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Intervista a Flaminio Gualdoni sul Volto del ‘900

Flaminio Gualdoni (Cuggiono, Milano, 1954). Photo André Villers

 

Un secolo: il Novecento. Un genere pittorico: il ritratto. Tre sguardi che si incrociano: quello dell’artista, quello del modello, il nostro. Un ménage à trois visivo che affonda nelle viscere del proprio Io per riemergere nelle molteplici sperimentazioni su tela e non solo del secolo breve. Risultato: “Il Volto del ’900” a Palazzo Reale di Milano dalle raccolte del Centre Pompidou di Parigi, una “collezione intelligente e non burocratica, nella quale abbiamo notato come ci fosse un’insistenza sul tema del ritratto e quanta importanza questo tema avesse nella raccolta, così ci siamo interrogati sulla qualità e quantità dei materiali e abbiamo deciso di lavorarci intorno ed è nato il progetto espositivo” spiega Flaminio Gualdoni, curatore della mostra insieme a Jean-Michel Bouhours. Il racconto dell’evoluzione artistica moderna del “ritratto”, praesentia in absentia che sfida la morte con la propria durata, attraverso una sessantina di opere disseminate nelle sale del Piano Nobile fino al 9 febbraio 2014. Proprio Gualdoni, milanese, classe 1954, critico d’arte e professore all’Accademia di Belle Arti di Brera, ci racconta la mostra, il “suo” Volto del ‘900, spaziando dalle peculiarità della ritrattistica novecentesca alla “deriva contemporanea” fatta di “barzellette” d’acciaio specchiante alla Jeff Koons, barboncini di palloncino enormi “gonfiati” a dismisura dal mercato.

Innanzitutto, cosa significa fare un ritratto nel ‘900.

Non significa più affermare una certezza, cioè l’esistenza di un volto a cui corrisponde una figura socialmente identificata e rilevante. Significa porsi delle grandi domande: chi è, perché, che rapporto ho io pittore con la figura ritratta. Questo è un enorme cambiamento che trovo davvero significativo. Fino ad allora tutto è “in superficie”, poi arriva il momento in cui il ritratto diventa uno scavo del profondo della figura ritratta come dell’artista che lo ritrae, la psicanalisi svolge un ruolo fondamentale.

Psicanalisi quindi, ma anche fotografia, cinema e tutta quella serie di sconvolgimenti verificatisi fra otto e novecento. La differenza principale fra il tradizionale ritratto ottocentesco e quello del ‘900?

Un aspetto esteriore assolutamente fondamentale. Il fatto che nel caso del ritratto novecentesco è il pittore che sceglie di ritrarre. In questo modo salta completamente per aria il meccanismo di committenza. Non che non sia già avvenuto in passato, ma nel ‘900 questo tipo di approccio diventa definitivo: il ritratto era il genere per eccellenza di committenza, nel ‘900 invece la committenza praticamente si estingue e il ritratto continua ad essere un genere fondamentale che riflette moltissimo sulla sua storia. Credo che il ritratto sia il genere che più continua a ripercorrere tutta la sua vicenda dall’inizio alla fine. Ogni volta che un artista fa un ritratto in qualche modo si interroga sulla storia del ritratto per intero.

Quindi, decide di ritrarre il ritrattista piuttosto che il committente.

Di fatto è sempre un autoritratto del pittore mentre ritrae. Questo mi sembra l’atteggiamento chiave, la differenza col passato.

Un altro aspetto: la religione. Ha condizionato e/o ha avuto un ruolo nella realizzazione del ritratto moderno?

Credo proprio di no. Possiamo se mai leggere, ma è un discorso abbastanza sofisticato, un certo atteggiamento più positivo nelle culture protestanti rispetto alle nostre, dove l’individuo in quanto coscienza conta di più rispetto all’individuo che ha una “armatura sociale”. Ma sono veramente dettagli. La religione è uno dei grandi problemi del ‘900, è più un territorio problematico che uno dei punti di riferimento saldi.

Un altro grande “problema” novecentesco è il nudo. Nel suo libro “Storia generale del Nudo” (Skira, 2012) ha illustrato le varie espressioni artistiche del secolo passato da “la chiusura puritana e bigotta dei primi del Novecento” a “l’esibizionismo deliberatamente volgare” delle sculture e fotografie di Jeff Koons sul rapporto matrimoniale con Ilona Staller, meglio nota come Cicciolina.

Il nudo nel ‘900 è un altro bel problemone, di natura totalmente diversa dalla religione. Qui gioca invece un’altra storia: pensiamo a quelle figure paleolitiche che chiamiamo Veneri, e che ovviamente Veneri non sono, che sono incontestabilmente delle figure femminili legate alla Dea madre, alla fertilità. Come ci si gira, ci si gira. L’arte è una cosa che costeggia moltissimo il sacro, il territorio problematico chiave è quello. Dalle “Veneri celesti” (Amore puro) alle “Veneri pandemie” (Amore volgare) di Platone fino a noi il rapporto è continuamente una specie di aspirazione intellettuale alla bellezza perfetta e intangibile da una parte, e uno sguardo desiderante dall’altra. Il corpo nudo innesta dei meccanismi di tipo sensuale assolutamente importanti, quindi entrambe le due chiavi e le loro polarità, il loro bilanciarsi, il loro farsi tensione, diventano la storia del nudo novecentesco. Da un certo punto in poi si aggiunge questa “simpatica spezia” che sono le leggi e le norme pubbliche sul comune senso del pudore che invece di semplificare le cose le complicano.

