La crisi ucraina ha creato qualche tensione tra Stati Uniti e Russia, ma non in molti sembrano preoccuparsene. Cinquanta, sessant’anni fa l’allarme sarebbe stato di dimensioni ben diverse, e l’ombra della bomba si sarebbe stesa sulle nostre vite pubbliche e private come in un veloce crepuscolo. La minaccia atomica era il prezzo che pagavamo – oltre che per una contrapposizione ideologica: c’era una specie di comunismo, o no? – per uno sviluppo tecno-economico in accelerazione di cui il mondo industrializzato poteva godere. Che cosa sia rimasto di quell’accelerazione oggi lo sappiamo bene; e lo vediamo, che siamo molto più preoccupati di trovare il guasto che inceppa gli ingranaggi del capitalismo avanzato, avanzatissimo, piuttosto che angosciati per qualche remoto conflitto. Così ci sembra: remoto come possibilità, o se non altro come localizzazione geografica (fino a prova contraria).
Cinquanta, sessant’anni anni fa la bomba faceva paura, e gli intellettuali, i poeti, i cineasti, gli artisti (questi ultimi in maniera quasi sempre più sottile) non mancavano di evocarne il fantasma: dal Manifesto Bum (1952) e dalla Dama “nucleare” (1955) di Enrico Baj, fino al Dr. Strangelove di Stanley Kubrick (dal memorabile sottotitolo: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb) che compie ora appunto cinquant’anni. Con in mezzo, oltre a Hiroshima mon amour di Alain Resnais (1959), tanta, tanta letteratura (anche “concreta”):
«Questa coscienza di vivere nel punto più basso e tragico di una parabola umana, di vivere tra Buchenwald e la bomba H, è il dato di partenza d’ogni nostra fantasia, d’ogni nostro pensiero»
(Italo Calvino, Il midollo del leone, 1955)
«È difficile amare in primavere
come questa che a Brera i contatori
Geiger denunciano carica di pioggia
radioattiva perché le hacca esplodono
nel Nevada in Siberia sul Pacifico»
(Elio Pagliarani, Inventario privato, 1959)
«Sulle facce ridenti passano lentamente le colonne d’ombra delle esplosioni delle bombe H»
(Helmut Heißenbüttel, Testi 1 | 2 | 3, 1960)
«Ci opponiamo, come ci opponiamo alla guerra atomica, all’impiego di un simile sapere per controllare, costringere, degradare, sfruttare o annichilire l’individualità di un’altra creatura vivente»
(William Burroughs, Pasto nudo, 1959-1962)
Oggi della bomba nessuno ha più paura (neppure delle armi chimiche, in fondo: in Siria la cosa sembra risolversi con un rimbrotto), del comunismo non ne parliamo. La minaccia non viene dalla fisica nucleare, che i bambini e gli artisti rappresentano con un fungo, bensì dalla metafisica finanziaria – metafisica, caro Di Modica: per questo il pesante Charging Bull non significava; e neppure, con la sua bulimia, significa The Wolf, caro Scorsese – che un vecchio enfant terrible materializza in un dito. Alzato al cielo, naturalmente, with l.o.v.e.