È in uscita il 13 marzo nelle sale italiane Ida, il nuovo film di Pawel Pawlikowski, il regista polacco di My Summer of Love.
Polonia, 1962. Anna è una giovane orfana cresciuta tra le mura di un convento dove sta per farsi suora e non sa nulla delle sue origini. Ha trascorso tutta la vita in un convento e la sola cosa di cui le importa è la sua fede: l’unica vita che conosce è quella monastica. Poco prima di prendere i voti apprende però di avere una parente ancora in vita: Wanda, la sorella della madre. L’incontro tra le due donne segna così l’inizio di un viaggio alla scoperta l’una dell’altra e nei segreti del loro passato.
Anna scopre infatti di essere ebrea. Il suo vero nome è Ida e la rivelazione sulle sue origini la spinge a cercare le proprie radici e ad affrontare la verità sulla sua famiglia. Sarà la zia ad accompagnarla in questo road movie sulle strade della memoria.
Racconta Pawlikowski: «Ida è un film sull’identità, la famiglia, la fede, il senso di colpa, il socialismo e la musica. Volevo fare un film sulla storia che tutta via non sembrasse un film storico, un film con una morale ma senza lezioni da impartire; volevo raccontare una storia in cui “ciascuno ha le sue ragioni”, una storia più vicina alla poesia che alla prosa. E, soprattutto, volevo stare alla larga dalla solita retorica che caratterizza il cinema polacco. In Ida la Polonia è mostrata attraverso gli occhi di una “outsider”, filtrata dalla memoria e dalle emozioni personali, dai suoni e dalle immagini dell’infanzia».
Il film ha ha molteplici origini, Pawlikowski dichiara di provenire da una famiglia piena di misteri e di contraddizioni e di aver vissuto in varie forme di esilio per gran parte della sua vita. I temi dell’identità, della famiglia, dei legami di sangue, della fede, del senso di appartenenza e della storia sono sempre stati presenti quindi nella sua esistenza. Il soggetto, inizialmente più articolato e complesso è stato modificato, semplificando la trama e arricchendo i personaggi: Ida, rispetto all’idea iniziale, è diventata più giovane, più inesperta, più inconsapevole, una giovane donna che si affaccia alla vita. Alcuni fotogrammi del film potrebbero essere fotografie del mio album di famiglia.
Spiega il regista, sulla scelta della protagoniste: «Dopo aver cercato in lungo e in largo in tutta la Polonia tra giovani attrici e studentesse di arte drammatica, ho finito con lo scegliere una dilettante assoluta […]. Una mia amica regista, Malgosia Szumowska, che sapeva che ero disperato e in corsa contro il tempo, vide Agata in un bar di Varsavia e mi telefonò da lì. Io mi trovavo a Parigi e le chiesi di fotografare di nascosto Agata con l’IPhone e di mandarmi la foto. In apparenza, la ragazza era completamente sbagliata: molto trendy, con un’acconciatura barocca, abiti vintage e un atteggiamento molto cool. L’opposto di una suora insomma, ma aveva un’aria interessante e io ero disperato. Inoltre, scoprii che Agata era una femminista militante, che dubitava dell’esistenza di Dio e di sicuro non aveva tempo da dedicare alla Chiesa polacca. Durante l’audizione, la feci struccare, cambiare la pettinatura e togliere i vestiti alla moda e la osservai più da vicino: era perfetta. Anche Agata Kulesza, che interpreta Wanda, è una donna di rara forza e integrità. Ma per altri aspetti è l’esatto contrario della giovane Agata: un’attrice magnifica in grado di fondere una perfetta preparazione teatrale con una grande energia e devozione al suo mestiere. Per incarnare l’arguta, conflittuale, ossessiva e malinconica Wanda ha dovuto lavorare sul contenimento e sulla misura, evitando sfoggi di bravura e mantenendo alta la concentrazione. Un equilibrio difficile da ottenere».
Una fotografia in bianco e nero, scarna ed estetizzante al contempo si unisce a una colonna sonora piena di canzoni pop anni ’60 (I found my love in Portofino e 24 mila baci); cartoline e suoni impressi in modo indelebile nella memoria di bambino del regista, che danno colore al paesaggio brullo di una Polonia immortalata in bianco e nero: «Oltre a raccontare la storia di Ida, volevo evocare una certa immagine della Polonia, un’immagine che mi sta a cuore».