Spesso l’iconologia – suggerisce Aby Warburg – ci svela realtà nascoste. Così ben prima dell’avvento della semiotica, era comunque possibile trarre dalle immagini immaginifiche verità, perché le cose mostrate dicono più delle parole.
E’ un vezzo risaputo quello degli scrittori o dei giornalisti di farsi immortalare con la manina che sostiene il mento, oppure sulla fronte, oppure poggiata sulla guancia. Forse perché si vuol mostrare la stretta relazione tra il pensiero e l’attrezzo che scava i pensieri e poi li tratteggia sul foglio. Forse perché nell’imbarazzo della posa non si sa proprio dove cacciare l’arto superfluo.
Non si sottrae al vizio, la nota scrittrice Camilla Baresani che già in passato fece sfoggio di prevedibili pose. Solo che nella pubblicità del suo ultimo romanzo, il ritratto con la mano a sostenere la tempia sembra studiato per vendere un Moment Fast e non un libro. Lo scatto rivela un’intima sofferenza da emicrania e anche lo sguardo, quanto più intenso possibile, tradisce il bisogno di ibuprofene.
Sarà che Il sale rosa dell’Himalaya (Bompiani), che non abbiamo ancora letto, è un libro duro: “La lotta di Giada contro la doppia ingiustizia che subisce diventa una guerra a 360 gradi contro il mondo intero. Non solo contro i criminali conclamati che fanno un male tangibile, ma anche contro la sfuggente, implacabile macchina del fango mediatico”, così spiega Roberto Saviano addirittura dalla sua pagina Facebook.
Lottare contro il mondo intero: chiaro che alla Baresani sia venuto il mal di testa.