturo Martini. Armonie, figure tra mito e realtà
Curatore: Claudia Casali
Date: 13 ottobre 2013 – 30 marzo 2014
Dove: MIC (Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza), viale Baccarini 19, Faenza (RA)
Apertura: martedì-venerdì ore 10-13.30, sabato-domenica e festivi ore 10-17.30, lunedì chiuso
Info: 0546 697311, www.micfaenza.org
Ingresso: intero 8 euro, ridotto 5, gruppi 5
*Eloisa V
5 Commenti
POESIA PURA FOTO INCANTATE. Martini l’ho amato fin da ragazzo
Meravigliosa “CREATURA”. Come mi piacerebbe andare a bologna.
opere da sogno, martini da favola. Che fotooooo
Bell’articolo e belle foto!
posso solo dire: una vera meraviglia, da non perdere. e complimenti per l’articolo.