Lo scorso novembre il ritratto di Lucian Freud seduto su una sedia realizzato nel 1969 da Bacon (“Three Studies of Lucian Freud”) è stato battuto in asta da Christie’s a New York per la cifra record di 142,4 milioni di dollari. Semplice casualità o qualcosa di più significativo, magari a livello culturale, che l’opera d’arte più costosa al mondo sia proprio un ritratto?

Semplice casualità. Oramai i prezzi delle opere sono una questione che riguarda un meccanismo che non ha più nulla del culturale. Non lo dico moralisticamente, sono prezzi che non riesco a spiegarmi proprio perché la ragione di cifre di questo genere mi sfugge completamente, appartengono ad una serie di modelli, di valutazioni, di umori, di autorappresentazioni che mi ricordano molto la vecchia teoria di Veblen sul “consumo-cospicuo“: se io ti dimostro che posso spendere una cifra assolutamente inconsueta, fuori dal comune, per un’opera d’arte, cioè per una cosa che non ha nessuna funzione utilitaria, però è rara e desiderata, vuol dire che io sono molto potente. Il meccanismo è quello, che sia un Bacon o un altro artista, un ritratto o un’altra cosa, cambia poco.

Nella stessa asta infatti la scultura “Balloon Dog (Orange)” dell’artista statunitense Jeff Koons è stata aggiudicata per la cifra di 58.4 milioni di dollari.

Proprio così, appunto. Oltre al trittico di Bacon, che è un’opera straordinaria, ha raggiunto una valutazione incredibile la scultura di Koons che reputo una sorta di barzelletta. Non c’è distinzione quindi.

Koons è diventato così l’artista vivente più costoso sulla faccia della terra. Un aspetto da sottolineare per quanto concerne l’arte contemporanea?

Andiamo davvero verso una grande deriva. Trovo che si sia citato Bachelard spesso a sproposito ma in questo caso, sul fatto che “l’oggetto è perfetto perché è perfettamente privo di senso” sia stata davvero un’intuizione assoluta. Cioè l’arte ormai è una sorta di messinscena sofisticata del nulla. La cosa non mi fa assolutamente piacere ma è l’aspetto più rilevante di questo momento.

Nel suo saggio in catalogo (“Il Volto del ‘900”, Skira) conclude la sua analisi parlando della realtà contemporanea come “una post-modernità che pare non avere mai fine”. Speranze che cambi qualcosa?

Qualcosa succederà, non siamo assolutamente in grado di prevederlo, è chiaro che dalle grandi crisi si esce in qualche modo. Noi che ci stiamo vivendo dentro non abbiamo occhi per vedere come andrà finire.

Impossibile immaginare che aspetto assumerà il ritratto nel futuro della storia dell’arte?

Impossibile prevedere, certo. Non lo so proprio.

Un’ultima cosa invece, un artista contemporaneo che interpreta in maniera efficace e significativa il ritratto nel (e del) nostro tempo?

C’è un bellissimo lavoro che stanno facendo molti fotografi, cioè gli “autori di fotografia”. Per esempio, ho visto e considerato una cosa veramente degna di nota un lavoro che fece Mimmo Jodice per il Louvre: una sequenza di fotografie in cui si incrociavano e mescolavano i volti di coloro che lavorano al Louvre, dei nostri contemporanei ancora viventi, con i volti di certe immagini antiche. Ecco, in questo lavorare sulla soglia dell’ambiguità da parte di Jodice ho visto un pensiero importante.

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La mostra “Il Volto del ’900. Da Matisse a Bacon. Capolavori dal Centre Pompidou” (a cura di Flaminio Gualdoni e Jean-Michel Bouhours) è visitabile fino al 9 febbraio 2014 a Palazzo Reale di Milano. L’esposizione è prodotta e promossa dal Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale, MondoMostre e Skira editore.

Eccone alcune immagini.

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Il volto erotizzato dello “Stupro” di Magritte (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)
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La “Testa” di pietra brutalmente stilizzata da Joseph Csàky (1914) (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)
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Doppio “Autoritratto” (Puni – 1912, Delaunay, 1909) (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)
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Duchamp-Villon e Lindner (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)
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Bacon – “Autoritratto”, 1971 (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)
le fauconnier
Henri Le Fauconnier – “Pierre Jean Jouve” (1909) (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)
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Bernard Rancillac – “Ritratto di Noel McGhie”, 1973 (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)
leger
“Contadino” di Magnelli (1914) e “Donne in un interno” di Léger (1922) (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)

Luca Zuccala

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